24 Novembre 2020

La competenza sull’opposizione all’esecuzione forzata promossa dal fallimento non è attratta al foro fallimentare

di Cecilia Vantaggiato Scarica in PDF

Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., (ud. 17-09-2020) 02-10-2020, n. 21009

La competenza a conoscere dell’opposizione alla esecuzione forzata promossa dall’imprenditore in bonis che in corso di giudizio sia stato ammesso a procedura concorsuale non spetta funzionalmente al Tribunale che abbia dichiarato lo stato di insolvenza, posto che non ricorre l’applicabilità né dell’art. 51 della legge fallimentare, né dell’art. 24 della stessa legge, trattandosi di un’azione preesistente alla dichiarazione di insolvenza e sulla cui prosecuzione non influiscono le regole della concorsualità.

CASO

Il curatore della fallita società (omissis) s.r.l. intimava con precetto a S.I. il pagamento di una somma di denaro; quest’ultima, s’opponeva. Il Tribunale lodigiano, tuttavia, accogliendo l’eccezione del Fallimento, declinava la propria competenza a favore del Tribunale di Milano, trattandosi dell’ufficio che aveva dichiarato il fallimento e che, dunque, ai sensi della L. Fall. ex art. 24 si sarebbe dovuto ritenere competente a conoscere tutte le azioni derivanti dal fallimento stesso. Il tribunale meneghino, ritenendosi a propria volta incompetente, sollevava d’ufficio ex art. 45 c.p.c. regolamento di competenza avanti alla Suprema Corte di cassazione.

SOLUZIONE

I giudici di Cassazione hanno ritenuto di condividere quanto prospettato nel regolamento di competenza da parte del giudice milanese, ritenendo che per individuare l’ufficio competente a conoscere dell’opposizione all’esecuzione debba farsi applicazione degli artt. 27 e 480 c.p.c.

QUESTIONI

Il dubbio legittimamente sollevato dal Tribunale milanese trae origine dalla formulazione dell’art 24 della Legge Fallimentare. La norma, infatti, riporta la regola generale in forza della quale “il tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore.”.

Invero, l’art. 24 ha subito numerose modifiche fino all’attuale testo licenziato con d. lgs. 169/2007, con cui è stato espunto il riferimento alle cause relative ai rapporti di lavoro, nonché la parte “eccettuate le azioni reali immobiliari, per le quali restano ferme le norme ordinarie di competenza”, ritenendo che dovessero parificarsi tali azioni a quelle aventi ad oggetto i diritti reali mobiliari (applicando di contro l’art 93 L.F.)

La competenza del tribunale fallimentare come individuata dall’art 24 L.F. è una competenza funzionale inderogabile che si radica avanti al tribunale che abbia pronunciato la sentenza di fallimento, intendendosi, come spesso accade, la locuzione “tribunale” come “ufficio giudiziario”: non rileva, infatti, la circostanza che la decisione venga presa da un giudice appartenente o meno al collegio o alla sezione fallimentare (sul punto, cfr. Cass. 1/04/2011, n. 7579, secondo cui il giudizio di revocatoria fallimentare, appartiene alla competenza funzionale, ai sensi dell’art. 24 l. fall., del tribunale che ha dichiarato il fallimento, senza che la decisione sia inficiata da nullità ove emessa da giudice monocratico non componente altresì la sezione fallimentare, essendo invero, quest’ultima, mera espressione dell’organizzazione interna del tribunale).

Il dibattito ha avuto ad oggetto la corretta interpretazione dell’inciso “azioni che derivano dal fallimento”.

Ebbene, il concetto di derivazione è ricollegabile all’idea che le azioni si trovino in un rapporto di dipendenza con la procedura fallimentare iniziata; si tratta cioè di situazioni nate direttamente dalla procedura stessa e senza la quale non potrebbero essere configurabili. La stessa S.C. ha già più volte ribadito che non possono ritenersi attratte nella sfera di competenza del tribunale fallimentare tutte le preesistenti azioni che, con il fallimento, stiano in relazione di mera occasionalità e che, con la sola sostituzione del curatore al precedente legittimato, restino soggette a tutte le regole processuali ad esse applicabili ove fossero state promosse dal fallito (vi rientrano, invece, le azioni che tendono a tutelare i diritti di credito vantati dal fallito nei riguardi dei terzi, aventi ad oggetto tanto l’accertamento quanto la condanna alla prestazione, senza che – in contrario – rilevi il virtuale conseguente recupero di mezzi alla massa, così Cass. civ. Sez. I, 15/02/1999, n. 1240).

