18 Ottobre 2016

La costituzione in giudizio dell’appellante mediante deposito della c.d. velina: conseguenze ed effetti secondo la giurisprudenza di legittimità

di Domenico Cacciatore Scarica in PDF

Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (Cass., sez. un., 5 agosto 2016, 16598), in seguito all’ordinanza di remissione delle sezioni semplici (Cass., ord. 18 dicembre 2015, n. 25529), prendendo in esame i profili problematici relativi alla costituzione in giudizio dell’appellante con la cd. velina, hanno sanato il contrasto giurisprudenziale esistente in proposito.

Il presente commento intende prendere in esame i limiti delle conseguenze delle irregolarità e/o nullità della costituzione dell’appellante, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali formatisi sul punto ed, in particolare, del decisum della Suprema Corte di Cassazione.

  1. La costituzione in giudizio dell’appellante: inquadramento normativo e la prassi della costituzione con la cd. velina

Come è noto, la costituzione in giudizio dell’appellante (art. 347 c.p.c.) deve avvenire nelle forme e nei termini previsti per il procedimento di primo grado (art. 165 c.p.c.), depositando in cancelleria l’originale dell’atto di citazione entro dieci giorni dal “giorno della notificazione”.

Il “giorno della notificazione” che, ai sensi degli artt. 165 e 347 c.p.c., costituisce il dies a quo ai fini della decorrenza del termine per la costituzione in giudizio dell’appellante, non coincide, secondo la giurisprudenza, con il giorno di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario da parte del notificante – momento in cui si realizza l’effetto anticipato e provvisorio a vantaggio dello stesso, che rileva ai soli fini della tempestività dell’impugnazione – ma, piuttosto, con il giorno di perfezionamento del processo notificatorio nei confronti del destinatario (Cfr. Cass., 29 gennaio 2016, n. 1662; in senso conf. Cass., 20 aprile 2010, n. 9329; App. Lecce Sez. II, 20 aprile 2015). Nell’ipotesi di notifica dell’atto a più destinatari il termine per la costituzione dell’appellante (e/o, in generale, dell’attore) decorre da perfezionamento della prima notificazione (v. Cass., 20 luglio 2012, n. 12724; Cass., 5 giugno 2007, n. 13163).

Al fine di ovviare agli inconvenienti, derivanti da eventuali ritardi nella restituzione dell’originale dell’atto notificato da parte degli ufficiali giudiziari entro i dieci giorni dalla notificazione, è stata ormai da tempo avallata la prassi secondo la quale la costituzione in giudizio dell’appellante  può essere effettuata depositando una semplice copia dell’atto notificato, id est la cd. velina (cfr., ex multis, Cass., sez. un., 18 maggio 2011, n. 10864).

Tuttavia, tale prassi dell’iscrizione a ruolo con la cd. velina, non potendo ritenersi scevra da profili problematici, ha indotto la dottrina e la giurisprudenza ad interrogarsi sulla validità e sui limiti degli effetti delle anzidette modalità di costituzione in giudizio, con il conseguente delinearsi di due diversi orientamenti tra di essi contrastati.

  1. Gli orientamenti della giurisprudenza

2.1. Orientamento favorevole all’ammissibilità della costituzione con la c.d. velina

Un primo orientamento della giurisprudenza ha ritenuto che la costituzione dell’appellante, avvenuta mediante il deposito della cd. velina (seguito dal deposito, avente effetti sananti, dell’originale notificato entro la prima udienza), integra una mera irregolarità della costituzione in giudizio (cfr. Cass., 9 dicembre 2004, n. 23027; Cass., 13 agosto 2004, n. 15777; Cass., 29 marzo 2007, n. 7776; Cass., 30 aprile 2008, n. 10903).

Tale orientamento, infatti, muovendo dal rilievo meramente formale dell’irregolarità di tale forma di costituzione, pone in evidenza l’assoluta mancanza di pregiudizi connessi all’instaurazione del contraddittorio ed all’esercizio del diritto di difesa della controparte (Cass., 20 luglio 2015, n. 15130; Cass., 8 marzo 2016, n. 4525), salvo che non venga rilevata una difformità tra la cd. velina e l’atto notificato (cfr. Cass. Civ., 8 maggio 2012, n. 6912).

La mancanza di una previsione che, al mancato deposito dell’originale dell’atto notificato ricolleghi la sanzione dell’improcedibilità, consente di ricondurre la costituzione mediante il deposito di una mera copia dell’atto nell’alveo del regime delle nullità sanabili in conseguenza del raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c.), per il quale rilevano ai fini della sanatoria, con effetti ex tunc, anche i comportamenti successivi come il deposito dell’originale entro la prima udienza di trattazione (v. Cass., 16 dicembre 2014, n. 26437; Cass., 8 maggio 2012, n. 6912; Cass., 20 luglio 2015, n. 15130), che consente l’esercizio del potere-dovere di verifica del giudice in relazione alla ritualità ed all’effettività della notifica del gravame, e ciò soprattutto nell’ipotesi di mancata costituzione dell’appellato.

2.2. Orientamento formalista e rigoroso: inammissibilità della costituzione con la c.d. velina

Altra parte della giurisprudenza, tuttavia, ha escluso l’ammissibilità della costituzione in appello mediante il deposito della cd. velina (cfr. Cass., 24 agosto 2007, n. 17958; Cass., 1 luglio 2008, n. 18009; Cass., 4 gennaio 2010, n. 10).

