28 Giugno 2022

Il dogma della “doppia” eccezione di nullità della testimonianza resa da soggetto incapace ai sensi dell’art. 246 c.p.c. (finalmente) al vaglio delle Sezioni unite

di Massimo Montanari, Professore ordinario di Diritto processuale civile e di diritto fallimentare – Università degli Studi di Parma Scarica in PDF

Cass., ord., 9 giugno 2022, n. 18601, Pres. Spirito – Rel. Pellecchia

Prove civili – Prova testimoniale – Incapacità del teste – Rigetto dell’eccezione di inammissibilità della prova – Nullità della prova assunta – Onere di deduzione della nullità entro la prima difesa successiva – Rimessione alle Sezioni unite (C.p.c. artt. 156, 157, 177, 246, 374)

Massima:In considerazione dei contrasti giurisprudenziali sul punto e della rilevanza di massima della questione, deve essere disposta la rimessione alle Sezioni Unite, affinché sia valutata l’attualità e l’effettiva portata del principio secondo cui l’incapacità a testimoniare, prevista dall’art. 246 c.p.c., determina la nullità della deposizione e non può essere rilevata d’ufficio, ma va eccepita dalla parte interessata a farla valere al momento dell’espletamento della prova o nella prima difesa successiva, restando altrimenti sanata ai sensi dell’art. 157, comma 2, c.p.c., senza che la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare possa ritenersi comprensiva dell’eccezione di nullità della testimonianza ammessa ed assunta nonostante l’opposizione”.

CASO

[1] A séguito del tamponamento di una motocicletta provocato da autovettura non identificata, il soggetto che si trovava alla guida del mezzo aveva perso la vita, mentre altra persona che si trovava a bordo dello stesso veicolo aveva riportato gravi lesioni. Nel giudizio risarcitorio promosso da congiunti ed eredi della parte deceduta contro la società assicuratrice individuata, nella specie, in qualità di impresa designata alla gestione dei sinistri a carico del Fondo Garanzia Vittime della Strada, era stata disposta l’audizione testimoniale del terzo trasportato. Ma tanto il tribunale adito in primo grado che la Corte d’appello avevano ritenuto inutilizzabili le relative deposizioni, trattandosi di soggetto che, avendo maturato un credito risarcitorio in relazione alla medesima vicenda fattuale, avrebbe avuto titolo per intervenire nel processo, così da non potervi prestare testimonianza in conformità a quanto previsto dall’art. 246 c.p.c.; né potendosi addurre in senso contrario il fatto che quel credito risarcitorio fosse stato, nel frattempo, integralmente soddisfatto dall’istituto assicuratore, giusta quel consolidato orientamento giurisprudenziale (cui i predetti giudici ha dichiaratamente prestato adesione) secondo cui non vale a rimuovere l’impedimento alla testimonianza  del terzo interessato nella causa il sopravvenuto perfezionamento di una fattispecie estintiva del diritto soggettivo fondante quell’interesse (cfr. Cass., 28 settembre 2012, n. 16541; Cass., 28 luglio 2011, n. 16499).

L’inutilizzabilità di quelle deposizioni, in una alla reputata inattendibilità delle dichiarazioni rese dall’altro testimone escusso in corso di causa, avevano portato al rigetto dell’azione risarcitoria esercitata nell’occasione. Avverso tale decisione, adottata in prime cure e confermata in appello, una delle parti attrici ha allora proposto ricorso in cassazione, deducendo, inter alia, l’errore che i giudici di merito avrebbero perpetrato disattendendo quell’autentico tòpos della giurisprudenza di legittimità, a mente del quale la nullità della testimonianza resa da persona incapace, siccome portatrice di interesse che ne avrebbe legittimato l’intervento in giudizio, deve essere eccepita subito dopo l’espletamento della prova ai sensi dell’art. 157, co. 2, c.p.c., sicché, in mancanza di tempestiva eccezione, deve intendersi sanata, senza che l’eccezione di incapacità a testimoniare svolta in via preventiva, ossia a monte e in funzione impeditiva dell’ammissione della prova, possa ritenersi comprensiva dell’eccezione di nullità della testimonianza che sia stata poi egualmente ammessa e assunta: insegnamento rimasto, nella fattispecie, inosservato, dal momento che, della prova testimoniale di cui i giudici di merito hanno affermato non doversi tener conto, parte convenuta aveva sì eccepito l’inammissibilità, a cagione dell’incapacità a testimoniare del soggetto chiamato a deporre, ma, una volta che la prova era stata, a dispetto di ciò, ammessa e dipoi raccolta, aveva completamente trascurato di denunciare la conseguente nullità.

