11 Gennaio 2022

Anche l’uso eccessivo del bene che determina un suo deterioramento ricade sotto il divieto sancito dall’articolo 1102 c.c.

di Francesco Luppino, Dottore in legge e cultore della materia di diritto privato presso l'Università degli Studi di Bologna

Cassazione civile, sez. II, ordinanza 14.10.2021 n. 28080.  Presidente S. Gorjan – Estensore A. Carrato

«L’uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante è sottoposto dall’art. 1102 c.c. a due limiti fondamentali, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, con la conseguenza che a rendere illecito l’uso basta il mancato rispetto dell’una o dell’altra delle due condizioni, sicché anche l’alterazione della destinazione della cosa comune determinato non soltanto dal mutamento della funzione, ma anche dal suo scadimento in uno stato deteriore, ricade sotto il divieto stabilito dall’art. 1102 c.c. In particolare, l’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino, nell’essere assoggettato ai sensi del citato art. 1102 c.c., al duplice indicato divieto, implica che si debba ritenere che la condotta del condomino, consistente nella stabile o, comunque continuata, occupazione – mediante il reiterato transito o parcheggio per considerevoli periodi di tempo con autoveicoli – di una porzione del cortile comune o per l’ampiezza totale o quasi totale di esso, configuri un abuso, poiché impedisce agli altri condomini di partecipare all’utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alterando l’equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà ».

CASO

Il caso riguarda una situazione di condominio ove i rispettivi titolari della nuda proprietà e dell’usufrutto degli immobili convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Trani-sez. dist. di Molfetta, tre proprietari, condomini dei locali adibiti ad autorimessa, affinché agli stessi venisse ordinato di cessare il transito e la fermata degli automezzi dei quali erano titolari all’interno del cortile condominiale.

Il Tribunale adito rigettava la domanda di parte attrice e condannava la stessa al pagamento delle spese giudiziali.

La parte soccombente decideva di impugnare la decisione del Giudice di primo grado proponendo appello.

La Corte di Appello di Bari accoglieva il gravame e riformava la sentenza di primo grado inibendo agli appellati di attraversare e fermare i rispettivi automezzi nello spazio costituito dalla corte privata dalla quale si accedeva agli ingressi dei locali di loro proprietà, salvo motivi di soccorso ed ordine pubblico.

L’esito della CTU[1] disposta durante il processo confermava, infatti, i sospetti della Corte barese circa il pericolo che dalle attività di fruizione della predetta corte comune ad opera degli appellati potesse derivare un deterioramento dello stesso cortile quindi «un’alterazione della destinazione della cosa comune», ciò determinando una violazione dell’articolo 1102 c.c.

Gli appellati proponevano ricorso in Cassazione per censurare la sentenza a loro sfavorevole.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione dopo aver affrontato nel merito i motivi oggetto del ricorso ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., ha confermato per intero la decisione della Corte barese respingendo il gravame e condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali in favore della resistente. In particolare gli Ermellini hanno affermato che «non ha errato la citata Corte nel disporre l’inibizione dell’uso della cosa comune, anziché ordinare l’esecuzione di opere idonee ad evitare il suo danneggiamento, posto che gli originari attori avevano chiesto al Tribunale non già di ordinare la realizzazione di specifici interventi diretti ad impedire detto danneggiamento, bensì di impedire l’uso improprio (ed illegittimamente prevalente su quello degli altri condomini) del vico e dell’atrio comune».

QUESTIONI

La controversia ha sostanzialmente ad oggetto quello che si potrebbe definire un “eccessivo sfruttamento” di una porzione comune di un’area condominiale. Nel caso di specie parte attrice denunciava al Tribunale l’eccessivo utilizzo di una zona comune di transito che, a suo modo di vedere, a causa dei materiali (pavimentazione con basole calcaree) e della zona (impianto fognario sottostante) ove essa si trovava in concreto ubicata, avrebbe potuto subire un’alterazione della propria funzione, ovvero un irreversibile deterioramento.

  1. Nel caso della controversia oggetto della sentenza in commento, i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno analizzato il primo motivo posto a fondamento del gravame proposto dalla parte ricorrente, ossia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1102 c.c. In particolare, si lamentava il fatto che la condotta denunciata dagli originari attori e poi appellanti non poteva aver comportato il superamento dei limiti tutelati dalla norma richiamata, poiché il possibile deterioramento della pavimentazione e dell’impianto fognario, situato al di sotto della stessa, non sarebbe stato sufficiente per poter indurre l’organo giudicante ad inibire il transito dei veicoli di proprietà dei condomini, «rilevando il possibile disagio al più sotto il profilo risarcitorio».

In concreto, gli Ermellini hanno condiviso sia le risultanze della CTU, disposta ed eseguita nel corso del giudizio di secondo grado, sia le valutazioni espletate dalla Corte territoriale aventi ad oggetto le risultanze delle stesse, poiché trattasi di un «percorso logico-giuridico idoneamente sviluppato». Infatti, dai risultati delle operazioni svolte dal CTU è stato accertato che la pavimentazione dell’area comune si stava deteriorando a causa «della trasmissibilità delle vibrazioni dei veicoli su di essa transitanti o parcheggiati», pertanto, configurandosi una violazione dell’articolo 1102 c.c., dalla quale è lecito e legittimo che discenda l’inibizione dell’uso delle autorimesse di proprietà dei condomini.