Tale orientamento, ispirato ad un particolare rigore formale ed alla ratio dell’art. 348 c.p.c., diretta a favorire il celere passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, ricollega alla violazione delle forme previste dagli artt. 165 e 347 c.p.c. la stessa sanzione prevista per l’inosservanza del termine per la costituzione in giudizio. Invero, la costituzione in giudizio viene considerata uno specifico adempimento da effettuare necessariamente nelle forme di legge, entro un termine ben definito, ritenendo non suscettibili di sanatoria le irregolarità e/o i vizi tali da impedire l’immediato accertamento dell’avvenuta valida proposizione del gravame e l’eventuale declaratoria d’ufficio di improcedibilità. Tale orientamento, peraltro, si pone in linea con quella parte della dottrina che, ritenendo il deposito di una mera copia dell’atto introduttivo una formalità priva di significato, ammetteva la costituzione in giudizio solo mediante il deposito dell’originale dell’atto di citazione (v. Saletti, Costituzione in giudizio, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1993, 2).

L’anzidetta tesi rigorosa e formalista è stata oggetto di critiche da parte della dottrina che, condividendo l’orientamento di quella parte della giurisprudenza che ammette la prassi della costituzione dell’appellante mediante il deposito della cd. velina, ha osservato che, alla luce dell’attuale testo dell’art. 348 c.p.c., non possono ritenersi rilevanti eventi diversi da quelli espressamente previsti dalla norma citata (v. Sassani, Giordano, in AA.VV. Commentario del Codice di Procedura Civile, a cura di Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella, sub art. 348 c.p.c., 398).

Peraltro, in proposito, è stato osservato che collegare l’improcedibilità alla costituzione mediante deposito della cd. velina, implica un giudizio sulla validità o tempestività di una costituzione che è già stata eseguita nei termini, nonché l’applicazione, a tale fattispecie, di una sanzione – l’improcedibilità – relativa alla violazione dei termini e non all’inosservanza delle forme (cfr. Benni de Sena, Procedimento in appello e costituzione dell’attore con copia dell’atto di impugnazione tra formalismo e ragionevolezza, in Giur. mer., 2010, 646). Tali rilievi, peraltro, si pongono in linea l’orientamento di altra dottrina che, in proposito, ha osservato come “La più recente giurisprudenza (Cass., Sez. II, 21 giugno 2013, n. 15715; Cass. n. 6912/12 cit.) ha invece sottolineato, sul piano letterale che «l’improcedibilità dell’appello è comminata dall’art. 348 c.p.c., comma 1, per l’inosservanza del termine di costituzione dell’appellante, ma non anche per il mancato rispetto delle forme di costituzione»…” (così, Nicotra, Improcedibile l’atto iscritto con velina: la questione alle Sezioni unite, in www.eclegal.it).

  1. La decisione delle Sezioni Unite e la composizione del contrasto

Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, intervenute a comporre il contrasto, con la sentenza del 5 agosto 2016, n. 16598, hanno avallato l’orientamento meno rigoroso, che ammette la costituzione dell’appellante mediante il deposito di una semplice copia del gravame, precisando che la sanzione dell’improcedibilità è comminata dall’art. 348 c.p.c. nell’ipotesi in cui “l’appellante non si costituisce nei termini”, locuzione da intendersi come riferita esclusivamente all’inosservanza dell’art. 165 c.p.c.

Le Sezioni Unite, inoltre, hanno escluso che la sanzione dell’improcedibilità possa essere comminata qualora la costituzione avvenga entro i termini previsti dall’art. 165 c.p.c. ma senza l’osservanza delle forme ivi previste.

Con l’anzidetta pronuncia è stato ribadito che la costituzione avvenuta senza osservare le forme previste dall’art. 165 c.p.c., pur non determinando di per sé l’improcedibilità del gravame, è nulla e che tale nullità può essere superata mediante il deposito dell’originale dell’atto di citazione (anche da parte dell’appellato), purché tale deposito avvenga entro l’udienza di comparizione di cui all’art. 350, comma 2, c.p.c.

La mancanza del deposito dell’originale entro tale udienza ovvero la mancata richiesta o concessione di un termine per il compimento di tale attività, conseguente all’inattività della parte e/o all’omissione da parte del giudice dell’attività di controllo della regolarità della costituzione, determina il consolidarsi della nullità e la preclusione di ogni forma di sanatoria dei vizi della costituzione stessa, che, in quanto priva di effetti, determina l’improcedibilità dell’appello.

  1. Considerazioni conclusive

In definitiva, il condivisibile orientamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, dando definitiva conferma del superamento dell’approccio eccessivamente rigoroso e formale, oltre ad inquadrare sul piano sistematico la violazione delle forme previste della costituzione in giudizio nell’alveo delle nullità sanabili, sancisce principi che offrono un corretto contemperamento tra l’esigenza di carattere pratico connesse alla costituzione dell’appellante, come il deposito di una copia dell’atto notificato per  non incorrere nella violazione dei termini di cui all’art. 165 c.p.c., e le esigenze processuali riconducibili all’esercizio del potere-dovere del giudice di verificare la rituale proposizione del gravame.