7 Marzo 2016

Le nuove “sanzioni pecuniarie civili” introdotte dal D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7

di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDF
 

  1. La nuova responsabilità civile da illeciti depenalizzati

Il recente D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 ha introdotto una nuova forma di “responsabilità civile” (come da definizione offerta dalla rubrica dell’art. 3) originata dalla commissione di condotte illecite costituenti alcuni tra i fatti di reato “depenalizzati”, e tra questi l’ingiuria (art. 594 c.p.), la sottrazione di cose comuni (art. 627 c.p.), il danneggiamento (art. 635 c.p.), l’appropriazione di cose smarrite (art. 647 c.p.), nonché alcune rilevanti fattispecie di falsità documentali in materia di scrittura privata (art. 485 c.p.) e di foglio firmato in bianco (art. 486 c.p.).

Si tratta di una forma responsabilità civile assai atipica – come confermato dalla stessa relazione governativa di accompagnamento al decreto legislativo, che parla di istituto “particolarmente innovativo” – i cui caratteri dissonanti rispetto alle caratteristiche storiche della responsabilità civile derivano dall’ancora forte impronta pubblicistica della nuova disciplina.

In primo luogo, essa opera non a beneficio del danneggiato ma dello Stato, e, in particolare, della Cassa delle ammende: scelta legislativa che evidenzia la funzione general-preventiva e la vocazione pubblicistica cui è ispirata la riforma, ancorché essa non sia prevista nella legge delega 28 aprile 2014, n. 67 e l’ordinamento già conosca ipotesi di “pene private” (si veda ad esempio quanto previsto dall’art. 12 della L. 47/1948, in materia di stampa) irrogate direttamente a favore della persona offesa dall’illecito.

Un secondo elemento di dissonanza consiste nella tassatività delle ipotesi che giustificano la condanna, a differenza del regime di atipicità degli illeciti civili ex art. 2043 c.c.: il legislatore, in applicazione dell’art. 2, comma 3, lett. d) della L. 67/2014 (che delegava il Governo a “prevedere una sanzione che […] indichi tassativamente le condotte alle quali si applica”), ha infatti vincolato l’operatività delle sanzioni civili ai soli “ex reati” sopra elencati. 

  1. Il giudice civile può o deve applicare la sanzione?

Il dichiarato scopo è deflazionare la giustizia penale (in questo senso si esprime il comunicato stampa del Governo del 15 gennaio 2016, consultabile in http://www.governo.it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-100/3970, secondo cui la riforma “libererà le procure da affari di scarsa rilevanza che troppo spesso non trovano sanzione a causa dell’ingolfamento degli affari in ambito penale”), pur a fronte dell’inevitabile riverbero del surplus di lavoro sui già oberati ruoli dei magistrati civili.

Sotto quest’ultimo profilo, in realtà, l’art. 8 comma 1 del D.Lgs. 7/2016 parrebbe delineare una valvola di sfogo per la giustizia civile: dall’espressione adottata dal legislatore, per cui il giudice “decide sull’applicazione della sanzione” al termine del giudizio, “qualora accolga la domanda di risarcimento proposta dalla persona offesa”, è dato infatti ricavare due conclusioni.

La prima è che nessun impulso d’ufficio è assegnato al giudice civile nella repressione degli illeciti, la cui sanzionabilità a favore della Cassa delle ammende è condizionata, in radice, alla proposizione di un’ordinaria domanda di risarcimento del danno da parte del soggetto leso. Si assiste in altre parole ad un giudizio, che trae origine da una domanda di parte vòlta ad “un ‘ipotesi di sentenza in cui si richiede l’applicazione dell’art. 2043 c.c.”, nel quale si innesta la pretesa punitiva dello Stato, che “non si preoccupa in prima battuta di punire i colpevoli […] ma, se la persona offesa pretende il ristoro dei danni subiti, allora, nella persona del giudice investito della causa civile, pretende di punire il danneggiante- colpevole” (entrambe le citazioni sono tratte da Bove, Sull’introduzione di illeciti con sanzioni pecnuniaruie dal punto di vista del processualcivilista, in http://www.lanuovaproceduracivile.com/wp-content/uploads/2016/01/BOVEIllecitocivilesanzionepecuniaria_7_2016.pdf, § 2).