Più volte la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito quali debbano essere i limiti dettati dall’articolo 1102 c.c. posti a tutela della “cosa comune”, in particolare, però, dovrà essere sempre fatta salva la destinazione originaria della stessa, nel senso che il disposto della norma codicistica richiamata consente a ciascun comproprietario di trarre dal bene comune un’utilità più intensa o anche semplicemente diversa da quella che ne deriva in concreto agli altri, a patto che non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso spettante per legge a tutti gli altri comproprietari[2]. In altri termini, ciò che occorre evidenziare è la regola in virtù della quale non sono ammesse alterazioni alla normale ed originaria destinazione della cosa comune che siano la conseguenza dell’utilizzo o di modifiche subite dalla stessa[3].

I giudici del Supremo Collegio hanno accertato la corretta interpretazione sia del testo che della “ratio” della norma in parola, rilevando che il transito dei veicoli riconducibili all’uso del cortile fatto da parte ricorrente, «non sporadico bensì continuo ed esercitato con varietà di automezzi anche di diversa natura e di differente peso», aveva prodotto criticità tutt’altro che di lieve entità circa la condizione ordinaria della “tenuta” della pavimentazione e le potenziali lesioni della condotta fognaria sottostante. Di fatto, quanto appena evidenziato rappresenterebbe, per i giudici cassazionisti, un «impedimento non consono», dal momento che risulta essere incisivo e quasi permanente, «alla fisiologica fruibilità dell’area comune», risultando sensibilmente alterata quella condizione di equilibrio che dovrebbe, invece, regnare sovrana tra i condomini nel godimento dell’oggetto della comunione.

D’altro canto il giudice di secondo grado ha interpretato correttamente anche la giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione, dal momento che quest’ultima ha ribadito in più occasioni che l’uso della cosa comune da parte dei partecipanti è soggetto, ai sensi dell’articolo 1102 c.c., a due limiti di fondamentale importanza: il divieto di alterare la destinazione della cosa comune e il divieto di impedire agli altri di farne parimenti uso secondo il loro diritto, con la conseguenza che a rendere illecito l’uso è sufficiente il mancato rispetto di uno di tali divieti, «sicché anche l’alterazione della destinazione della cosa comune determinato non soltanto dal mutamento della funzione, ma anche dal suo scadimento in uno stato deteriore ricade sotto il divieto stabilito dall’articolo 1102 c.c.»[4].

Per le ragioni e le considerazioni logico-giuridiche esposte, gli Ermellini hanno giudicato il primo motivo infondato rigettandolo, poiché l’uso del cortile di parte ricorrente aveva determinato «un permanente impiego dello stesso per un fine sostanzialmente ed incisivamente diverso da quello suo proprio, così determinando una vera e propria alterazione della sua ordinaria destinazione e non risolvendosi in un mero uso più intenso di tale bene».

  1. Invece, con la seconda censura la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2058 c.c., rubricato «risarcimento in forma specifica», sul presupposto che la sentenza impugnata fosse errata anche sul piano motivazionale, più nello specifico, nella parte in cui, anziché ordinare l’inibizione “ut supra”, avrebbe più propriamente dovuto consentire l’uso della parte comune oggetto di causa per consentire l’accesso dei condomini agli ingressi delle rispettive proprietà e, allo stesso tempo, ordinare l’esecuzione dei lavori necessari per conseguire l’eliminazione definitiva dei pericoli relativi alla conservazione ed alla staticità della pavimentazione dell’area comune e dell’impianto fognario situato al di sotto della stessa.

Tuttavia, anche tale motivo di gravame non è stato condiviso dai giudici di legittimità, anzi, è stato ritenuto privo di fondamento. Infatti, la Corte territoriale non si era pronunciata su una domanda diversa da quella riguardante la materia del contendere (contestata violazione dell’art. 1102 c.c.), essendosi, tuttalpiù, limitata ad un semplice richiamo dell’articolo 2058 c.c. al solo fine di motivare più opportunamente la propria decisione. Ad avviso degli Ermellini il giudice di appello «non ha errato nel disporre l’inibizione dell’uso della cosa comune, anziché ordinare l’esecuzione di opere idonee ad evitare il suo danneggiamento, posto che gli originari attori avevano chiesto al Tribunale non già di ordinare la realizzazione di specifici interventi diretti ad impedire detto danneggiamento, bensì di impedire l’uso improprio (ed illegittimamente prevalente su quello degli altri condomini) del vico e dell’atrio comune».

[1] La CTU aveva ad oggetto l’effettivo utilizzo in termini di natura e frequenza degli autoveicoli transitanti sulla corte comune.

[2] Cassazione civile, sez. II, sentenza 03.06.2015, n. 11445.

[3] Cassazione civile, sez. VI, ordinanza 18.01.2011, n. 1062.

[4] Cassazione civile, sez. VI II, ordinanza 18.03.2019, n. 7618; Cassazione civile, sez. II, sentenza 24.02.2004, n. 3640; Cassazione civile, sez. II, sentenza 15.07.1995, n. 7752.

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