22 Aprile 2016

Accoglimento parziale di domanda giudiziale e compensazione delle spese: verso un ampliamento del concetto di soccombenza reciproca ex art. 92 c.p.c. ?

di Andrea Ricuperati Scarica in PDF

Cass., 22 febbraio 2016, n. 3438

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Spese processuali civili – Riforma della sentenza impugnata – nuovo regolamento delle spese processuali – criteri – esito complessivo della lite (C.p.c. artt. 91, 92, 352)

Accoglimento parziale dell’unica domanda giudiziale dell’attore – soccombenza reciproca – sussiste (C.p.c. artt. 91 e 92 )

Attribuzione del carico delle spese processuali – principio di causalità (imputabilità degli oneri processuali) – applicazione – necessità – eventuale compensazione – facoltà (C.p.c. artt. 91 e 92 )

 [1] Quando riforma (in tutto od in parte) la sentenza impugnata, il giudice del gravame procede – sulla base dell’esito complessivo della lite – ad una nuova regolazione, anche d’ufficio, delle spese di tutti i gradi della causa.

[2] La soccombenza – ossia la non coincidenza fra le richieste avanzate e la decisione del giudice – deve intendersi reciproca non solo nell’ipotesi di una pluralità di domande contrapposte, che siano state accolte o respinte, ma anche laddove l’unica domanda attorea abbia trovato accoglimento per alcuni dei suoi capi o in misura quantitativamente inferiore rispetto a quella proposta.

[3] Nella regolazione delle spese di lite, il giudice deve individuare la parte cui sono imputabili gli oneri del processo per avervi dato causa con domande o difese infondate; pertanto l’attore parzialmente vittorioso può essere condannato al rimborso delle spese in favore del convenuto, qualora i costi sopportati dal primo per far valere le domande fondate siano minori di quelli sostenuti dal secondo per difendersi dalle pretese infondate e – ovviamente – nei limiti dell’eccedenza di questi ultimi rispetto ai primi

CASO
[1, 2, 3] Tre persone, danneggiate da un sinistro stradale, avendo ricevuto dalla compagnia assicuratrice un risarcimento a loro avviso incompleto, agiscono in giudizio per il ristoro degli asseriti danni residui.

Il Tribunale di Grosseto in prime cure accoglie parzialmente la domanda di uno solo di essi, condannando la convenuta al versamento di una somma inferiore a quella da lui rivendicata e compensando integralmente – anche nei confronti delle parti le cui richieste erano state disattese in toto – le spese di lite.

La Corte d’Appello di Firenze, adìta in secondo grado, riconosce a chi aveva visto in parte accolte dal Tribunale le proprie pretese un’ulteriore quota di danno (comunque minore rispetto al domandato), mentre respinge le altre domande e condanna tutti gli appellanti al rimborso di 3/4 delle spese del grado, compensando il restante 1/4.

Avverso la sentenza viene interposto dai soccombenti ricorso per cassazione; in particolare (per quanto qui rileva), viene censurato per violazione/falsa applicazione di legge il capo relativo alle spese processuali, ritenendosi illegittima la condanna dell’attore parzialmente vittorioso (per essergli stata liquidata una quota di danno maggiore di quella riconosciuta in I grado) alla rifusione di una frazione delle spese processuali.

SOLUZIONE
[1, 2, 3] Il Supremo Collegio rigetta l’impugnazione, affermando – per ciò che interessa nella presente sede – che:

  • la Corte d’Appello ha applicato la regola della compensazione parziale delle spese ex 92 c.p.c., ritenendo le parti parzialmente e reciprocamente soccombenti in relazione all’esito complessivo della controversia;
  • va ravvisata una situazione di soccombenza reciproca, legittimante la pronuncia di compensazione, anche nella fattispecie (come quella in esame) in cui la parzialità dell’accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo, atteso che – se così non fosse – l’attore, in quanto non soccombente, non avrebbe titolo per impugnare la sentenza che ne avesse accolto solo in parte il petitum;
  • il principio di causalità, da applicarsi ai fini dell’individuazione del soggetto tenuto al rimborso delle spese processuali (nel senso che queste sono a carico di chi, agendo o resistendo con forme ed argomenti non rispondenti al diritto, abbia dato causa al processo od alla sua protrazione), deve essere raccordato con la (unitaria) nozione di soccombenza, con i seguenti corollari:
    1. quando una parte è totalmente vittoriosa, ogni onere va accollato al soccombente, esclusivo responsabile del processo;
    2. quando v’è soccombenza reciproca (e tale è pure l’ipotesi del solo parziale accoglimento dell’unica domanda attorea), il giudice ha facoltà di dar corso alla compensazione, sulla base del criterio dell’imputabilità soggettiva dei costi della lite, con gli esiti seguenti:
      • nessuna compensazione, se gli oneri del processo sono ritenuti ascrivibili di fatto ad una sola parte: ciò che accadrà, ad esempio, laddove la differenza tra il petitum e l’accolto sia di entità del tutto trascurabile;
      • compensazione integrale, se sono reputati sostanzialmente equivalenti gli oneri imputabili a ciascuna parte;
      • compensazione parziale, in caso di ritenuta prevalenza degli oneri imputabili ad una parte: e l’attore parzialmente vittorioso potrà essere condannato al rimborso delle spese in favore del convenuto, qualora i costi sopportati dal primo per far valere le domande fondate siano minori di quelli sostenuti dal secondo per difendersi dalle pretese infondate e – ovviamente – nei limiti dell’eccedenza di questi ultimi rispetto agli oneri attorei;
  • nella vicenda sottoposta all’esame del giudicante, la Corte d’Appello di Firenze ha – con motivazione congrua ed immune da vizi logico-giuridici – reputato che l’aver la compagnia assicuratrice risarcito la quasi totalità del danno reclamato ex adverso pochi giorni dopo l’instaurazione del giudizio, nonché il notevole scarto fra l’importo preteso dall’attore e quello effettivamente liquidatogli in sede contenziosa, giustificassero la compensazione parziale e la valutazione di prevalenza degli oneri processuali della convenuta su quelli dell’attore ai fini della condanna del medesimo al rimborso del differenziale.