SOLUZIONE

[1] Nella misura in cui evidenziante il contrasto con un filone applicativo la cui graniticità è attestata dall’elenco pressochè interminabile di precedenti conformi riportato nella pronuncia in commento (soltanto tra le testimonianze più recenti, cfr. Cass., 20 aprile 2021, n. 10374; Cass., 9 novembre 2020, n. 25021; Cass., 27 novembre 2019, n. 30995; Cass., 19 novembre 2019, n. 30065; Cass., 28 giugno 2019, n. 17607), l’esperito ricorso di legittimità pareva destinato a sicuro e immediato successo. Ma anziché quietamente accodarsi a quell’indirizzo, la Terza Sezione della Suprema Corte ha reputato doveroso procedere a un riesame senza pregiudizi o condizionamenti di fondo delle relative fondamenta sistematiche: e questo le ha permesso di metterne a fuoco profili di debolezza e apoditticità che hanno reso opportuna la devoluzione del ricorso alle Sezioni unite, allo scopo di veder definitivamente acclarate l’effettiva portata di quel principio giurisprudenziale e la sua persistente attualità.

Nel quadro di detto riesame, ampio spazio è stato dedicato a quella che la Corte ha identificato come l’autentica leading decision in materia, vale a dire Cass., 4 agosto 1990, n. 7869. Ma lo scrutinio cui tale pronuncia è stato sottoposto non si è rivelato risolutivo. La Corte ha certo rilevato che uno degli argomenti cui era affidata la dimostrazione che l’eccezione preventiva di incapacità a testimoniare del soggetto chiamato a deporre non può al contempo fungere da eccezione di nullità della prova testimoniale egualmente assunta – e, cioè, che la parte che si fosse vista respinta la prima di quelle eccezioni con l’ordinanza di ammissione della prova avrebbe avuto l’onere di proporre reclamo immediato ex art. 178, co. 2, c.p.c., contro quell’ordinanza, a pena di decadenza dal potere di far valere il vizio della testimonianza – era legato, quell’argomento, a un impianto normativo ormai superato, giusta l’abrogazione del reclamo avverso le ordinanze istruttorie decretata dalla l. n. 353/1990. Il fatto è, però, che agli stessi fini dimostrativi la suddetta Cass. n. 7869/1990 aveva svolto un’altra, e assai più stringente, considerazione, vale a dire, che, configurandosi l’eccezione di nullità della prova testimoniale per violazione dei relativi limiti soggettivi come eccezione in senso stretto, rimessa alla libera disponibilità della parte, quest’ultima può validamente determinarsi a sollevare tale eccezione solamente dopo il compimento dell’atto asseritamente viziato, senza doversi ritenere vincolata a quanto precedentemente dedotto, quando ancora l’interesse a dolersi di quel vizio, dipendente dal se ed in quale misura le dichiarazioni testimoniali risultino sfavorevoli alla tesi difensiva della parte, non poteva essere sorto: punto su cui la presente Cass. n. 18601/2022 non ha sostanzialmente interloquito.

