I fenomeni aggregativi fra studi legali di piccole e medie dimensioni
di Alessandro Massimelli, Avvocato di MpO & PartnersA fianco alle operazioni M&A di Studi di dottori commercialisti e consulenti del lavoro, in un contesto in cui l’appeal delle Società tra Professionisti, c.d. S.T.P., e delle Società tra Avvocati, c.d. S.T.A., è ancora fortemente condizionato dall’incertezza del quadro normativo di riferimento, nonché dalle ondivaghe prese di posizione di taluni Ordini Professionali, il bisogno crescente di aggregazione fra realtà professionali in campo legale è stato soddisfatto dal ricorso sempre più frequente a forme atipiche di aggregazione.
In particolare, non può negarsi che la pandemia abbia avuto un impatto particolarmente rilevante soprattutto sugli studi legali di modesta dimensione, che vedono oggi nell’integrazione con altre realtà professionali l’unica possibilità per rispondere in modo adeguato alla crescente competitività e complessità delle esigenze della Clientela e per non essere tagliati fuori da un mercato in continua evoluzione.
Il fenomeno aggregativo fra Studi legali, pertanto, si sta caratterizzando per la ricerca di strumenti di “integrazione/aggregazione di competenze” che differiscono dalle operazioni di acquisizione o fusione vere e proprie, che rappresentano invece la prassi delle operazioni di M&A fra Studi di commercialisti e/o consulenti del lavoro.
In particolare, i legali, tradizionalmente meno avvezzi ad operazioni che, comunque, richiedono una certa componente di imprenditorialità e probabilmente condizionati dalla conoscenza della possibile dimensione “patologica” dei rapporti contrattuali, si stanno dimostrando assai “prudenti” e stanno rivolgendo la propria attenzione verso strumenti negoziali a formazione progressiva, con previsione di più fasi operative e di verifica dei risultati ottenuti.
Si assiste, in particolare, all’individuazione di fattispecie negoziali che prevedano una prima fase “soft” di cooperazione/test – con previa definizione del percorso operativo da seguire e con valutazione a consuntivo della bontà del percorso avviato – ad esito positivo del quale procedere alla vera e propria integrazione.
Le forme contrattuali a cui si assiste sono caratterizzate dalla previsione di “vie d’uscita” piuttosto agevoli in caso di risultato non completamente soddisfacente del periodo di test e/o di esito insoddisfacente dell’integrazione, da valutarsi dopo predeterminati intervalli temporali.
Le ragioni di tali differenze rispetto alle operazioni di prassi fra commercialisti e consulenti del lavoro sono molteplici e si possono individuare in primo luogo nel differente rapporto del legale con la propria clientela, basato, di norma, su di una forte e consolidata personalizzazione e su di un mandato fiduciario ad personam che, a torto e/o a ragione, i legali ritengono per molti versi irripetibile e che spesso non si sentono di “condividere” se non previa valutazione dell’interlocutore che deve essere accurata e testata sul campo.
Da ciò nasce, evidentemente, la prudenza nell’approcciare operazioni destinate, inevitabilmente, ad avere un impatto sul carattere fortemente personale del rapporto fiduciario che lega il legale al proprio Cliente; allo stesso modo, probabilmente, incide nella scelta del percorso di integrazione anche la minor ripetitività dell’attività legale rispetto ai servizi – ad es. contabilità/elaborazione cedolini – prestati dagli studi di dottori commercialisti e consulenti del lavoro.
Ciò che emerge è, in particolare, l’opportunità di evitare il più possibile – e trattandosi spesso di c.d. “studi generalisti” non sempre ciò è agevole – sovrapposizioni fra le aree di attività svolte dalle parti del progetto di integrazione e fra le rispettive competenze; è bene pertanto effettuare una prima mappatura delle competenze e delle aree di attività al fine di individuare i concreti campi in cui l’integrazione è più agevole e ha maggiori prospettive di successo per tutte le parti coinvolte.
Al contempo, se la prudenza nell’approccio è certamente elemento apprezzabile, è necessario prestare attenzione a che non si riveli un limite tale da condizionare negativamente l’approccio al progetto di integrazione il quale necessita, per sua stessa natura e per il suo successo, di una componente ineludibile di fiducia e trasparenza verso l’interlocutore e che impone un abbandono di ritrosie ed esitazioni spesso retaggio di un approccio oramai superato, in presenza delle quali il progetto di integrazione rischia seriamente di non decollare.
Di certo il contesto normativo attuale, caotico e contraddittorio, non agevola i processi di integrazione, magari di natura multidisciplinare fra professionisti, i quali, con sempre maggiore frequenza, lamentano la mancanza di interventi da parte del legislatore tali da favorire e/o comunque quantomeno da non ostacolare un fenomeno che oggi, nella prassi, appare irreversibile e fondamentale per la stessa sopravvivenza di molte realtà altrimenti destinate a scomparire.
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