QUESTIONI
[1] Il principio per cui, in caso di riforma parziale, il giudice del gravame deve procedere anche d’ufficio ad una nuova regolamentazione delle spese processuali di tutti i gradi, sulla base dell’esito complessivo della controversia, è assolutamente consolidato (v., tra le più recenti, Cass., 20 marzo 2014, n. 6522; Cass., 18 marzo 2014, n. 6259).

La sentenza in commento si pone in consapevole contrasto con quel cospicuo orientamento giurisprudenziale (Cass., 12 maggio 2015, n. 9587; Cass., 26 maggio 2006, n. 12629; Cass., 9 marzo 2004, n. 4755; Cass., 21 marzo 1994, n. 2653; Cass., 9 aprile 1986, n. 2496), secondo il quale il parziale accoglimento della domanda attorea non integra gli estremi della soccombenza reciproca, ma al più legittima l’esclusione del diritto alle ripetizione delle spese eccessive/superflue, oppure la compensazione per giusti motivi (a norma del testo originario dell’art. 922 c.p.c.), mentre la condanna della parte vincitrice al rimborso delle spese di lite sarebbe possibile nella sola ipotesi di trasgressione dei doveri di lealtà e probità previsti dall’art. 88 c.p.c..

Il Supremo Collegio ha inteso dare continuità alla diversa opinione (espressa da Cass., 10 novembre 2015, n. 22871; Cass., 23 settembre 2013, n. 21684; Cass., 23 gennaio 2012, n. 901; Cass., 21 ottobre 2009, n. 22381), che ricomprende l’accoglimento parziale della domanda – ivi inclusa la discrepanza meramente quantitativa tra il bene della vita richiesto e quello riconosciuto in via giudiziale – nel novero delle ipotesi di soccombenza reciproca.

Tale difformità di vedute tra arresti giurisprudenziali aveva una rilevanza pratica abbastanza limitata sotto la vigenza del testo del comma 2 dell’art. 92 anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 4511 L. n. 18.6.2009, n. 69 (essendo la parzialità dell’accoglimento della domanda attorea comunemente classificata, come si è testé ricordato, fra i “giusti motivi” ai quali la norma subordinava la facoltà di compensare in tutto o pro quota le spese di lite); e detta rilevanza sembrava non essere aumentata più di tanto nel vigore della versione “intermedia” del disposto dell’art. 922 c.p.c. (quella applicabile ai procedimenti sorti tra il 4 luglio 2009 ed il 10 dicembre 2014), in quanto, almeno in caso di scarto notevole tra il (maggior) petitum ed il (minor) decisum, non appariva peregrina la tesi dell’annoverabilità di siffatta circostanza tra le “gravi ed eccezionali ragioni” suscettibili di legittimare la pronuncia di compensazione.

Dopo la modifica inserita dall’art. 131 D.L. 12.9.2014, n. 132 (conv. in legge dalla L. 10.11.2014, n. 162), invece, l’adesione all’uno od all’altro orientamento s’appalesa foriera di corollari non trascurabili, in quanto la soccombenza reciproca è – insieme alla “assoluta novità della questione trattata” ed al “mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti” – diventata l’unica ipotesi di legittima compensabilità delle spese processuali.

Non constano precedenti a proposito dell’argomentazione relativa alla prevalenza degli oneri processuali imputabili, che ha condotto la Corte di Cassazione a giustificare l’addebito in capo alla parte parzialmente vittoriosa di una quota delle spese processuali sostenute dall’avversario; addebito, questo, che (a quanto risulta) non era sinora stato sancito neppure da chi aveva ricollegato l’accoglimento parziale della domanda alla categoria della soccombenza reciproca.