29 Marzo 2022

È ammissibile la domanda riconvenzionale “complanare” dell’opposto anche in assenza di domanda riconvenzionale dell’opponente

di Stefania Volonterio, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, Sez. I, sent. 24 marzo 2022, n. 9633, Pres. Campanile, Est. Scotti

Opposizione a decreto ingiuntivo – Domanda riconvenzionale dell’opposto – Domanda riconvenzionale dell’opponente – Necessità – Esclusione – Riconvenzionale dell’opposto connessa per incompatibilità con la domanda monitoria – Ammissibilità

(Cod. Proc. Civ. artt. 167, 183, 645)

[I] In tema di opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto opposto può proporre con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata una domanda nuova, diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui l’opponente non abbia proposto una domanda o una eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto, qualora tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta (massima redazionale) 

CASO

Un consorzio proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con il quale i titolari di una azienda agricola chiedevano il pagamento di una indennità di espropriazione sulla quale tra essi e il consorzio era intervenuto un accordo.

Il consorzio opponente contestava l’efficacia dell’accordo e contestava altresì la correttezza dei calcoli dell’indennità effettuati dagli ingiungenti.

Questi ultimi si costituivano tempestivamente nel giudizio di opposizione e chiedevano, in via principale, il rigetto dell’opposizione e, in via subordinata, il risarcimento dei danni “per occupazione usurpativa dell’area, per il decorso dei termini di dichiarazione di pubblica utilità e del decreto di occupazione” e il pagamento “del valore della maggior quota di terreno occupata”.

Con sentenza non definitiva, il Tribunale revocava il decreto ingiuntivo opposto e rimetteva la causa in istruttoria per la determinazione dei danni lamentati dagli opponenti, infine pronunciando sentenza definitiva di condanna del consorzio al pagamento di una determinata somma a favore degli stessi opponenti.

Il consorzio impugnava la sentenza e il giudice di appello, in accoglimento del gravame, rigettava le domande degli opposti/appellati per inammissibilità della domanda da loro proposta, ritenendo che “gli attori sostanziali-convenuti opposti non potessero ampliare il thema decidendum prospettando una domanda subordinata diversa per causa petendi e petitum da quella originariamente proposta in sede di ricorso per decreto ingiuntivo volto ad ottenere il pagamento dell’indennizzo per espropriazione”.

Avverso questa sentenza gli opposti/appellati hanno proposto ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

La Suprema Corte inquadra innanzitutto la questione portata alla sua attenzione nel caso concreto: ci si chiede se sia ammissibile che la parte opposta, che nel ricorso per ingiunzione ha chiesto il pagamento di un indennizzo per espropriazione, possa, costituendosi nel giudizio di opposizione, formulare una domanda riconvenzionale (nel caso di specie in via subordinata), avente differenti petitum e causa petendi rispetto a quanto chiesto ai fini dell’ingiunzione.

La Corte richiama innanzitutto il risalente e consolidato orientamento in base al quale, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opponente è formalmente attore ma sostanzialmente convenuto, mentre l’opposto è formalmente convenuto ma sostanzialmente attore.

Da ciò deriverebbe l’impossibilità per l’opposto, in virtù, appunto, del suo ruolo sostanziale di attore, di introdurre in giudizio domande diverse da quelle già fatte valere con il ricorso per ingiunzione, salvo che sia l’opponente a formulare una domanda riconvenzionale, legittimando allora, e solo allora, una domanda riconvenzionale dell’opposto, che sia però dipendente dal titolo già dedotto in causa ovvero dedotto dall’opponente con detta domanda riconvenzionale o con una eccezione riconvenzionale.

Nel caso di specie, però, prosegue la Corte, la richiesta dell’opponente volta ad ottenere una rideterminazione/riduzione dell’indennità di espropriazione chiesta con il decreto ingiuntivo non integra né una domanda riconvenzionale né una eccezione riconvenzionale, non ampliando in alcun modo il thema decidendum.

La Corte svolge quindi una approfondita disamina dell’evoluzione giurisprudenziale in tema di jus variandi endoprocessuale, aderendo ai più recenti arresti, inaugurati con Cass., sez. un., 12310/2015 (che la Corte definisce “arresto fondamentale”), secondo i quali la modificazione della domanda in limine litis può riguardare sia gli elementi oggettivi che soggettivi della domanda, o entrambi detti elementi, purché si mantenga una connessione con “la vicenda sostanziale dedotta in giudizio”.

Ciò posto, la Corte si chiede se questo “elastico jus variandi, disancorato dal rigoroso rispetto dei criteri di identificazione della domanda e collegato piuttosto all’identità sostanziale della vicenda” possa valere, oltre che per il processo ordinario di cognizione, anche per lo speciale procedimento monitorio e la sua conseguente fase di opposizione.

