21 Dicembre 2015

Sulla concessione dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. in appello

di Fabio Cossignani Scarica in PDF

Impugnazioni civili – Appello – Applicabilità dell’art. 183, co. 6, c.p.c. – Esclusione (Cod. proc. civ., artt. 350, 352, 359)

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[1] Nel procedimento in grado di appello davanti al Tribunale deve ritenersi inammissibile l’istanza di concessione dei termini perentori previsti dall’art. 183, comma 6, c.p.c., non essendo tale norma compatibile, ex art. 359 c.p.c., con la struttura e le funzioni tipiche del giudizio di appello e, in particolare, con quanto previsto dagli artt. 345, 350 e 352 c.p.c.

 

CASO
[1] Dinanzi al Tribunale di Torino, adito quale giudice di appello, la parte appellata ha richiesto la concessione dei termini ex art. 183, co. 6, c.p.c.

SOLUZIONE
[1] Il Tribunale ha respinto la richiesta, ritenendo che l’appendice di trattazione scritta di cui all’art. 183, co. 6, c.p.c. sia incompatibile con la funzione e la struttura del giudizio di appello.

QUESTIONI
[1] La decisione del Tribunale in merito al caso sottoposto è in perfetto accordo con altra giurisprudenza formatasi presso lo stesso ufficio giudiziario, testualmente richiamata dall’ordinanza (cfr. Trib. Torino, 10 novembre 2009; Id., 10 marzo 2009).

Ai sensi dell’art. 359 c.p.c. «nei procedimenti di appello davanti alla corte o al tribunale si osservano, in quanto applicabili, le norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al tribunale, se sono compatibili con le disposizioni [che disciplinano il giudizio di appello]».

Tuttavia, secondo il Tribunale, l’appendice scritta ex art. 183, co. 6, c.p.c. non sarebbe compatibile con gli artt. 345, 350 e 352 c.p.c.

Il riferimento agli artt. 350 e 352 c.p.c. intende significare un’esigenza di concentrazione insita nel giudizio di appello. Infatti, compiuti i controlli preliminari previsti dall’art. 350 c.p.c. (regolare costituzione delle parti; integrità del contraddittorio ex art. 331; ordine di notificazione ex art. 332 c.p.c.; ordine di rinnovazione della notificazione; dichiarazione di contumacia; riunione degli appelli; tentativo di conciliazione), di regola il giudice invita le parti a precisare le conclusioni a mente dell’art. 352 c.p.c., salvo che non si debba procedere all’assunzione o alla rinnovazione delle prove ai sensi dell’art. 356 c.p.c. Tale esigenza risulta peraltro accentuata dopo le modifiche del 2012 (d.l. n. 83/2012).

Invece, col riferimento all’art. 345 c.p.c. il Giudice ha inteso probabilmente sottolineare la contraddizione insita tra la concessione di termini per la formulazione o la precisazione di domande, eccezioni e istanze istruttorie, da un lato, e il generale divieto di domande, eccezioni e prove nuove (ius novorum), dall’altro. Se questa è l’effettiva ratio sottesa, va detto che si tratta di una semplice suggestione dell’interprete e non di un’insanabile contraddizione, perché il divieto di nova è sì tendenziale e piuttosto stringente, ma comunque solo relativo. Pertanto, non è idoneo a giustificare di per sé un’irriducibile incompatibilità tra termini ex art. 183, co. 6, c.p.c. e giudizio di appello.

Non a caso, infatti, in merito alla disciplina della fase di trattazione scaturita dalle riforme del ’90-’95 (poi modificata dalle leggi nn. 80 e 236 del 2005), si rinvengono decisioni di diverso tenore: ad esempio, Cass., 25 novembre 2002, n. 16573, ha ritenuto applicabile in appello l’art. 184 del c.p.c. (al tempo vigente) (prima delle riforme degli anni Novanta, invece, l’assenza di preclusioni e di radicali divieti, si riteneva che le istanze istruttorie in appello potessero essere formulate fino alla precisazione delle conclusioni: Cass., 9 maggio 2005, n. 9559; in merito alle nuove eccezioni, invece, si affermava che queste dovessero essere sollevate dall’appellante necessariamente con l’atto di citazione, laddove all’appellato era concesso sollevarle fino alla precisazione delle conclusioni: Cass., 1 febbraio 1995, n. 1141).

La tendenziale inapplicabilità dell’art. 183, co. 6, c.p.c. deve quindi ricondursi al fatto che nell’odierno giudizio di appello non ricorrono (più) quelle esigenze che giustificano la previsione dell’appendice scritta in primo grado. Infatti, mente lì l’istituto serve a favorire l’individuazione puntuale del thema decidendum ac probandum, in appello l’oggetto del giudizio deve essere individuato in maniera specifica (cfr. art. 342 c.p.c.) già con l’atto di impugnazione, il quale introduce un grado di giudizio ormai di (quasi) pura revisione della decisione di primo grado (revisio prioris instantiae), secondo un modello processuale concentrato che pretende di essere applicato anche agli appelli in ipotesi fondati esclusivamente su nuove eccezioni o nuove prove. Per ragioni di simmetria, inoltre, analoga specificità/completezza sembra imporsi anche all’appellato e alla relativa comparsa di risposta.

L’incompatibilità cui fa riferimento la Corte di Torino è dunque coerente con il percorso evolutivo compiuto dal giudizio di appello, massimamente con i suoi ultimi approdi. Si tratta peraltro di un’incompatibilità estensibile all’intera udienza di trattazione descritta dall’art. 183 c.p.c. (per l’esclusione dell’applicazione dell’art. 183 c.p.c., cfr. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2015, 520).

Ad ogni modo, sorge il sospetto che, nella prassi, la questione si ponga in prevalenza dinanzi al tribunale anziché dinanzi alle corti di appello. E ciò, probabilmente, a causa dell’errata convinzione che il giudizio di appello dinanzi al tribunale corrisponda al giudizio (di primo grado) che questo giudice è solito praticare nelle cause che gli appartengono per competenza generale.

Occorre comunque far salva l’applicazione dell’art. 183, co. 6, c.p.c. nelle ipotesi in cui questa sia conseguenza logica dell’accoglimento del gravame. Si immagini un giudizio di primo grado in cui vi è stata immediata rimessione in decisione senza concessione dei termini ex art. 183, co. 6, c.p.c., con successiva pronuncia di sentenza definitiva su una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito poi riformata, con sentenza non definitiva, in appello.

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