14 Marzo 2016

Sul regime d’impugnazione dell’ordinanza filtro ex artt. 348 bis e ter c.p.c.

di Michele Ciccarè Scarica in PDF

Dopo aver analizzato le diverse tesi concernenti l’ambito applicativo del c.d. filtro in appello, nonché il conseguente regime d’impugnazione dell’ordinanza d’inammissibilità, si da conto della recente pronuncia della Cassazione a sezioni unite, 2 febbraio 2016, n. 1914, intervenuta per dirimere i conflitti interpretativi insorti. 

  1. La riforma del 2012 e l’introduzione dell’ordinanza – filtro in appello

L’art. 54, co. 1, lett. a) e d), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella l. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto la possibilità, per il giudice d’appello, di dichiarare con ordinanza  l’inammissibilità dell’impugnazione proposta.

Tale previsione è stata estesa alle controversie in materia di lavoro (art. 436 bis c.p.c.); viceversa, l’operatività dell’istituto è stata esclusa nel processo tributario (art. 54, co. 3 bis, d.l. 22 giugno 2012, n. 83).

La riforma si applica ai giudizi d’appello introdotti a partire dall’11 settembre 2012 (art. 54, co. 2, d.l.).

In sintesi, stando al testo legislativo (artt. 348 bis e ter c.p.c.), il giudice d’appello può dichiarare inammissibile l’impugnazione quando non ha una ragionevole probabilità di accoglimento, fatta eccezione per i casi in cui l’inammissibilità (o l’improcedibilità) dell’appello va dichiarata con sentenza. Inoltre, l’ordinanza non può essere emanata nelle cause di cui all’art. 70, co. 1, c.p.c., nonché quando l’appello è proposto ex art. 702 quater c.p.c.

Il giudice deve adottare l’ordinanza nell’udienza ex art. 350 c.p.c., prima di procedere alla trattazione e previo contraddittorio fra le parti; quando all’appello principale segue quello incidentale, il provvedimento non può essere emanato se almeno un atto d’impugnazione esula dalla previsione dell’art. 348 bis c.p.c.

L’ordinanza va succintamente motivata e con essa il giudice provvede alla liquidazione delle spese di lite.

Nei casi di emanazione dell’ordinanza-filtro, il legislatore si è limitato a prevedere la possibilità di esperire ricorso ordinario per cassazione contro la sentenza di primo grado, nel termine di 60 giorni decorrente dalla comunicazione del provvedimento, o dalla notificazione se anteriore (sull’inidoneità del biglietto di cancelleria per la decorrenza del termine Cass., 11 settembre 2015, n. 18024).  Ricorso, peraltro, limitato ai soli motivi nn. 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., quando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni poste a base della decisione impugnata.

 

  1. L’ambito applicativo del c.d. filtro in appello ed il conseguente regime d’impugnazione dell’ordinanza d’inammissibilità

Su tali questioni si sono registrati, nella giurisprudenza di legittimità, due opposti indirizzi.

Stando all’orientamento elaborato da Cass., 27 marzo 2014, n. 7273, la riforma ha immesso nel sistema una peculiare ipotesi d’inammissibilità, implicante una valutazione sulla manifesta infondatezza dell’appello proposto. Tale visione sarebbe confermata da due dati:

  1. il presupposto della ragionevole probabilità di non accoglimento evoca – pur genericamente – una prognosi di merito sulle prospettive di successo del gravame;
  2. l’ordinanza non è infatti consentita nel caso in cui l’inammissibilità dell’appello deve essere dichiarata con sentenza all’esito del procedimento di cui all’art. 352 c.p.c., ovvero per le ipotesi di inammissibilità c.d. tradizionali, di matrice processuale.

Così delineato il perimetro dell’istituto, l’ordinanza utilizzata – ad esempio – per sanzionare vizi genetici dell’atto d’impugnazione (nel caso di specie la violazione dell’art. 342 c.p.c.) risulta emanata fuori dal suo ambito operativo, e, precisamente, in materia ove per legge è prescritta la decisione mediante sentenza.

Dunque, viene meno l’inoppugnabilità prevista dall’art. 348 bis, co. 3, c.p.c., con conseguente ricorribilità per Cassazione di tale «sentenza in senso sostanziale» (Cass., 27 marzo 2014, n. 7273, la quale rimanda a Cass., sez. un., 2 ottobre 2012, n. 16727).

