28 Settembre 2015

Autosufficienza del ricorso per Cassazione e violazione dei canoni ermeneutici del contratto

di Carmelita Rizza Scarica in PDF

Cass., Sez. V, 24 luglio 2015, n. 15647

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Ricorso per cassazione – interpretazione del contratto – limiti di ammissibilità – onere di autosufficienza
(C.c., art. 1362, art. 1363; C.p.c., art. 360, co. 1, n. 3)

[1] Poiché la ricostruzione della volontà contrattuale è indagine di merito preclusa al giudice di legittimità censurabile in Cassazione esclusivamente per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, il motivo di ricorso che lamenti tale vizio deve contenere, a pena di inammissibilità, non solo la specificazione dei canoni in concreto violati e la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, ma la trascrizione integrale delle clausole contrattuali oggetto di interpretazione, in ossequio al principio di autosufficienza. 

CASO
[1] La Commissione Tributaria Regionale di Napoli conferma una pronuncia di primo grado di accoglimento dell’impugnazione di un avviso di accertamento per omessa fatturazione di imponibile IVA relativa all’anno di imposta 1998, con riferimento ai bonus qualitativi riconosciuti al concessionario in proporzione al fatturato. L’invalidità dell’atto impositivo viene affermata sulla base dell’argomento che, per essere il bonus assoggettato ad IVA, esso deve maturare in relazione ad un’attività del concessionario «dipendente» da obbligazioni del contratto di concessione.

Tale dipendenza può non essere ravvisabile, e non viene riscontrata nel caso di specie, per i contratti di concessione conclusi anteriormente all’entrata in vigore del Reg. CE 1400/2002. Contro la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, lamentando l’erronea interpretazione della reale volontà contrattuale delle parti e sostenendo che, nella configurazione del rapporto, gli aspetti qualitativi dell’attività del concessionario erano oggetto di una prestazione accessoria, remunerata, appunto, dai bonus in discorso.

SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, e la ragione assorbente di rigetto, costituita dal deficit di autosufficienza del ricorso – nella specie proposto ai sensi del solo n. 3 dell’art. 360 c.p.c. – va ad integrare la ratio decidendi per cui l’interpretazione della volontà delle parti in relazione al contenuto del contratto o di sue singole clausole è indagine di merito il cui esito non è sindacabile in sede di legittimità, se non per violazione delle regole legali di interpretazione e difetto di motivazione (la pronuncia è infatti resa su ricorso proposto nella vigenza della formula dell’art. 360 n. 5 c.p.c. antecedente alla riforma del 2012).

La Suprema Corte ricorda che il ricorrente che proponga una censura di violazione dei canoni ermeneutici del contratto (attinenti, nella specie, alla ricostruzione dell’intenzione soggettiva dei contraenti, ex artt. 1362 ss. c.c.), ha l’onere di trascrivere integralmente le clausole della cui corretta interpretazione dubita.

QUESTIONI
[1] 
La pronuncia in commento ripropone un orientamento consolidato della Cassazione in tema di autosufficienza dei motivi di ricorso, di cui vengono richiamati alcuni dei numerosi precedenti.

Essa riguarda un ricorso proposto ai sensi del solo n. 3 dell’art. 360 c.p.c. ed il principio ribadito in questa occasione rafforza il convincimento che – anche a seguito della riforma limitativa del c.d. vizio di motivazione di cui alla novella del 2012 – l’osservanza del canone di autosufficienza rappresenta ibridamente un requisito di ammissibilità del motivo di ricorso e un mezzo necessario per evitare che la Corte si ritragga dal sindacato sul motivo perché inerente una quaestio voluntatis riservata al giudice di merito.

Solo tramite la trascrizione del contenuto contrattuale da interpretare è infatti possibile la evidenziazione del contrasto tra ciò che il giudice ha inteso e ciò che sarebbe stato ragionevole intendere sulla base della corretta applicazione dei canoni ermeneutici che il ricorrente assume essere stati violati.

Si tratta probabilmente di un uso impuro ma in qualche modo inevitabile del canone dell’autosufficienza, dovuto a quella che, secondo solida interpretazione, rappresenta la sua connotazione funzionale: dare specificità all’impugnazione, consentendo l’esatta identificazione dell’errore denunciato. Si ritiene che tale identificazione sussista essenzialmente sotto il profilo materiale-topografico e non tanto su quello tecnico-giuridico (per tali considerazioni e su questi temi, cfr. Roberto Poli, Specificità, autosufficienza e quesito di diritto nei motivi di ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc. 2008, 1257 ss. e ivi anche per riferimenti).

Tuttavia, spesso la Suprema Corte condiziona all’osservanza del canone di autosufficienza la verifica del carattere non meritale della questione sollevata col motivo, come sembra essere accaduto nel caso di specie.