13 Giugno 2016

Sull’onere di riproposizione delle mere difese e delle questioni assorbite

di Giulia Ricci Scarica in PDF

 

Cass. civ., Sez. II, Sent., 8 aprile 2016, n. 6933

Pres. Bucciante – Rel. Falabella

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Appello civile – Contestazione del quantum – Mere difese – Onere di riproposizione – Esclusione.

(Cod. proc. civ., art. 112, 346) [1]

Appello civile – Rigetto della domanda – Questioni assorbite – Onere di riproposizione – Sussistenza.

(Cod. proc. civ., art. 346) [2]

[1] Le contestazioni svolte in primo grado sull’esistenza del fatto costitutivo della domanda o sull’ammontare della somma richiesta non sono soggette all’onere di riproposizione ex art. 346 c.p.c., in quanto si intendono riproposte implicitamente nella richiesta di rigetto dell’appello formulata dall’appellato vittorioso. Di conseguenza, nel caso in cui l’appellato si sia limitato a chiedere la conferma della sentenza di primo grado, non incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che, dopo aver accertato l’esistenza del credito, condanni l’appellato al pagamento di una somma inferiore a quella richiesta dal ricorrente.

[2] La questione dell’imputabilità all’attore di un accordo sul compenso dedotto in primo grado è assorbita dalla decisione sulla carenza di legittimazione attiva; pertanto, se il ricorrente non ha intenzione di rinunciarvi, ha l’onere di riproporre la questione ex art. 346 c.p.c.

(Massime non ufficiali)

CASO
[1] In primo grado un professionista domandava il pagamento del compenso a lui spettante secondo accordi precedentemente stipulati. Il Tribunale rigettava la domanda, accogliendo l’eccezione del convenuto sul difetto di legittimazione attiva. Il soccombente impugnava e la Corte d’appello riformava la sentenza e condannava l’appellato al pagamento del compenso, in misura inferiore a quella richiesta dal ricorrente. L’appellante proponeva ricorso in cassazione, censurando, tra l’altro, la violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c., in quanto il giudice dell’appello aveva ridotto il quantum della domanda nonostante l’appellato, costituitosi nel giudizio di secondo grado, non avesse contestato l’ammontare del compenso richiesto.

[2] Nello stesso ricorso per cassazione, il ricorrente lamentava la violazione dell’art. 2233 c.c., in cui il giudice dell’appello era incorso riducendo la somma richiesta in applicazione della tariffa professionale, nonostante avesse accertato l’esistenza dell’accordo sul compenso.

DECISIONE
[1] La Suprema Corte, cassando con rinvio la sentenza impugnata per vizio di motivazione, nega l’esistenza del vizio di extrapetizione in ordine alla riduzione della somma richiesta, in quanto la contestazione del quantum svolta in primo grado dall’appellato, quale mera difesa, è implicita nella richiesta di rigetto dell’appello e conferma della sentenza impugnata, e non è soggetta all’onere di riproposizione ex art. 346 c.p.c.

[2] Quanto alla lamentata violazione della preclusione derivante dell’accordo ex art. 2233 c.c., tale censura è dichiarata inammissibile, in quanto la questione dell’imputabilità dell’accordo al ricorrente era stata assorbita dalla decisione di primo grado che negava la legittimazione ad agire, e, non essendo stata riproposta in appello, doveva intendersi rinunciata ex art. 346 c.p.c.

QUESTIONI
[1] La pronuncia chiarisce che l’onere di riproposizione delle questioni cui le parti non intendono rinunciare ex art. 346 c.p.c. riguarda soltanto le eccezioni in senso proprio, aventi ad oggetto fatti impeditivi, modificativi od estintivi della domanda, e non anche le contestazioni sull’esistenza del fatto costitutivo della stessa, anche dette “eccezioni apparenti” (Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Torino, 2016, 143 ss.). Queste ultime, al pari delle contestazioni in punto di solo diritto, integrano delle mere difese, che non introducono nuovi fatti principali da accertare e non incidono, dunque, sull’oggetto del processo (secondo l’insegnamento del Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli, 303 ss.; Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, I, Torino, 2016).

Per tale motivo la giurisprudenza è costante nell’affermare che con l’istanza di rigetto dell’impugnazione devono sempre intendersi implicitamente sottoposte al giudice di secondo grado gli argomenti difensivi, le prospettazioni giuridiche e le questioni di diritto e di fatto proposte in primo grado, tra cui  le contestazioni dell’esistenza del fatto costitutivo (Cass., 22 maggio 2001, n. 6957; Cass., 28 aprile 2000, n. 4322), e del quantum della domanda (Cass., 19 marzo 1999, n. 2541; Cass., 1° giugno 1989, n. 2671).

[2] Diversamente, la questione dell’imputabilità al ricorrente dell’accordo sul compenso è dichiarata assorbita dalla decisione del giudice di primo grado, che aveva accertato negativamente la questione preliminare della legittimazione attiva. L’assorbimento della questione, dovuto alla mancanza di decisione sulla stessa, esonera la parte dall’impugnazione ex art. 342 c.p.c. ma non dalla riproposizione, pena la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c. (v. da ultimo Cass., Cass., 20 giugno 2014, n. 14085, Guida al dir., 2014, n. 43, 61; Cass., 8 novembre 2005, n. 21641). Sulle modalità della riproposizione, la giurisprudenza afferma che deve trattarsi di richiesta esplicita e specifica, non di un mero richiamo alle conclusioni del primo grado (Cass., 2 settembre 2013, n. 20064), ammissibile in qualsiasi forma idonea a manifestare la volontà di ridiscutere (Cass., 19 dicembre 1986, n. 7728; in dottrina