24 Novembre 2015

Il processo civile telematico approda presso le corti di appello. Spunti per una riflessione.

di Fabio Cossignani Scarica in PDF


Abstract

L’introduzione dell’obbligo di deposito telematico degli atti cd. endoprocessuali anche nei giudizi dinanzi alla corte di appello offre l’occasione per alcune riflessioni in tema di processo civile telematico.

 

  1. Il deposito obbligatorio degli atti nei giudizi dinanzi alla corte di appello.

L’art. 16 bis del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 disciplina l’«Obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali».

Tale obbligatorietà è scattata in via generale, per i giudizi dinanzi al tribunale, il 30 giugno 2014 (co. 1), salva la possibilità di un anticipo temporale in determinate sedi giudiziarie ai sensi del co. 5.

Per effetto dell’art. 44, co. 2, lett. c), d.l. n. 83/2015 lo stesso art. 16 bis d.l. n. 179/2012 si è arricchito (anche) di un co. 9 ter.

Tale nuova disposizione introduce l’obbligo del deposito telematico anche per i giudizi dinanzi alla corte di appello, a decorrere dal 30 giugno 2015.

 

  1. Questioni vecchie, ma dinanzi alla corte di appello

La formula legislativa ricalca quella relativa ai giudizi dinanzi al tribunale, imponendo l’obbligo di deposito con modalità telematiche degli atti e dei documenti provenienti delle parti «precedentemente costituite».

Gli atti diversi, ossia non rientranti nella sfera dell’obbligatorietà, possono comunque essere depositati in via telematica ai sensi del co. 1 bis dell’art. 16 bis d.l. n. 179/2012 (comma anch’esso introdotto dal d.l. m. 83/2015; risulta così superato quel discutibile indirizzo restrittivo che riteneva inammissibile il deposito telematico degli atti introduttivi: v. F. Ferrari, L’ennesima riforma del processo telematico nel d.l. 83/2015, in www.eclegal.it).

In via di prima approssimazione si può affermare quindi che l’estensione dell’obbligatorietà al giudizio dinanzi alla corte di appello (e pertanto, solitamente, ai giudizi di appello) ponga gli stessi problemi interpretativi che il processo civile telematico ha già fatto emergere nei giudizi dinanzi al tribunale, tra cui, emblematicamente, le conseguenze della violazione dell’obbligo.

Su quest’ultimo tema ci sia concessa una fugace osservazione.

La soluzione formalista, che sanziona la violazione ricorrendo a categorie quali l’inammissibilità o l’inesistenza, non convince perché di fatto incoraggia un’interpretazione che rovescia il rapporto tra diritto sostanziale e processo. Infatti, al di là della validità degli argomenti utilizzabili per risolvere la singola quaestio iuris, appare intuitivo che un determinato atto (contenente ad es. un’eccezione fondata) o un determinato documento (idoneo a provare un fatto rilevante) deve poter influenzare la decisione del giudice alla sola condizione che esso sia stato tempestivamente acquisito agli atti del processo.

In assenza di un’espressa disposizione sanzionatoria, la questione relativa alle modalità di deposito dell’atto ha a che vedere con un aspetto meramente organizzativo, sicché per definizione non può influire sul merito della decisione (in questo senso Consolandi, Deposito telematico degli atti processuali, in Il Libro dell’anno del Diritto 2016, Roma, 2016, in corso di pubblicazione).

Il silenzio della legge è peraltro comprensibile: il processo civile telematico dovrebbe essere strumento al servizio di una giustizia più efficiente, senza fornire l’occasione per il verificarsi di un’invalidità idonea a determinare una decisione non conforme al diritto sostanziale ovvero una decisione di mero carattere processuale (per tacere, poi, della difficoltà di stabilire talvolta se un atto sia da considerarsi “endoprocessuale” o meno: v. G.G. Poli, La nozione di atto “endoprocessuale” ai fini del deposito telematico obbligatorio: lo strano caso del reclamo cautelare, in www.eclegal.it).