Al quesito la Corte dà risposta sicuramente positiva, poggiando essa, in generale ed anche nel caso specifico dell’opposizione a decreto ingiuntivo, su una evidente “logica del sistema processuale introdotto dalla Novella del 1990” e sul rispetto dei principi costituzionali che reggono l’economicità processuale e la ragionevole durata del processo, e perseguendo altresì tale soluzione la “migliore giustizia sostanziale”.

La Suprema Corte non manca infatti di evidenziale come, diversamente opinando, si finirebbe “con il ritardare e condizionare l’iter processuale, come avverrebbe se l’attore fosse costretto, anziché proporre la domanda riconvenzionale conseguenziale, a instaurare altro separato giudizio”, mentre si deve aderire all’idea che la possibilità di “correzioni di tiro e anche cambiamenti” prima della fase di trattazione abbiano anche lo scopo di “massimizzare la portata dell’intervento giurisdizionale richiesto, così da risolvere in maniera tendenzialmente definitiva i problemi che hanno portato le parti dinanzi al giudice, evitando che esse tornino nuovamente in causa in relazione alla medesima vicenda sostanziale”.

La Cassazione evidenzia quindi che “la chiave del sistema è offerta dal concetto fondamentale di ‘consequenzialità’”, sicché esso deve essere il punto di riferimento nelle valutazioni del giudice in merito all’ammissibilità di nuove domande come quella della quale si discute.

La Corte evidenzia poi che “l’ammissibilità della reconventio reconventionis non può essere subordinata alla formulazione da parte del convenuto di una vera e propria domanda riconvenzionale, tenuto conto del contenuto letterale dell’art. 183, comma 5, primo periodo, cod. proc. civ.”, sicché anche “il convenuto opposto [può] proporre una domanda riconvenzionale, legittima in quanto riconducibile alla stessa vicenda processuale … anche quando l’attore opponente non abbia proposto una domanda riconvenzionale propriamente detta richiedendo una pronuncia ampliativa del thema decidendum ma si sia limitato a chiedere il rigetto della domanda accolta con il decreto ingiuntivo opposto con la proposizione a tal fine di eccezioni in sensi stretto”.

La Suprema Corte accoglie quindi il ricorso proposto dal consorzio opponente.

QUESTIONI

La sentenza in esame costituisce un nuovo rilevante arresto nell’ambito delle ampie e dibattute questioni legate ad una delle principali peculiarità del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, in quanto a “parti invertite”.

Alla parte opposta, attore in senso sostanziale, è sempre stata concessa la facoltà di proporre domande nuove (riconvenzionali) solo ove conseguenti alle eccezioni o alle domande riconvenzionali dell’opponente, mentre nel caso che ci occupa la Corte ritiene ammissibile la riconvenzionale della parte opposta anche nel caso in cui le difese dell’opponente non abbiano portato alcun ampliamento del thema decidendum idoneo, secondo la giurisprudenza tradizionale, a fondare il diritto della controparte di reagire anche per mezzo di una nuova domanda.

Un ampliamento di vedute recente abbracciato anche da Cass. 4713/2022, secondo la quale “è da ammettere e riconoscere, …, la possibilità che l’opposizione a decreto ingiuntivo rechi – ovvero contenga nel suo stesso “corpo” – unitamente alle difese e alle eventuali domande riconvenzionali dell’”ingiunto”, altresì la domanda di un soggetto terzo, domanda, quest’ultima, connessa per titolo o per oggetto alla domanda monitoria dell’iniziale ricorrente oppure alla domanda riconvenzionale dell’opponente ovvero connessa perché, la domanda del terzo – postulante, in tutto o in parte, la soluzione di questioni identiche a quelle involte dalla domanda monitoria o dalla domanda riconvenzionale dell’”ingiunto”, principio con il quale la Suprema Corte privilegia una soluzione di economicità processuale che va quindi al di là di rigide strutture processuali.

Anche nel caso che ci occupa la Suprema Corte propone una soluzione che poggia sui fondamentali principi del giusto processo e dell’economia processuale, evidenziando in modo esplicito la volontà che la tutela giurisdizionale sia effettiva e massimamente volta a comporre tutte le questioni che contrappongono le parti che si sono rivolte alla giustizia per trovare una definizione.

Elemento cardinale rimane comunque il concetto di “consequenzialità”, che abilita “il giudice a valutare pragmaticamente la sussistenza del collegamento tra la domanda introdotta alla udienza di trattazione [nel caso specifico quella introdotta dalla parte opposta, n.d.r.] e l’esigenza difensiva tracciata dalle allegazioni contenute nella comparsa di risposta del convenuto [qui l’atto ci citazione in opposizione, n.d.r.] per ravvisarvi quelle allegazioni di fatti idonei a radicare eccezioni anche in senso lato che potrebbero, ove non contestate, condurre al rigetto della domanda”.

L’ampliamento del thema decidendum, quindi, dovrà mantenersi in ambiti di connessione con ciò che è già stato dedotto, pena, in caso contrario, la creazione di un procedimento talmente “aperto” da essere allora contrario proprio all’economicità processuale che si vuole difendere e, ancor prima, alla razionalità del giudizio.

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