15 Aprile 2020

La Corte di Cassazione conferma la possibilità di assoggettare a fallimento la società scissa

di Ludovica Carrioli, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. I, Sent. 21.2.2020, n. 4737 – Pres. Didone – Rel. Dolmetta

Massima: “Nel vigente sistema normativo, un fenomeno di riorganizzazione societario – quale, tra gli altri, è la scissione – come pure, più in generale, di modificazione della struttura conformativa del debitore, non può, come principio, realizzare una causa di sottrazione dell’impresa dalla soggezione alle procedure concorsuali..

Disposizioni applicate: art. 2506 c.c. – art. 10 l. fall.

Parole chiave: scissione – fallimento – riorganizzazione societaria

CASO

La Corte d’Appello di Torino, confermando il provvedimento reso dal giudice di prime cure, dichiarava il fallimento della società Alfa s.p.a., società cancellata dal registro delle imprese a seguito di scissione totale e assegnazione del patrimonio alle società Beta s.r.l. e Gamma s.r.l.

Avverso la sentenza della Corte territoriale, proponevano ricorso in cassazione tanto la società scissa Alfa s.p.a, quanto gli (ex) amministratori della medesima, sostenendo che (i) la scissione non dà vita ad un fenomeno successorio ed estintivo del soggetto che effettua la scissione, bensì si sostanzia in una mera modifica dell’atto costitutivo; (ii) l’art. 10, l.fall., concerne “gli imprenditori che cessano la loro attività”, fenomeno che non si verifica nel caso di scissione, poiché l’attività della società scissa continua senza soluzione di continuità in capo alle beneficiarie; (iii) dalla disposizione dell’art. 2506-bis, co. 3, c.c., può desumersi che – nell’ipotesi di scissione totale – le (sole) società beneficiarie rispondono in via solidale degli “elementi del passivo non desumibili dal progetto di scissione”, pur se nel “limite del valore del patrimonio netto loro trasferito” (responsabilità che si aggiunge a quella solidale ex art. 2506 quater c.c.) e, infine, (iv) deve negarsi l’utilità di una pronuncia di fallimento della società scissa, poiché l’unico risultato del fallimento della medesima è rappresentato da una moltiplicazione di procedure, con aggravio di costi e assenza di vantaggi concreti per i creditori e i soggetti coinvolti.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, dichiarando l’inammissibilità dei motivi di ricorso proposti dai ricorrenti, conferma la sentenza della Corte d’Appello di Torino precisando che, nel vigente sistema normativo, un fenomeno di riorganizzazione societario – quale è la scissione – e, più in generale, di modificazione della struttura conformativa del debitore, non può, come principio, realizzare una causa di sottrazione dell’impresa dalla soggezione alle procedure concorsuali.

QUESTIONI

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione conferma la possibilità di sottoporre a fallimento una società che ha effettuato un’operazione di scissione totale e che, al momento del compimento dell’operazione, possedeva i requisiti oggettivi e soggettivi per essere dichiarata fallita.

Secondo quanto argomentato dalla corte di legittimità, la scissione – ai sensi dell’art. 2506, co. 1 c.c. – consiste nell’assegnazione, totale o parziale, del patrimonio di una società (c.d. “società madre”) a più società, preesistenti o di nuova costituzione (c.d. “società figlie” o “società beneficiarie”) e, a differenza della fusione, comporta una disaggregazione della società che va ad incidere sul piano dell’operatività dell’impresa nonché sui rapporti di quest’ultima coi terzi, creditori e contraenti.

Pertanto, non può ritenersi che l’operazione in commento si risolva in una mera modifica dell’atto costitutivo, dovendo, invece, essere assimilata ad un “fenomeno di riorganizzazione societario” che, alla stregua di ogni operazione di modificazione della “struttura conformativa del debitore” non può integrare una causa di sottrazione dell’impresa alla soggezione a procedure concorsuali, anche laddove i creditori non abbiano esercitato opposizione alla scissione ex artt. 2506-ter e 2503 c.c.

A tale riguardo, non può non considerarsi il fatto che l’operazione in commento comporta (i) la terzietà delle società beneficiarie rispetto alla società scissa e (ii) il permanere di responsabilità in capo alla società madre.

In particolare, secondo la ricostruzione della corte, non può ritenersi che, a seguito della scissione si verifichi una sorta di identificazione soggettiva tra società madre e società beneficiarie: non a caso, all’art. 2506, co. 1, c.c., il legislatore utilizza il termine “assegnazione”, da intendersi – come si ricava dalle disposizioni di cui agli artt. 2798 e 2925 c.c. e 509 c.p.c. e 588 c.p.c. e ss. – come semplice “trasferimento di uno o più beni dal patrimonio di un soggetto a quello di un altro”. In tal senso depone, altresì, la previsione di cui all’art. 2506, co. 3 c.c., ai sensi del quale la società scissa, compiuta l’operazione straordinaria, può alternativamente “continuare la propria attività” ovvero sciogliersi (con successiva cancellazione dal R.I. ex art. 2495 c.c. ed estinzione della medesima).

Sotto il profilo della permanenza di responsabilità in capo alla società madre, invece, la corte sottolinea come, nel nostro ordinamento, qualsiasi ipotesi di esclusione o limitazione della responsabilità del debitore presupponga un’espressa previsione in tal senso (cfr. la norma dell’art. 2740 c.c., co. 2, c.c.). In tale ottica, non può ritenersi che il distinguo tra scissione parziale e totale operato dall’art. 2506-bis, co. 3, c.c. (ai sensi del quale “degli elementi del passivo, la cui destinazione non è desumibile dal progetto, rispondono in solido, nel primo caso, le società beneficiarie, nel secondo la società scissa e le società beneficiarie”), possa essere utilizzato quale elemento interpretativo a sostegno di una pretesa esclusione di responsabilità della società scissa, per l’ipotesi di scissione totale (così ragionando, potrebbe anche verificarsi l’ipotesi in cui nessuna società risponda più illimitatamente, considerato che per gli elementi del passivo la “cui destinazione non è desumibile dal progetto” di scissione, l’art. 2506-bis, co. 3, c.c. limita la responsabilità delle beneficiarie al “valore effettivo del patrimonio netto attribuito” a ciascuna di esse).

Ribadita, sul piano normativo, la fallibilità della società scissa, gli ermellini confermano, infine, l’utilità che il fallimento della società scissa può avere per i terzi e, in particolare, per i creditori, anche alla luce delle recenti pronunce in tema di bancarotta fraudolenta compiuta dall’amministratore della società scissa (Cass. pen., 17.4.2018, n. 17163), sulla revocatoria dell’operazione di scissione (Cass. n. 31654/2019), confermata anche dalla recentissima giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea (sentenza 30 gennaio 2020, sezione II, 394/18).