3 Agosto 2015

Il “riesame” della convalida del trattenimento del cittadino straniero presso il CIE

di Angelo Danilo De Santis Scarica in PDF

Giudice di pace di Roma, decr. 24 aprile 2015


Scarica il provvedimento

Straniero – Espulsione dal territorio dello Stato – Esecuzione dell’espulsione – Convalida del trattenimento – Istanza di riesame
(Cod. proc. civ., art. 737; d. leg. 25 luglio 1998, n. 286, testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, art. 13, 14; direttiva  2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, art. 15) 

[1] E’ ammissibile l’istanza di riesame delle condizioni con cui è stata convalidato il trattenimento presso il CIE di un cittadino di uno Stato che non è membro dell’Unione Europea. 

CASO
[1] Nel caso di specie, un cittadino albanese era stato sottoposto a provvedimento di espulsione dal territorio della Repubblica e, in attesa dell’allontanamento e rimpatrio, era stato trattenuto per ordine del Questore di Milano presso il CIE di Ponte Galeria, a Roma; si svolgeva quindi il procedimento camerale davanti al Giudice di Pace per la convalida del provvedimento del Questore. Sennonché, il trattenuto ha proposto istanza di riesame della convalida del trattenimento, allegando l’esistenza di un fatto sopravvenuto (il ritrovamento del passaporto)  rispetto al momento in cui era stata concessa la convalida, idoneo ad incidere sulla sua condizione di limitazione della libertà personale, imposta dal trattenimento.

SOLUZIONE
[1] Il Testo Unico dell’immigrazione (d. leg. 286/1998) prevede che, a seguito del provvedimento di espulsione del Prefetto, il Questore, in attesa di eseguire la misura, attivi il controllo giurisdizionale circa il provvedimento di trattenimento, dando luogo così ad un procedimento camerale davanti al giudice di pace. La permanenza del cittadino straniero presso il CIE non può avere una durata superiore a trenta giorni, prorogabili dal giudice di pace, su richiesta del questore, per tranches di ulteriori trenta, fino ad un periodo massimo complessivo non superiore a novanta giorni (art. 14, 5° comma, T.U. immigrazione).

La scarna disciplina processuale non sembra prevedere alcuna possibilità di riesame del provvedimento di convalida sicché si è posto il problema di rendere effettiva la previsione contenuta nell’art. 15, 3° comma, dir. 2008/115/CE (c.d. direttiva rimpatri), e di consentire, su istanza del trattenuto, la possibilità di revisione delle condizioni legittimanti il trattenimento.

In tal senso, la giurisprudenza dei giudici di pace – cui si conforma il provvedimento in epigrafe –  pare ultimamente orientata a ritenere la previsione della direttiva self executing (quanto meno in parte qua), ammettendo la ritualità di istanze di riesame della convalida (cfr. Giudice di pace Roma 15 gennaio 2015, Berisha; 17 aprile 2015, Hamdi; 17 aprile 2015, Osmani; cfr., anche, la raccolta di provvedimenti del giudice di pace in materia di immigrazione e cittadinanza, pubblicata sul sito web dell’Osservatorio sul Giudice di Pace dell’Università degli Studi Roma Tre

QUESTIONI
[1] Il sistema della tutela giurisdizionale dei diritti dei cittadini di Stati che non sono membri dell’Unione Europea a permanere nel territorio della Repubblica, frutto anche del recepimento della direttiva 2008/115/CE, è particolarmente complesso ed articolato, tanto da lasciar supporre che l’eccesso di rimedi giurisdizionali, certamente sulla carta in grado di soddisfare le guidelines del legislatore europeo e i parametri indicati dalle istituzioni a salvaguardia dei diritti umani nonché dalla CEPEJ, mal si concili con le esigenze di speditezza, efficienza e rapidità della protezione di individui che spesso non dispongono di adeguati strumenti per districarsi nella selva di remedies che il legislatore italiano mette a loro disposizione.

Basti pensare che, a fronte del provvedimento prefettizio di espulsione dal territorio della Repubblica, il legislatore italiano prevede:

– la possibilità di impugnare il provvedimento del prefetto ai sensi dell’art. 18 d. leg. 150/2011, con un procedimento strutturato sul modello del sommario di cognizione ex art. 702 c.p.c., la cui competenza spetta al giudice di pace, che si conclude con un provvedimento non appellabile, ma solo ricorribile per cassazione e senza la possibilità di ottenere la sospensione temporanea dell’efficacia del provvedimento prefettizio;

– in caso di necessità di porre in esecuzione coattiva il provvedimento prefettizio – dato che spesso lo straniero non ha risorse per tornare volontariamente nel proprio paese d’origine e, comunque, quand’anche abbia impugnato il provvedimento prefettizio, non ha mezzi per ottenerne la sospensione – il Questore che non sia in grado di provvedervi prontamente dispone il trattenimento dello straniero presso un CIE, con un provvedimento amministrativo, incidente sulla libertà personale, soggetto al controllo giurisdizionale del Giudice di Pace che provvede nell’ambito di un procedimento camerale la cui disciplina appare scarna e lacunosa.

Rispetto alla sola espulsione dello straniero (mettendo da parte il diniego del riconoscimento della protezione internazionale, rispetto al quale è previsto un procedimento ad hoc dall’art. 19 d. leg. 150/2011 e il diniego di rilascio del permesso di soggiorno, sulla cui legittimità ha giurisdizione il giudice amministrativo), si configura una singolare biforcazione della tutela (da un lato, quella rivolta a censurare i presupposti di legittimità del provvedimento prefettizio, dall’altro quella finalizzata a controllare la correttezza del provvedimento del questore) le cui ombre sopravanzano di gran lunga le luci (si pensi alla negazione della pubblicità dell’udienza, alla difficile effettività della garanzia del contraddittorio, al problema della conoscenza della lingua del procedimento e dei documenti da parte del trattenuto, alla collocazione logistica circa il luogo di svolgimento del procedimento, che è costituto da stanze ad hoc all’interno dei CIE, alla difficoltà di esperire in tempo utile il rimedio del ricorso per cassazione, qualora alla cessazione del trattenimento consegua l’espulsione, etc.).

Tuttavia, tentando una ricostruzione in via interpretativa del procedimento camerale di convalida del trattenimento (o di eventuale richiesta di sua proroga), da intendersi come contenitore neutro (v. A. Carratta, La procedura camerale come «contenitore neutro» e l’accertamento dello status di figlio naturale dei minori, in Giur. it., 1996, I, 1, 1301) sembra ragionevole ritenere che si applichi l’intero corpus di disposizioni di cui agli art. 737 ss. c.p.c. (v. R. Tarantino, Procedimenti in camera di consiglio e tutela dei diritti connessi, in Giusto proc. civ., 2011, 217).

In altri termini, potrebbe non essere necessario scomodare la direttiva 2008/115/CE al fine di ottenere la garanzia di attivare un procedimento di riesame del provvedimento di convalida, giacché, se gli stessi art. 13 e 14 T.U. immigrazione dispongono che il procedimento si svolge in camera di consiglio, ben potrebbe considerasi applicabile tanto la disciplina del reclamo, ex art. 739 c.p.c., quanto quella della revoca, ex art. 742 c.p.c