30 Marzo 2021

Anatocismo e usura

di Fabrizio Cacciafesta - Professore ordinario di Matematica Finanziaria Scarica in PDF

Anatocismo e usura (nota a sentenza del Tribunale di Roma 8 febbraio 2021): un contributo del Prof. Fabrizio Cacciafesta 

Il Trib. Roma 8.2.2021 n. 2441 ha rilevato che «Qualora il piano di ammortamento sia calcolato utilizzando la formula matematica finanziaria della capitalizzazione composta, gli interessi sono qualificati sulla base di una formula esponenziale, mentre qualora sia calcolato secondo la formula della capitalizzazione semplice, gli interessi hanno uno sviluppo lineare», evidenziando altresì che «nel calcolo di mutui ultrannuali la capitalizzazione composta determina un maggior debito per interessi, nella stessa misura degli interessi anatocistici, ma senza che ciò derivi dal fenomeno anatocistico contemplato dall’art. 1283 c.c.» (dello stesso tenore, riguardo all’impiego della capitalizzazione composta nell’ammortamento alla francese, le conclusioni di Trib. Torino 15.9.2020 e 30.5.2019; Trib. Roma 5.5.2020).

L’utilizzo «occulto» della capitalizzazione composta pone un problema di violazione della normativa di trasparenza bancaria (art. 117 TUB), rileva ancora il Tribunale, «atteso che non dichiarando nel contratto il regime di capitalizzazione che governa il piano di ammortamento del prestito, si finisce per negare al mutuatario la effettiva conoscenza del meccanismo applicativo degli interessi».

Nella medesima decisione, il giudice ha ricompreso il «costo occulto» riveniente dall’applicazione del regime composto «nel computo del TEG»: a seguito dell’inclusione del «suddetto costo implicito, in aggiunta a tutte le altre commissioni, remunerazioni e spese, gli interessi corrispettivi pattuiti nel contratto del finanziamento de quo risultano usurari».

Di seguito un contributo del Prof. Cacciafesta, già professore ordinario di Matematica Finanziaria presso l’Università di Roma “Tor Vergata” – Facoltà di Economia, a commento dei profili matematico-finanziari della decisione del Trib. Roma 8.2.2021.

Avv. Fabio Fiorucci

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Sull’ormai annosa questione dei prestiti ad ammortamento “francese” la sentenza del Tribunale di Roma n. 2188 (8 febbraio 2021) propone un argomento del tutto nuovo per chi scrive e che, sempre a chi scrive, pare frutto di un fraintendimento inspiegabile. Sarà questo l’oggetto del terzo paragrafo della presente nota, il secondo essendo dedicato ad alcune osservazioni preliminari.

Avvertiamo che non intendiamo soffermarci sui valori numerici leggibili nella sentenza. Li considereremo senz’altro come correttamente calcolati dal punto di vista aritmetico: non siamo in possesso dei dati necessari per una valutazione diretta, né siamo ad essa interessati. Ci importa qui solo discutere la logica alla base del pronunciamento finale.

Nella sentenza, si ricorda essere costante orientamento[1] di quel Tribunale ritenere che il piano di ammortamento alla francese non determini di per sé alcun effetto anatocistico connesso alla illegittima capitalizzazione degli interessi pattuiti. Non riprendiamo questo aspetto, sul quale si contano ormai a decine le conclusioni (spesso contrastanti) dei tribunali italiani[2]. Semmai, vale la pena postillare la successiva affermazione secondo cui la peculiarità dell’ammortamento francese sarebbe soltanto quella della diversa costruzione delle rate costanti effettuata al solo fine di privilegiare, nel tempo, la restituzione degl’interessi rispetto alla quota capitale. In realtà, il solo fine dell’ammortamento francese è quello di offrire al debitore la possibilità di estinguere il suo debito mediante una serie di pagamenti tutti uguali: caratteristica che lo rende particolarmente gradito a chi sia percettore di un reddito fisso. Dal punto di vista del mutuante, è invece del tutto indifferente venire rimborsato con un piano di questo, o di qualunque altro tipo; quello che rileva per lui essendo infatti solo il tasso effettivo annuo dell’impiego. Conviene notarlo, a fronte del diffondersi della vera e propria “leggenda metropolitana” secondo la quale gli ammortamenti alla francese sarebbero i preferiti dagl’Istituti di credito, perché “più lucrosi”(?) per essi.