La giurisprudenza ha individuato nel tempo un catalogo di azioni “derivanti” dalla procedura fallimentare e sottoposte alla competenza funzionale del tribunale fallimentare, ai sensi dell’art. 24 legge fall., perché incidenti sul patrimonio del fallito, tra cui vi rientra ad esempio la domanda di risoluzione del contratto finalizzata alla domanda di risarcimento del danno nei confronti della società fallita (Cass. civ. Sez. I Sent., 02/12/2011, n. 25868), ovvero le azioni del curatore volte a far dichiarare l’inopponibilità alla massa del contratto di locazione immobiliare stipulato dal fallito a norma dell’art. 2923 cod. civ. ovvero la risoluzione del medesimo contratto ai sensi dell’art. 80 legge fall., in deroga alla previsione di cui agli artt. 21 e 447 bis c.p.c. (Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 15/07/2015, n. 14844); o ancora, gli accertamenti che costituiscono premessa di una pretesa nei confronti della massa, anche quando siano diretti a porre in essere il presupposto di una successiva sentenza di condanna, (così Tribunale Roma Sez. lavoro Sent., 05/03/2018).

Ne deriva, dunque, che possono darsi due distinte interpretazioni della norma: una parte della dottrina sostiene che apparterrebbero alla competenza funzionale del tribunale fallimentare tutte le controversie che comunque incidano sul fallimento comprese quelle che abbiano per oggetto le pretese creditorie vantate dal fallito o la simulazione assoluta di un contratto; altra parte, invece, esclude quelle azioni che si trovavano già nel patrimonio del debitore al momento del fallimento o che si pongono in un rapporto di mera occasionalità e che resterebbero pertanto assoggettate alle regole processuali ordinarie.

La Suprema Corte, infatti, ha recentemente statuito come la vis attractiva di cui all’art. 24 della legge fall., che prevede l’attribuzione al tribunale che ha dichiarato il fallimento della competenza a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, eccettuate le azioni immobiliari, “riguarda esclusivamente le controversie che, anche se relative a rapporti preesistenti alla dichiarazione di fallimento, subiscono, per effetto di quest’ultima, una deviazione dal loro schema legale tipico, nel senso che il rapporto viene ad essere concretamente modificato, nel suo sviluppo fisiologico, dal fallimento stesso, il quale determina, anche sul piano del diritto sostanziale, una situazione particolare, in cui la competenza del tribunale fallimentare si inserisce quale elemento integrativo. A tale competenza, ed al conseguente assoggettamento al rito previsto dagli artt. 93 e ss. L.F. sono invece sottratte quelle azioni che, pur risultando strumentali rispetto all’interesse della massa, non trovano causa o titolo nella dichiarazione di fallimento, ma si pongono in relazione di mera occasionalità con la stessa, non riguardando la formazione dello stato passivo e non essendo destinate ad incidere sul patrimonio del fallito: nonostante gli eventuali riflessi che il loro risultato può avere sullo svolgimento della procedura, le stesse restano pertanto sottoposte alle regole processuali applicabili ove fossero state promosse dall’impresa in bonis, con la sola sostituzione degli organi della procedura alla persona fisica dell’imprenditore o, in caso di fallimento di società, agli organi che ne avevano la rappresentanza processuale (Cass. civ. Sez. I,  Ord., 20/03/2018, n. 6910). Si tratta, quindi, di situazioni giuridiche preesistenti al fallimento, che dalla procedura concorsuale non derivano, né da essa assumono particolari connotazioni, tanto che esse possano essere oggetto di azioni esercitate, o proseguite, dalla curatela davanti al giudice ordinariamente competente.

Tale è anche il giudizio di opposizione all’esecuzione individuale che abbia ad oggetto l’esistenza del diritto e dell’attuale titolarità da parte del fallito stesso (e, per esso della massa) e che sia stata promossa dal curatore nei confronti di un debitore del fallito. Ne deriva, pertanto, che la competenza a conoscere dell’opposizione alla esecuzione forzata promossa dall’imprenditore in bonis che in corso di giudizio sia stato ammesso a procedura concorsuale non spetta funzionalmente al Tribunale che abbia dichiarato lo stato di insolvenza, posto che non ricorre l’applicabilità né della L. Fall., art. 51, né della cit. L., art. 24, trattandosi di controversia inerente al diritto già esistente nel patrimonio del fallito e sulla cui prosecuzione non influiscono le regole della concorsualità (Cfr. Cass. 2487/2001, Cass. 15303/2004, nel caso dell’amministrazione straordinaria).