Del pari, l’ordinanza sarà impugnabile ex art. 111 Cost. quando emanata in violazione delle regole processuali poste a condizione di validità, in quanto provvedimento decisorio e definitivo.

Tale opzione ermeneutica si pone in armonia con la dominante giurisprudenza di merito (Trib. Vasto, ord. 20 febbraio 2013, in Giur. It., 2013, 7, 1629; App. Bari, 18 febbraio 2013, in Foro It., 2013, I, 969; App. Milano, ord. 14 febbraio 2013, in Foro It., 2013, I, 2630; App. Milano, ord. 8 febbraio 2013, in Giur. It., 2013, 7, 1629; App. Napoli, ord. 30 gennaio 2013, in Foro It., 2013, I, 2630; App. Roma, ord. 23 gennaio e 30 gennaio 2013, in Riv. Dir. Proc., 2013, 711; App. Bologna, ord. 21 gennaio 2013, in Nuova Proc. Civ., 2013, II, 162; App. Torino, ord. 17 gennaio 2013, in www.osservatoriogiustizia.re.it), nonché con la dottrina maggioritaria (Balena, Le novità relative all’appello nel d.l. n. 83/2012, in Giusto Proc. Civ., 2013, 335; Briguglio, Un approccio minimalista alle nuove disposizioni sull’ammissibilità dell’appello, in Riv. Dir. Proc., 2013, 578; Caponi, Contro il nuovo filtro in appello e per un filtro in cassazione nel processo civile, in www.judicium.it; Carratta, Ordinanza sul «filtro» in appello e ricorso per cassazione, in Giur. It., 2014, 1112; Costantino, Le riforme dell’appello civile e l’introduzione del filtro, in www.treccani.it; Impagnatiello, Il «filtro» di ammissibilità dell’appello, in Foro It., 2012, V, 296; cfr. l’opinione più sfumata di Scarselli, La riforma dell’appello civile, in Foro It., 2012, V, 292).

Stando viceversa a Cass., 17 aprile 2014, nn. 8940, 8941, 8942, 8943, la vaghezza semantica del concetto di “ragionevole probabilità di accoglimento” consente l’applicazione dell’istituto ad ogni ipotesi d’inammissibilità, anche per questioni processuali, del gravame proposto (v. anche Cass., 9 giugno 2014, n. 12928).

Ne deriva una lettura svalutativa dell’incipit dell’art. 348 bis c.p.c., il quale indicherebbe un mero discrimen temporale: fino all’udienza di trattazione la dichiarazione d’inammissibilità può essere adottata con ordinanza-filtro; successivamente mediante sentenza.

Ciò premesso, l’ordinanza emanata per sanzionare ipotesi c.d. tradizionali d’inammissibilità rimane inoppugnabile, in quanto fisiologicamente emanata.

Inoltre, viene esclusa l’impugnazione dell’ordinanza pur se invalidamente emanata: in particolare, difetterebbe il requisito della definitività ai sensi e per gli effetti dell’art. 111 Cost., in quanto la situazione giuridica sostanziale dedotta nel processo continuerebbe a trovare – limitata – tutela mediante l’impugnazione della sentenza di primo grado ex 348 ter, co. 3, c.p.c.

Infine, la possibilità d’impugnazione viene esclusa anche per il capo spese: il rimedio consisterebbe nell’opposizione ex art. 615 c.p.c., analogamente a quanto avviene per i titoli esecutivi stragiudiziali.

In dottrina Bove, La pronuncia di inammissibilità dell’appello ai sensi degli articoli 348 bis e 348 ter c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 2013, 394; Frasca, Spigolature sulla riforma di cui al d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 134 del 2012, in www.judicium.it.

 

  1. L’intervento chiarificatore delle sezioni unite sull’impugnazione dell’ordinanza emanata ex artt. 348 bis e ter c.p.c.

A seguito dell’ordinanza interlocutoria n. 223 del 12 gennaio 2015, è intervenuta a comporre il contrasto insorto Cass., sez. un., 2 febbraio 2016, n. 191.

La Suprema Corte, dopo aver affermato che l’ambito applicativo dell’ordinanza – da considerarsi pacificamente decisoria – è solo quello «dell’impugnazione manifestamente infondata nel merito», chiarisce il suo dibattuto regime d’impugnazione.

