18 Febbraio 2020

I limiti dell’irretrattabilità dei risultati del processo esecutivo e l’estensibilità del principio del ne bis in idem al processo esecutivo

di Elisa Pirrotta, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, sez. III, sentenza del 13 novembre 2019, n. 29347

Esecuzione forzata di obblighi di fare – interpretazione dell’art. 612 c.p.c. – definitività dell’ordinanza – chiusura del procedimento esecutivo – preclusione ulteriore azionamento del titolo esecutivo – valutazione del giudice dell’esecuzione sulla consumazione del diritto di procedere esecutivamente

CASO

Con sentenza n. 29347 del 13 novembre 2019 la Corte di Cassazione ha fatto chiarezza in merito all’operatività, o meno, del principio del ne bis in idem nel processo esecutivo e – nello specifico – in merito ai limiti della c.d. irretrattabilità dei risultati del processo esecutivo “definito”.

Il caso deciso con la sentenza in commento prende le mosse da una opposizione all’esecuzione promossa ai sensi dell’art. 615 c.p.c. dal debitore avverso il procedimento di esecuzione forzata di un obbligo di fare (art. 612 c.p.c.) avviato dal creditore in forza di una sentenza passata in giudicato.

Per chiarire meglio la situazione di fatto alla base del caso in commento, occorre premettere che il creditore prima di avviare l’esecuzione opposta con l’azione poi terminata con il giudizio della Corte di Cassazione di cui alla presente nota, aveva promosso un altro precedente procedimento di esecuzione forzata ex art. 612 c.p.c. sempre sulla base della medesima sentenza di condanna nell’ambito del quale il giudice dell’esecuzione aveva disposto le modalità di attuazione dell’obbligo di fare e nominato un tecnico che avrebbe dovuto redigere il progetto esecutivo nonché adempiere a tutti gli atti amministrativi e materiali necessari per l’esecuzione delle opere idonee ad attuare il titolo esecutivo. Se non che, essendo l’esecuzione materiale dei lavori alquanto complicata, il consulente tecnico aveva invitato le parti a trovare una soluzione concordata, soluzione che le parti si sono rese disponibili a discutere tra loro ma che non è stata trovata.

Dopo otto anni dal momento in cui il procedimento di esecuzione forzata si era di fatto interrotto il creditore ha promosso un nuovo processo di esecuzione forzata sulla base della medesima sentenza già precedentemente azionata provocando così l’opposizione del debitore il quale ha sollevato eccezione di ne bis in idem sulla base del fatto che il giudice dell’esecuzione si era – a suo dire – già pronunciato in merito alle modalità di esecuzione dell’obbligo di fare, e che il diritto del creditore ad ottenere l’adempimento di tale obbligo si era – sempre a dire del debitore – esaurito nell’ambito del precedente procedimento nonostante il creditore non avesse ottenuto l’adempimento.

Tale tesi è stata accolta sia dal Tribunale di Lecce in sede di opposizione che dalla Corte d’Appello di Lecce in sede di impugnazione.

Il creditore ha pertanto adito la Corte di Cassazione la quale ha accolto il ricorso, cassato la decisione della Corte d’Appello di Lecce e, decidendo nel merito, rigettato l’opposizione promossa dal debitore.

DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

La Corte di Cassazione nel decidere il caso sopra esposto ha enunciato il seguente principio di diritto <<in tema di esecuzione forzata, la irretrattabilità dei risultati del procedimento esecutivo consegue alla sua conclusione con l’attuazione concreta dell’obbligo posto in esecuzione (nella specie, relativa ad obblighi di fare, con la realizzazione materiale delle concrete modalità disposte dal giudice dell’esecuzione), sicché ogni diverso esito della procedura che non implichi una valutazione del giudice dell’esecuzione sulla consumazione del diritto a procedere esecutivamente non preclude al creditore – salva la eventuale prescrizione del diritto – di azionare ulteriormente il titolo esecutivo>> (Cass. 13 novembre 2019, n. 29347).

Spiega, infatti, la Suprema Corte che solo il processo esecutivo che possa dirsi “definito”, con ciò intendendosi il processo esecutivo che si sia concluso con l’attuazione concreta dell’obbligo posto in esecuzione secondo la conformazione ad esso data in sede esecutiva, può dar luogo alla cd. irretrattabilità dei suoi risultati e, di conseguenza, all’applicazione del cd. principio del ne bis in idem. E dunque nel caso di espropriazione forzata, la definitività si avrà solo con l’attribuzione al creditore del ricavato della vendita a totale soddisfazione del suo credito; nel caso di obblighi di fare, con l’attuazione materiale dell’obbligo contenuto nel titolo, secondo le modalità concrete disposte dal giudice dell’esecuzione; nel caso di obblighi di consegna o rilascio, con la consegna o il rilascio della cosa dovuta, salvo non vi sia una valutazione del giudice dell’esecuzione sulla consumazione del diritto del creditore a procedere esecutivamente.

Sul punto si veda anche una precedente pronuncia della Corte di Cassazione per la quale <<il provvedimento che chiude il procedimento esecutivo, pur non avendo, per la mancanza di contenuto decisorio, efficacia di giudicato, è, tuttavia, caratterizzato da una definitività insita nella chiusura di un procedimento esplicato col rispetto delle forme atte a salvaguardare gli interessi delle parti ed incompatibile con qualsiasi sua revocabilità, in presenza di un sistema di garanzie di legalità per la soluzione di eventuali contrasti, all’interno del processo esecutivo>> (Cass. 23 agosto 2018, n. 20994).