Le esigenze di approfondimento che, ad avviso della III Sezione, giustificano la mobilitazione delle Sezioni unite attengono, piuttosto, a quello che costituisce il presupposto ultimo dell’orientamento in discussione, ovverosia l’inquadramento della violazione delle regole inerenti alla capacità di testimoniare come causa di nullità della prova e, segnatamente, di nullità relativa, suscettibile di sanatoria in quanto non tempestivamente dedotta ai sensi e nei modi di cui all’art. 157, co. 2, c.p.c. (valga anche qui il richiamo alla nutritissima giurisprudenza di cui all’ordinanza in commento, sub § 7). Diversi sono i dati che la Corte segnala come idonei, se non a dubitare di quel presupposto, certo a sollecitare una rimeditazione al riguardo: a) la presenza di un’autorevole, anche se minoritaria, tradizione dottrinale, secondo cui la sanzione da comminarsi per la mancata osservanza delle regole in tema di ammissibilità dei mezzi di prova non sarebbe la nullità, bensì l’inefficacia o inutilizzabilità della prova acquisita, sottratta come tale alle condizioni di rilevabilità poste dall’art. 157 c.p.c. e dunque, in linea di principio, suscettibile di rilievo anche ex officio; b) il carattere tendenzialmente tralatizio della qualificazione giurisprudenziale di quello in discorso come vizio di nullità, visto che la questione sarebbe stata affrontata ex professo soltanto dalla recente Cass., 6 maggio 2020, n. 8528, a tenore della quale, a favore di detta qualificazione, giocherebbe il fatto che l’art. 246 c.p.c., contenente la regolamentazione dei limiti della capacità testimoniale, sarebbe «una norma sul procedimento civile e, dunque, disciplinatrice della “forma” del relativo atto processuale ai sensi dell’art. 156 c.p.c.»; c)  la reperibilità di precedenti giurisprudenziali che appaiono presupporre una classificazione del vizio in discorso in termini diversi dalla nullità, non facendosi cenno a preclusioni derivanti dal mancato rispetto dell’art. 157, co. 2, c.p.c. (l’ordinanza richiama in proposito Cass., 25 febbraio 1989, n. 1042; Cass., 15 giugno 1999, n. 5925; Cass., 7 febbraio 2003, n. 1840; Cass., 24 novembre 2004, n. 22146: tutte accomunate dall’affermazione per cui, una volta respinta l’eccezione di incapacità del teste, il vizio della prova testimoniale successivamente assunta potrebbe essere rilevato dal giudice soltanto se fatto oggetto di apposita doglianza in sede di precisazione delle conclusioni). 

QUESTIONI

[1] La scelta, compiuta nell’occasione, di sollecitare il magistero nomofilattico delle sezioni unite appare, nel suo complesso, meritevole di approvazione, anche se, probabilmente, non sarebbe stato necessario, a quel fine, un excursus sulla precedente elaborazione in materia così ricco e articolato come quello proposto dall’ordinanza in epigrafe e sufficiente sarebbe stata, per contro, una più semplice notazione, come quella per cui: se è vero, come recitava la summenzionata Cass. n. 7869/1990, che l’interesse ad eccepire la nullità della prova testimoniale può scaturire solamente ad avvenuta assunzione della medesima e quando se ne possano valutare gli esiti, non si vede, tuttavia, per qual motivo tale interesse possa essere tutelato soltanto imponendo la reiterazione, successivamente all’espletamento della prova, dell’eccezione di nullità formulata in anticipo all’atto della deduzione dell’incapacità del teste, senza, per converso, ammettere che di detta eccezione anticipata il giudice possa tener conto senza bisogno della sua reiterazione e salva la facoltà della parte, che della testimonianza resa voglia avvalersi, di rinunciare all’eccezione dianzi sollevata, del caso con dichiarazione espressa al momento della precisazione delle conclusioni.

Né, dal lato opposto, si riesce a comprendere il perché della limitazione dei riferimenti dottrinali congrui allo scopo di mettere in discussione la communis opinio rimessa all’esame delle sezioni unite a quel solo filone ricollegante alla violazione delle regole di ammissibilità dei mezzi di prova l’inefficacia o inutilizzabilità della prova così acquisita e non la sua nullità (impostazione diffusa soprattutto nella dottrina  processualpenalistica: cfr. E. Amodio, Libertà e legalità della prova nella disciplina della testimonianza, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1973, 337 ss.; G. Galli, L’inammissibilità dell’atto processuale penale, Milano, 1968, 166 ss.; tra i processualcivilisti, B. Cavallone, Critica della teoria delle prove atipiche, in Id., Il giudice e la prova nel processo civile, Padova, 1991, 403, nt. 146), senza estendere i propri richiami a quella contigua dottrina che, pur continuando a parlare, nella specie, di nullità, rectius, di nullità della prova testimoniale (laddove la precedente impostazione ha valenza generale e non distingue tra le diverse tipologie di prova costituenda), ritiene però, in ragione della natura pubblicistica delle norme violate, che la stessa debba ascriversi al genus delle nullità assolute e insanabili (ex multis V. Andrioli, voce Prova testimoniale (diritto processuale civile), in Noviss. Dig. it., XIV, Torino, 1967, 338; M. Taruffo, voce Prova testimoniale (diritto processuale civile), in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, 738; L. Dittrich, I limiti soggettivi della prova testimoniale, Milano, 2000, 373 s.; v. pure, sebbene in un’ottica trascendente il mero campo della prova testimoniale e con riferimento alla generalità dei c.d. atti di acquisizione probatoria, V. Denti, voce Nullità degli atti processuali civili, in Noviss. Dig. it., XI, Torino, 1968, 473).

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Diritto agroalimentare