17 Maggio 2022

La clausola floor nell’elaborazione giurisprudenziale

di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDF

La clausola c.d. floor stabilisce un limite percentuale del tasso di interesse necessariamente dovuto dal cliente in pendenza del rapporto.

Le contestazioni relative alla pretesa invalidità della clausola floor inserita in contratto concernono di regola la sua asserita natura vessatoria nonché la qualificazione della stessa quale derivato finanziario implicito. Di seguito sono sinteticamente illustrate le argomentazioni con cui la giurisprudenza maggioritaria esclude profili di invalidità del tasso ‘pavimento’ (ex multis App. Bologna 28.10.2021; Trib. Sondrio 12.6.2020; App. Brescia 29.4.2020; Trib. Pordenone 24.4.2020; Trib. Treviso 12.3.2019; Trib. Rovereto 19.12.2020).

Sotto il primo profilo, la vessatorietà appare esclusa dall’art. 1341, comma 2 c.c., che contiene un elenco tassativo di clausole vessatorie (limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria) nel quale non rientra la clausola in questione.

La stessa non può neppure considerarsi vessatoria ai sensi dell’art. 33 e dell’art. 34 del Codice del consumo (D. Lgs. n. 206/2005), che al comma 1 dell’art. 33 prevede che “Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”, ma che, all’art. art. 34 (Accertamento della vessatorietà delle clausole), stabilisce altresì che “La valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile”. La valutazione sulla vessatorietà non può dunque riguardare il contenuto economico del contratto, salvo il caso in cui le clausole presentino un difetto di chiarezza e di comprensibilità (clare loqui).

La clausola floor non può neppure essere qualificata quale derivato finanziario ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al Testo Unico Finanziario e della ulteriore normativa di settore relative ai contratti finanziari, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di merito, non avendo la finalità di realizzare un investimento, o di gestire un rischio di cambio o di speculare sul tasso di cambio di una valuta estera (Trib. Sondrio 12.6.2020; App. Bologna 26.2.2019; Trib. Bologna 8.2.2018; Trib. Lanciano n. 142 del 2018; Trib. Trento 6.7.2017; Trib. sent. n. 196 del 2017; Trib. Treviso, sent. n. 1809 del 2016).

In particolare, nel contratto di finanziamento in cui la banca abbia consegnato al cliente mutuatario una somma di denaro e quest’ultimo si sia obbligato a restituirla successivamente, con previsione di una remunerazione (ossia il tasso di interesse) per il mutuante, anche ove sia presente una clausola floor non può ritenersi che il mutuatario avesse lo scopo di realizzare, con l’operazione bancaria, anche un investimento finanziario, non essendo ravvisabile il trasferimento di un rischio, che è tratto caratteristico di contratto derivato.

L’equiparazione della clausola floor ad uno strumento derivato è reputata « una vera e propria acrobazia logica e dialettica », considerato che non si è in presenza di un contratto d’investimento mobiliare ma di un contratto di mutuo, « dove la prestazione del mutuante è già avvenuta, mentre deve avvenire soltanto quella del mutuatario, e dove l’unica “alea” consiste proprio nell’inadempimento di quest’ultimo » (così Trib. Bologna 8.2.2018).

In definitiva, secondo la giurisprudenza maggioritaria la clausola floor costituisce esclusivamente una tecnica di determinazione convenzionale del tasso di interesse finalizzata a proteggere l’intermediario da una discesa dei tassi, garantendo a quest’ultimo una remuneratività ritenuta “minima” quale prezzo del proprio servizio.

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