 

  1. Il fascicolo informatico e l’onere della prova in appello.

Per quanto concerne nello specifico il giudizio dinanzi alla corte di appello, il processo civile telematico apre però anche nuove prospettive, specie se a monte vi è stato un giudizio di primo grado con fascicolo integralmente o parzialmente informatico.

Gli strumenti informatici dovrebbero infatti consentire una trasmissione più semplice e sicura degli atti e dei documenti informatici del processo di primo grado (cfr. punto 19 della circolare del Ministero della giustizia del 23 ottobre 2015).

Ma non solo: se si pone mente al fatto che, tra gli atti ormai acquisiti al fascicolo informatico di primo grado, vi sono anche i «documenti» prodotti dalle parti con le medesime formalità, ciò comporta che non sia configurabile un’iniziativa di ritiro degli stessi, in precedenza viceversa realizzabile per effetto del ritiro del fascicolo di parte al termine del grado di giudizio.

In tal modo il pct agevola l’iniziativa probatoria in appello della parte che voglia servirsi del documento depositato in primo grado dalla parte avversaria.

Per comprendere l’impatto del pct su questa tematica, occorre rammentare che la giurisprudenza si è assestata su una posizione piuttosto rigida: quella secondo cui grava sull’appellante l’onere della prova della fondatezza dell’impugnazione proposta. Quindi, se il motivo di appello si fonda sul contenuto di un documento prodotto in primo grado dalla controparte, è onere dell’appellante riprodurre tale documento, pena il rigetto dell’impugnazione. Tuttavia, può accadere che l’appellante non abbia estratto copia di tale documento, così che quest’ultimo non riesca a fare ingresso nel giudizio di gravame, specie a fronte della contumacia dell’appellato (v. Cass., sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28498).

Grazie alla digitalizzazione del processo e alla permanenza del documento nel fascicolo informatico, tale inconveniente dovrebbe dirsi risolto, salva l’ipotesi in cui il documento sia stato depositato in primo grado in formato cartaceo, come potrebbe accadere là dove il documento risulti allegato all’atto introduttivo depositato in maniera non telematica.

 

  1. Riflessioni conclusive.

Quanto evidenziato in precedenza dovrebbe suggerire la corretta direzione per un perfezionamento del processo civile telematico.

Questo è infatti uno strumento che può migliorare il processo: agevolando e semplificando l’esercizio delle legittime facoltà delle parti e dei poteri del giudice; riducendo i tempi del processo; favorendo una decisione di merito più giusta; riducendo i costi dell’attività di archiviazione e conservazione degli atti processuali.

Quanto ai suoi possibili riflessi sul giudizio di appello, de iure condito sarebbe quindi utile imporre sempre alle parti (specie in primo grado) il deposito in copia telematica anche degli atti e dei documenti legittimamente depositati in formato cartaceo, al fine di evitare che situazioni di fatto analoghe possano evolvere processualmente in maniera differente, dando luogo ad esiti opposti (nell’ipotesi di specie, sotto il profilo dell’assolvimento dell’onere probatorio in appello). Peraltro, non si comprende l’utilità di fascicoli informatici incompleti, soprattutto se il procedimento è stato instaurato in primo grado dopo il 30 giugno 2014.

Viceversa, la violazione dell’obbligo di deposito telematico dell’atto o del documento, incidendo negativamente sull’ordinato svolgimento del processo, potrebbe al più trovare rimedio sul piano della distribuzione delle spese, se la violazione reca danno della controparte, e/o sul piano degli oneri tributari (ma solo de iure condito), se la violazione aggrava inutilmente il lavoro dell’ufficio (cfr. l’art. 13, co. 1 ter, d.p.r. 115/2002), salvo in ogni caso l’obbligo della parte inadempiente di sanare l’irregolarità provvedendo al deposito, anche in maniera telematica, dell’atto depositato in formato cartaceo.

 

Sul pct, si vedano anche: A.D. De Santis, Processo civile telematico, in www.treccani.it; G.G. Poli, Processo civile telematico: le novità del d.l. n. 90/2014, in www.treccani.it; Id., Il processo civile telematico del 2015 tra problemi e prospettive, in Giusto proc. civ., 2015, 229 ss