6 Febbraio 2024

Impugnazione di una delibera condominiale inesistente

di Francesco Luppino, Dottore in legge e cultore della materia di diritto privato presso l'Università degli Studi di Bologna Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. 6-2, ordinanza 18.01.2023 n. 1367. Presidente L. Orilia – Estensore A. Scarpa

Massima:La delibera assembleare è inesistente quando manchi un elemento costitutivo della fattispecie del procedimento collegiale, sicché non può individuarsi strutturalmente l’espressione di una volontà riferibile alla maggioranza avente portata organizzativa. In tal caso i condomini non hanno alcun interesse ad impugnarla, non generando la stessa alcun pregiudizio ai loro diritti tale da legittimarne la pretesa ad un diverso contenuto della decisione. L’accertamento dell’inesistenza della deliberazione assembleare impugnata da un condomino non può, pertanto, determinare la soccombenza del condominio, che pure abbia contestato le ragioni di invalidità della stessa, dovendo restare soccombente pur sempre la parte che abbia azionato una pretesa accertata come infondata o resistito ad una pretesa fondata.

CASO

La vicenda processuale in commento riguarda una controversia insorta tra la condomina Tizia e il condominio Sempronio in merito all’impugnazione di due delibere approvate dall’assemblea del condominio.

In particolare, la condomina Tizia denunciava l’introduzione di nuovi criteri di ripartizione delle spese comuni e l’approvazione di nuove tabelle millesimali ovvero che tali deliberazioni fossero state assunte senza osservare il rispetto dell’unanimità richiesta dalla legge.

Per le suddette ragioni Tizia impugnava le suddette delibere innanzi al Tribunale di Varese, il quale si pronunciava rigettando la domanda relativa all’impugnazione della delibera concernente l’approvazione di nuove tabelle millesimali e dichiarava nulla la delibera che aveva introdotto nuovi criteri di ripartizione delle spese condominiali in difetto delle maggioranze richieste dalla legge.

Sia Tizia che il condominio Sempronio proponevano due contrapposti gravami.

In particolare, il condominio chiedeva alla Corte d’Appello di riformare la sentenza di primo grado e, più precisamente, di revocare la dichiarazione di nullità della delibera condominiale concernente la ripartizione delle spese e di rigettare tutti i motivi oggetto dell’impugnazione promossa dalla condomina.

La Corte d’Appello di Milano superava la prospettazione offerta dal giudice a quo e rilevava l’inesistenza della delibera afferente la ripartizione delle spese. Secondo il giudice milanese quest’ultima non era da considerarsi nulla poiché ai fini della sussistenza del vizio di nullità di una delibera (nel caso di specie per mancanza dei suoi elementi essenziali) è pur sempre necessario che la stessa sia identificabile e qualificabile come atto giuridico, ovvero come espressione sia pur viziata della volontà dei condomini riuniti in assemblea.

Invece, nel caso di specie, il collegio rilevava che dal verbale non emergeva alcuna manifestazione di volontà da parte dei condomini in merito alla ripartizione delle spese, pertanto, nessuna deliberazione sarebbe stata assunta sul punto.

Nonostante la dichiarazione di inesistenza della delibera impugnata, la Corte d’Appello rigettava il gravame proposto dal condominio, in quanto quest’ultimo, nelle sue conclusioni, aveva chiesto che venisse revocata la dichiarazione di nullità resa dal Tribunale.

Secondo i giudici della Corte territoriale, l’accoglimento del gravame proposto dal condominio avrebbe avuto «l’effetto di far rivivere un’ipotetica delibera assembleare di contenuto inesistente e come tale inidonea a produrre qualunque effetto giuridico».

In sostanza, secondo i giudici milanesi l’accoglimento della domanda avanzata in appello dal condominio avrebbe presupposto «l’esistenza di una delibera assembleare che possa essere emendata dal vizio di nullità», mentre, al contrario, dal verbale della stessa era emerso che in tale occasione l’assemblea non aveva manifestato alcuna volontà espressa in merito alla modifica dei criteri di riparto delle spese e, dal canto suo, il condominio non aveva chiesto una declaratoria di inesistenza.

Il condominio proponeva ricorso in Cassazione articolato su un unico motivo con il quale deduceva la nullità della sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello, in quanto affetta da un insanabile contrasto fra dispositivo e motivazione e comunque per evidente antinomia delle posizioni riportate nel contesto della decisione.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 1367 del 18.01.2023, ha accolto il ricorso del condominio, ritenendone fondato l’unico motivo, cassando la sentenza impugnata. Pertanto, ha rinviato la causa, anche in relazione alle spese dello stesso giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione, la quale dovrà riesaminare la causa tenendo conto dei rilievi svolti ed uniformandosi ai principi di diritto enunciati in sede di legittimità.

QUESTIONI

Come si è avuto modo di anticipare, la controversia oggetto della sentenza in commento prende avvio da una dinamica molto comune nell’ambito dei rapporti condominiali. Questi ultimi, infatti, sfociano spesso in delibere assunte in assenza delle maggioranze richieste dalla legge ai fini di una loro valida approvazione nonché nelle conseguenti impugnazioni delle stesse da parte dei condomini assenti, astenuti ovvero che hanno espresso il loro dissenso in sede assembleare.