La seconda è che l’irrogazione della sanzione rientra nella discrezionalità del giudice civile, come si ricava dal fatto che il giudice “decide sull’applicazione” (art. 8, comma 2), che,  lessicalmente, lascia spazio ad un esito, basato anche su considerazioni d’opportunità, di non applicazione della sanzione  (l’opinione parrebbe confortata dal conforme parere espresso dall’Ufficio del Massimario, Settore penale, presso la Corte di cassazione, il quale nella relazione n. III/01/2016, in http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/RelIII_0116.pdf; in senso difforme invece Bove, op. loc. ult. cit.)    

Da questo punto di vista, dunque, il trasferimento della fattispecie in sede civile mira a creare un circolo virtuoso per cui, alleggerite le corti penali del “peso” portato dai procedimenti per i reati depenalizzati, non tutto quel peso viene scaricato sui tribunali civili ma soltanto quello che supera un duplice filtro: (i) l’effettiva proposizione di una domanda di risarcimento del danno da parte della persona offesa, e (ii) la valutazione discrezionale del giudice civile sull’opportunità di far seguire, alla commissione del fatto, l’applicazione della sanzione pecuniaria.  

  1. I riflessi penalistici della disciplina

Altre distonie riguardano la singolare intrasmissibilità per via ereditaria della soggezione alla sanzione pecuniaria (art. 10, comma 6), che non appare coerente con la natura civilistica che sembra improntare l’obbligazione lato sensu risarcitoria di chi ha commesso il fatto nei confronti dello Stato (e che sola giustifica l’attribuzione della relativa competenza al giudice civile); e la rilevanza delle caratteristiche oggettive e soggettive del danneggiante, rispetto all’attenzione tradizionalmente riservata dalla disciplina della responsabilità civile all’elemento oggettivo della vicenda risarcitoria e, in particolare, al danno cagionato al soggetto danneggiato.

Sotto quest’ultimo punto di vista l’art. 5, nell’elencare i “criteri di commisurazione” delle sanzioni, si riferisce infatti non soltanto ad aspetti oggettivi della commissione dell’illecito – quali la “gravità” del fatto [lett. a)] e la sua eventuale “reiterazione” [lett. b)] – ma anche a caratteri soggettivi dell’ “agente”, quali la “personalità [lett. e)] e le “condizioni economiche” [lett. f)]. In questo senso, tanta è la considerazione per la situazione economica del soggetto danneggiante che il legislatore ha avvertito la necessità di permettere espressamente la rateizzazione della sanzione pecnuniaria, sia pure con tre temperamenti: un limite massimo di mensilità (otto) e un importo minimo di 50 euro delle singole rate (art. 9, comma 2); la previsione di una decadenza dal beneficio del termine per cui, al primo ritardo nel pagamento, il residuo ammontare della sanzione “è dovuto in un’unica soluzione” (art. 9, comma 3).  

Un’ulteriore valorizzazione dei profili soggettivi dell’illecito emerge nella specifica regolamentazione dell’illecito civile d’ingiuria, che prevede una causa l’inapplicabilità della sanzione nei casi in cui lo stato d’ira dell’agente sia stato determinato dall’altrui fatto ingiusto (art. 4, comma 3), con ciò configurando, sulla falsariga della pregressa disciplina penalistica, una causa di non sanzionabilità della condotta dal punto di vista pubblicistico, inoperante però ai fini civilistici del risarcimento del danno così come l’eventuale reciprocità delle offese (art. 4, comma 2).

Non è d’altra parte l’unica incongruenza derivante dalla (talvolta pedissequa) trasposizione della normativa penale nel mutato contesto della responsabilità civile. La preoccupazione espressa dal legislatore con il divieto di sanzione quando la domanda di risarcimento sia stata notificata ex art. 143 c.p.c. (art. 8, comma 3) appare infatti eccessiva se si considera che, impedita l’applicazione pubblicistica di una somma in ogni caso non superiore a 12.000 euro (art. 4, comma 4), la notifica agli irreperibili non impedisce oggi (come non impediva prima del D.Lgs. 7/2016) l’emanazione di una condanna al risarcimento civilistico del danno causato da una condotta di reato (o corrispondente a reati depenalizzati) per somme anche esponenzialmente maggiori al limite edittale delle sanzioni pecuniarie civili.