  1. Innanzitutto, viene affermata l’inoppugnabilità dell’ordinanza correttamente emanata entro il suo ambito applicativo, con la conseguente incensurabilità dell’eventuale error in iudicando concernente il presupposto della ragionevole probabilità di accoglimento (cfr. 22 settembre 2014, n. 19944).
  2. Viceversa, il provvedimento diventa autonomamente impugnabile con ricorso ordinario per Cassazione ex 360, co. 1, c.p.c., se emanato fuori dal suo ambito applicativo.Ciò accadrà quando l’appello doveva essere dichiarato inammissibile mediante sentenza a causa della presenza di un vizio a carattere processuale. Si pensi, ad esempio, all’impugnazione – principale o incidentale – proposta oltre il termine previsto dal legislatore (Cass., 27 settembre 2000, n. 12794; Cass., 1 aprile 2014, n. 7519), all’appello privo delle indicazioni di cui all’art. 342 c.p.c. (già Cass., sez. un., 29 gennaio 2000, n. 16), all’omessa integrazione del contraddittorio nel termine ordinato dal giudice (Cass., 27 marzo 2007, n. 7528), ai casi di espressa inappellabilità della sentenza (art. 339 c.p.c.), nonché, in materia di lavoro, all’appello proposto con riserva dei motivi ex art. 433, co. 2, c.p.c. senza che nel termine previsto essi siano stati presentati (Cass., sez. un., 13 dicembre 1993, n. 12261).
  3. Inoltre, il provvedimento sarà direttamente impugnabile mediante ricorso straordinario per Cassazione ex 111 Cost. e 360, co. 4, c.p.c., quando l’ordinanza d’inammissibilità non poteva comunque essere emanata, a causa della presenza di limiti esterni di applicazione dell’istituto.
    Ciò in quanto la ridiscussione della situazione giuridica sostanziale della controversia, mediante impugnazione della sentenza di primo grado, non toglie al provvedimento de quo il requisito della definitività, da intendersi come non modificabilità del provvedimento emanato (in dottrina Scarselli, Brevi osservazioni sul ricorso per cassazione avverso l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., in Foro It., 2014, V, 1456; cfr. Costantino, La riforma dell’appello tra nomofiliachia e «hybris», in Foro It., 2014, V, 1451).
    Tali errores in procedendo, in particolare, si verificano quando l’appello verte su cause in cui è obbligatoria la partecipazione del P.M. (art. 70, co. 1, c.p.c.), oppure quando è proposto nel giudizio sommario di cognizione (art. 702 quater c.p.c.); quando l’impugnazione incidentale ex art. 333 c.p.c. si sottrae all’applicazione del filtro (art. 348 bis, co. 2, c.p.c.); quando l’ordinanza viene emanata dopo la fase di trattazione o senza aver sentito le parti, ovvero non contenga la statuizione ex art. 91 c.p.c. (art. 348 bis, co. 1, c.p.c.).
    L’impugnazione è altresì sempre ammessa per censurare il vizio di omessa motivazione dell’ordinanza, nei limiti in cui attualmente l’ordinamento processuale ne consente l’impugnazione (sia sul punto consentito rinviare al contributo a cura di Ciccarè, Il vizio di motivazione della sentenza come motivo di ricorso per Cassazione: gli ultimi sviluppi normativi e giurisprudenziali), ovvero la legittimità della liquidazione effettuata dal giudice nel capo spese.
    Tuttavia, la Suprema Corte, esclude la possibilità di instaurare un giudizio di legittimità al fine di censurare l’omessa pronuncia del giudice sopra uno o più motivi d’impugnazione (art. 112 c.p.c.): infatti, per il solo fatto che l’ordinanza – filtro sia stata emanata, va presunta la valutazione della manifesta infondatezza di tutti i motivi proposti. In tali ipotesi la parte potrà semmai dedurre l’omessa motivazione sul punto.
  4. Infine, l’impugnazione diretta per Cassazione può scaturire da particolari ipotesi «indirettamente ricavabili dal sistema delineato in proposito dal legislatore» (Cass., sez. un., 2 febbraio 2016, n. 191). Infatti, sul presupposto che l’istituto va inteso quale giudizio prognostico di conferma della decisione di primo grado impugnata, esso non può nemmeno essere applicato quando l’appellante abbia ritualmente introdotto elementi nuovi di valutazione, come ad esempio eventuali fatti sopravvenuti o ius superveniens.