La sentenza prosegue osservando che, nel calcolo della rata del piano di ammortamento, vi sarebbe stata la capziosa sostituzione della legge dell’interesse semplice con quella dell’interesse composto. In realtà, non pare corretto parlare di “sostituzione capziosa” in relazione all’utilizzo di una formula del tutto standard, in uso esclusivo almeno da decenni. Non a caso, la prima delle due CTU utilizzate per la causa scrive (la sottolineatura è nostra): Le verifiche effettuate … permettono di affermare che il piano di ammortamento relativo al finanziamento oggetto di causa è un ammortamento alla francese correttamente applicato secondo le formule classiche della matematica finanziaria.

Resta valido il rilievo che il contratto non indica il regime finanziario impiegato, e la sentenza ricorda che la mancata pattuizione del regime finanziario … potrebbe comportare … anche la violazione dell’art. 117 TUB. Argomento sul quale non siamo certo in grado di pronunciarci.

Veniamo all’oggetto principale della nostra nota. Nella sentenza, si sostiene che il maggior onere a titolo di interessi conseguente dall’impiego della legge dell’interesse composto in luogo del semplice rappresenta un “costo occulto” che andrebbe esplicitamente inserito nel calcolo del TEG da confrontare con la soglia anti-usura. La seconda CTU, non sappiamo se di sua iniziativa o dietro espressa indicazione del Giudice, ha provveduto a calcolare la rata dovuta in interesse semplice: 604,31 euro, contro i 664,90 del caso composto, previsto (se si vuole: nascostamente) dal contratto[3]. Ha incluso, quindi, nel calcolo del TEG tale maggior costo sostenuto dal mutuatario; ed ha per questa via ottenuto il valore del 18,83%; superiore non solo al 13,68% indicato nel contratto, ma anche, e soprattutto, al tasso soglia usurario, che per quell’epoca e quella categoria ammontava al 16,65%[4].

 Ricapitolando: la rata richiesta (e di fatto pagata dal mutuante, per un certo numero di scadenze) è 664,90, e corrisponde ad un TEG del 13,68%. Poiché non era stato esplicitamente pattuito l’impiego dell’interesse composto, il Giudice ritiene che al mutuatario sia stato occultamente imposto un onere illegittimo di circa 60 euro per rata.

Il problema che vorremmo segnalare è che questa somma, più che “occulta”, era “occultata” nell’ammontare di 664,90. Il mutuante pagava periodicamente tale rata, ignaro che contenesse una parte non dovuta[5]; parte non dovuta di cui però il TEG del contratto (13,68%), ovviamente calcolato sulla base dell’intera rata, teneva e rendeva pienamente conto.

Non c’è dunque alcun bisogno di includere nel calcolo del TEG il maggior costo di 60 euro per scadenza: questo maggior costo già vi si trova. Con l’operazione eseguita, la CTU non ha fatto altro che duplicarlo. Fatto ciò, essa ha ottenuto un tasso (18,83%) che non misura il costo del reale prestito di 37.900 euro netti, rimborsati (al lordo di tutte le spese) con 84 rate mensili da 664,90; ma quello che risulterebbe se la rata fosse ammontata ad oltre 750 euro. Questo prestito inesistente sarebbe, esso sì, usurario.

[1] Qui e nel seguito, tutto quanto scritto in carattere corsivo è citazione letterale dalla sentenza.

[2] E sul quale ci siamo, del resto, già espressi. V. ad es. “A proposito dell’articolo ‘Sull’anatocismo nell’ammortamento francese'”; Banche e Banchieri, 4, 2015, pp. 528-533.

[3] Sorvoliamo, non perché sia trascurabile ma perché, al contrario, la sua importanza finirebbe per oscurare il filo del ragionamento che qui intendiamo svolgere, il fatto che la CTU ha individuato non “la” rata dovuta in interesse semplice (come abbiamo scritto) ma tre diverse misure di rata, alternativamente utilizzabili per rispondere ad uno dei quesiti posti dal Giudice: calcoli [la CTU] il rapporto dare ed avere in base al piano di ammortamento in capitalizzazione semplice. La CTU ha indicato tre possibili di tali piani: diamo qui i valori relativi al piano che produce i risultati meno lontani da quelli corrispondenti all’interesse composto.

[4] È forse bene avvertire che gli altri due piani di cui alla n. 2 portano a valori di TEG ancora maggiori.

[5] Non dovuta, naturalmente, se si accettano le precedenti conclusioni della sentenza…

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