Qualunque diverso esito non può comportare l’irretrattabilità dei risultati – qualunque essi siano – del procedimento esecutivo potendosi al più ipotizzare una estensione del cd. principio del ne bis in idem laddove il giudice dell’esecuzione abbia espressamente dichiarato insussistente il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata, o ad esempio abbia in qualche modo dichiarato l’obbligo non eseguibile oppure abbia ritenuto tale obbligo già completamente eseguito (nell’espropriazione ciò potrà avvenire, ad esempio, in caso di liquidazione del credito posto in esecuzione in modo difforme dalla pretesa del creditore e/o di assegnazione dichiarata satisfattiva benché inferiore all’importo oggetto di intimazione; altrettanto potrà avvenire, nell’esecuzione diretta, per il caso della espressa dichiarazione di impossibilità di attuazione o della espressa dichiarazione di avvenuta completa attuazione in concreto dell’obbligo di fare).

Pertanto ove <<il processo esecutivo – come nella specie – non raggiunga il suo esito fisiologico semplicemente perché esso non venga coltivato, per inerzia dell’ufficio e/o delle parti, per abbandono, per estinzione o comunque per qualunque motivo che non implichi una valutazione del giudice dell’esecuzione relativa alla “consumazione” del diritto di procedere ad esecuzione forzata (per avvenuta sua attuazione o per sua radicale mancanza), non vi è alcuna preclusione per il creditore (salva la prescrizione, laddove effettivamente configurabile) a procedere ancora in executivis>> (Cass. 13 novembre 2019, n. 29347).

Per quanto concerne invece il tema della possibilità per il creditore di richiedere al giudice dell’esecuzione la fissazione di nuove e diverse modalità di esecuzione dell’obbligo, posto che nel caso di specie il creditore non aveva chiesto che fossero modificate le modalità attuative disposte dal giudice dell’esecuzione nel corso del primo procedimento, la Corte di Cassazione ha chiarito che aderendo alla tesi per la quale il processo esecutivo iniziato e non concluso per abbandono e/o inattività delle parti debba ritersi meramente sospeso allora il creditore potrà solamente chiedere che tali modalità siano concretamente e materialmente poste in essere, salvo in ogni caso la possibilità del giudice di procedere a successive modificazioni in caso di difficoltà nell’esecuzione (art. 613 c.p.c.). Aderendo invece alla tesi per la quale il processo esecutivo non concluso per abbandono e/o inattività delle parti debba intendersi processualmente definito, il creditore, salva l’eventuale prescrizione del proprio diritto, potrà adire il giudice dell’esecuzione per avviare un nuovo processo esecutivo sulla base del medesimo titolo (laddove tale diritto sia rimasto insoddisfatto) e chiedere la fissazione di nuove modalità attuative dell’obbligo.

La Corte di Cassazione non ha però adottato nessuna delle due soluzioni in quanto nel caso sottoposto alla propria attenzione il creditore non aveva chiesto che le modalità attuative già disposte venissero modificate.

Ad avviso di chi scrive la risposta alla domanda se debba intendersi ancora pendente il procedimento esecutivo non concluso per inattività delle parti al di fuori dei casi previsti dalla legge, e non dichiarato estinto dal giudice dell’esecuzione forzata, non è di poco conto e l’importanza della stessa va oltre la possibilità o meno di chiedere la fissazione di nuove modalità attuative dell’obbligo oggetto di esecuzione. Basti considerare che le conseguenze di un’ipotetica persistente pendenza del processo esecutivo possono ripercuotersi sia sugli uffici giudiziari (ad esempio la persistenza della nomina del tecnico incaricato e della responsabilità di questo in merito al mancato adempimento dell’incarico assegnatogli dal giudice) che sui costi del procedimento stesso.

Merita evidenziare che la problematica sorge solo con riferimento all’esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare in quanto l’art. 630 c.p.c. “Inattività delle parti” prevede che <<oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge (ossia in caso di intervenuta inefficacia del pignoramento (art. 562 c.p.c.), rinuncia dei creditori (art. 629 c.p.c.), mancata comparizione all’udienza (art. 631 c.p.c.)), il processo esecutivo si estingue quando le parti non lo proseguono o non lo riassumono nel termine perentorio previsto dalla legge (art. 497 c.p.c. inerente il termine entro il quale deve essere richiesta l’assegnazione o la vendita forzata; art. 627 c.p.c. inerente il termine perentorio per la riassunzione del processo esecutivo in caso di sospensione dello stesso a seguito di opposizione o a seguito di domanda dei creditori) o dal giudice>>, ma non prevede niente di specifico per il caso in cui l’inattività riguardi la fase attuativa dell’obbligo di fare, fase nella quale la gestione concreta dell’esecuzione spetta al tecnico incaricato.

Tale possibilità è assolutamente eccezionale in quanto è difficile ipotizzare una totale inattività di tutti i soggetti coinvolti nella fase attuativa dell’obbligo di fare, tuttavia al verificarsi di una simile situazione di inerzia, in assenza di un termine perentorio assegnato dal giudice (nel qual caso sarebbe applicabile l’art. 630) o di un’udienza di rinvio successiva alla nomina del tecnico incaricato dal giudice (nel qual caso sarebbe applicabile l’art. 631), sarebbe auspicabile un intervento d’ufficio del giudice dell’esecuzione volto ad assicurare il contenimento dei tempi di realizzazione del processo esecutivo.