Sul punto vale la pena ricordare che le impugnazioni di delibere condominiali possono avere ad oggetto l’annullabilità o la nullità delle statuizioni assunte dall’assemblea dei condomini. In particolare, la disciplina dell’impugnazione delle delibere assembleari è regolata dall’art. 1137 c.c. il quale, codificando il principio di maggioranza, dispone che sono annullabili i) le delibere che presentano vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, ii) le delibere adottate con una maggioranza inferiore a quella legalmente prevista o a quella dettata dal regolamento condominiale, iii) le delibere affette da vizi formali. Di converso, sono nulle[1] le delibere i) prive degli elementi essenziali, ii) con oggetto impossibile[2] o illecito, iii) aventi un oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, iv) le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o sui servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ciascun condomino.

Risulta di particolare interesse la differenza tra le categorie giuridiche dell’annullabilità e della nullità, considerando che la delibera annullabile è valida ed efficace sino a che non viene impugnata ai sensi dell’art. 1137 c.c., mentre la delibera affetta da nullità sarebbe da considerarsi invalida ab origine, e, pertanto, non avrebbe mai la forza di produrre effetti all’interno dell’ordinamento giuridico.

Orbene, nel caso in esame, il condominio con un unico motivo di ricorso deduceva la nullità della sentenza impugnata, in quanto affetta da un insanabile contrasto fra dispositivo e motivazione e comunque per evidente antinomia delle posizioni riportate nel contesto della decisione.

I giudici del Supremo Collegio non hanno condiviso la prospettazione del ricorrente in merito alla nullità della sentenza “poiché affetta da un insanabile contrasto fra dispositivo e motivazione”. Secondo i giudici di Piazza Cavour il provvedimento della Corte milanese risulta comunque idoneo a consentire alle parti di individuare correttamente il comando giudiziale in esso contenuto consistente nel rigetto del gravame proposto dal condominio conformemente alle considerazioni svolte nella stessa motivazione.

Gli Ermellini, invece, hanno condiviso la seconda prospettazione offerta dal condominio nell’unico motivo oggetto di ricorso, ossia che la sentenza impugnata denoti, piuttosto, un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ovvero la mancanza di una motivazione idonea a sorreggerla.

Nel caso di specie l’oggetto del giudizio d’appello non consisteva in un nuovo esame della domanda giudiziale già proposta, bensì nella verifica degli errori in fatto e in diritto nei quali era incorso il Tribunale in base alla dimostrazione degli stessi che avrebbe dovuto fornire il condominio appellante.

Tuttavia, il caso oggetto della sentenza in commento risulta di particolare interesse, in quanto, a fronte dell’impugnazione di una delibera condominiale da parte di una condomina, accolta dal giudice di primo grado con declaratoria di nullità della stessa, e a fronte dell’appello del condominio soccombente sul punto, il quale chiedeva di revocare tale dichiarazione di nullità, la Corte territoriale si è addirittura spinta a ravvisare l’inesistenza della medesima deliberazione, rigettando comunque l’appello del condominio poiché quest’ultimo si era limitato a domandare la revoca della declaratoria di nullità.

A fronte del risultato logico-giuridico raggiunto dai giudici della Corte meneghina nei termini ut supra esposti, gli Ermellini hanno indicato quali debbano essere i presupposti in presenza dei quali si può correttamente affermare l’inesistenza di una delibera condominiale.

Secondo il Supremo Collegio «una deliberazione condominiale può dirsi inesistente quando manchi un elemento costitutivo della fattispecie del procedimento collegiale, sicché non può proprio individuarsi strutturalmente l’espressione di una volontà riferibile alla maggioranza avente portata organizzativa». Nel caso in cui una deliberazione assembleare risultasse inesistente non si può affermare che i condomini siano portatori di un interesse ad agire per la sua impugnazione, poiché tale delibera non genererebbe alcun concreto pregiudizio ai loro diritti. Dal suddetto principio, secondo gli Ermellini, discende il seguente corollario: «l’accertamento dell’inesistenza della deliberazione assembleare impugnata da un condomino non può, allora, determinare la soccombenza del condominio, che pure abbia contestato le ragioni di invalidità della stessa dedotte dall’attore, dovendo restare soccombente pur sempre la parte che abbia azionato una pretesa accertata come infondata o resistito ad una pretesa fondata, e si sia perciò vista negare o togliere un bene della vita a vantaggio dell’avversario».

[1] Cassazione civile, SS.UU., sentenza 14 aprile 2021, n. 921.

[2] L’“impossibilità dell’oggetto” ricomprende sia la concezione materiale, qualora sia impossibile dare esecuzione ed attuazione materiale a quanto è stato deliberato dai condomini, sia la concezione giuridica, qualora la deliberazione non riguarda beni e manufatti comuni, da intendersi come condominiali, ma ha ad oggetto beni di proprietà individuale di ciascun partecipante alla comunione (“difetto assoluto di attribuzione”, come specificato dalle Sezioni Unite del 2021), ovvero ha ad oggetto finalità che esulano dal condominio.

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