6 Settembre 2022

Fallimento del debitore inadempiente ammesso al concordato preventivo omologato

di Federico Callegaro, Cultore di Diritto Commerciale presso l' Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass. Civ. Sez. Un., Sentenza 7 dicembre 2021[1], n. 4696, Pres. Manna A. – Rel. Stalla G.M.

Concordato Preventivo – fallibilità del debitore ammesso al Concordato – non necessaria risoluzione ex art. 186 l.f.

Parole chiave: Fallimento post ammissione a C.P. – insolvenza nel pagamento dei debiti concordatari – risoluzione del concordato ex art.186 l.f. – la preclusione del fallimento in assenza di risoluzione – continuità tra Legge Fallimentare e CCI

Riferimenti normativi: Legge Fallimentare artt. 5, 185, 186 – CCI artt. 119.

CASO

La questione sottoposta a mezzo ricorso alle Sezioni Unite della Suprema Corte trova fondamento in una sentenza della Corte d’Appello di Campobasso[2], dichiarando, su istanza del Pubblico Ministero, il fallimento della debitrice “già ammessa a procedura di concordato preventivo in continuità aziendale, omologato nel 2013”.

Le S.U. nell’incipit dello svolgimento delle proprie argomentazioni, richiamano all’attenzione come la Corte d’Appello avesse in particolare osservato che il Tribunale “aveva ritenuto che la società si trovasse in stato di insolvenza a seguito dell’incapacità di far fronte alle obbligazioni derivanti dal concordato preventivo omologato dall’evidente incapienza dell’attivo concordatario realizzato e realizzabile), senza tuttavia porsi il problema della necessità della preliminare risoluzione del  concordato in corso di esecuzione, così come prevista dall’articolo 186 l.fall”.

SOLUZIONE

Le Sezioni Unite ripercorrono nell’esposizione quanto osservato dai giudici remittenti[3], di seguito richiamate sommariamente:

  • si indica come la questione sia stata già affrontata e risolta da precedenti della Sesta Sezione[4] nei quali si è affermato che, venuto a cadere, con la riforma dell’articolo 186 l.fall. da parte del d.lgs.169/07, ogni automatismo tra risoluzione del concordato e dichiarazione di fallimento, quest’ultima può intervenire anche a prescindere dalla previa adozione della prima;
  • viene evidenziata la “non piena condivisione” di tale indirizzo, in “parte autorevole della dottrina”;
  • ne risulterebbe un quadro interpretativo controverso ed ampiamente discutibile, restando in particolare irrisolti vari profili la cui disamina potrebbe indurre ad una soluzione del problema opposta rispetto a quella fin qui recepita dalla giurisprudenza di legittimità;
  • viene evidenziato un “ulteriore elemento interpretativo a sostegno della soluzione preclusiva della dichiarazione di fallimento in assenza di previa risoluzione” dalla nuova formulazione della relativa previsione, fornita dall’articolo 119 del CCII per il quale la risoluzione del concordato costituisce condizione per l’apertura della liquidazione giudiziale.[5]. Le S.U., eseguita una disamina con riferimento all’art. 186 l.f., ante e post riforma (d.lgs 5/06 e d.lgs.169/07) e richiamando quanto espresso dalla Corte Costituzionale nella Sentenza n. 106 del 2004[6] chiariscono: “Quanto sul punto affermato dal giudice delle leggi sotto il vigore del regime di automatismo …, lungi da essere reso inattuale dalle modifiche succedutesi, risulta a tutt’oggi di perdurante e – se mai – rafforzata persuasività”;
  • altro elemento offerto dai giudici remittenti, è costituito dall’enunciazione di un ulteriore approfondimento quanto a tre aspetti[7]:

a) la “possibilità di fallimento solo per un’insolvenza nuova rispetto al momento dell’omologazione del concordato”.

A tale proposito si richiama come la Corte di Cassazione[8] abbia precedentemente espresso un principio per cui il giudice di merito “ferma l’obbligatorietà della falcidia concordataria sui crediti anteriori, dovrebbe verificare se l’inadempimento di tali crediti, da parte di soggetto qualificabile come imprenditore commerciale, era tale da potersi definire come insolvenza, ai sensi dell’art. 5 legge fall., e trarne le conseguenze di legge in ordine alla legittimità della sentenza dichiarativa di fallimento”. Ciò al fine di determinare se si verta nell’ipotesi di mancato adempimento delle obbligazioni concordatarie, che comporti la sua risoluzione e riapertura del fallimento (nel caso di specie), ovvero la instaurazione di un fallimento ex novo – comportando, nel primo caso, “la reviviscenza dei crediti secondo la misura e le connotazioni ante procedura” e, nel secondo, “la instaurazione di un fallimento ex novo, nel quale le obbligazioni idonee a sostenere il giudizio d’insolvenza … sono quelle riscritte … a seguito dell’omologazione oltre ad altre sopravvenute (e solo queste nella loro integralità)” -;

b) “inadempimento alle obbligazioni discendenti dall’esecuzione dello stesso concordato omologato” – indicazione generale e non oggetto, in tale sede, di approfondimento dimensionale / percentuale / sostanziale -;

c) ove, sub b), ritenuta l’ammissibilità del fallimento resta da valutarne l’applicazione all’impresa ammessa al concordato omologato, anche prima dello spirare del termine annuale (ex art. 186, terzo comma l.fall.)”.

Per completezza espositiva si richiama all’attenzione come la Corte Costituzionale, nella sentenza citata – qui seguendo l’espressione testuale estensivamente riportata dalle S.U. in trattazione, – abbia chiarito:

▪ “l’obbligatorietà del concordato omologato può venire meno solo a seguito della risoluzione o dell’annullamento, con dichiarazione «che retroagisce al momento del decreto di apertura della procedura di concordato, e che determina, ovviamente, l’ammissione al passivo dei crediti anteriori per l’intero loro ammontare e non già nella misura ‘falcidiata’ dal concordato»;

▪ “la tesi della preclusione del fallimento in assenza di risoluzione non è affatto imposta dalla legge, ma «è frutto di una interpretazione che privilegia un – rispettabile ma opinabile – profilo sistematico, secondo il quale il concordato (se non risolto o annullato) cancellerebbe definitivamente ‘quella’ insolvenza in ragione della quale fu ammesso ed omologato e, pertanto, impedirebbe di attribuire successivamente rilevanza, ai fini di cui all’art. 5 legge fall., ai debiti esistenti al momento dell’apertura della procedura»”;

▪ “spetta in ogni caso al giudice di adottare una interpretazione conforme a Costituzione «in luogo di quella ‘sistematica’ che egli ritiene confliggente con le evocate norme costituzionali…”, applicandosi quanto definito dalla Corte Costituzionale nel 2004 (ante)”.

Le S.U., richiamando propri precedenti del 2015[9] che definisce sentenze gemelle[10], riporta ”per quanto qui più conta, si è in particolare affermato che tra la procedura concordataria e quella fallimentare deve sussistere un coordinamento (c.d. asimmetrico) volto ad attribuire preminenza allo scopo preventivo ed alternativo della prima, anche indipendentemente dalla priorità temporale di presentazione delle relative istanze (principio di prevenzione)[11].

Quanto infine all’influenza ermeneutica del raccordo tra l’art. 119 CCII e l’art. 186 l.fall., pur richiamando due noti precedenti delle stesse S.U.[12] che affermano l’utilità interpretativa del ‘codice della crisi’ qualora ricorra, nello specifico segmento “considerato un ambito di continuità tra i due regimi”, giunge a negare la “applicazione di questo indirizzo” atteso come, nel caso di specie risulti, “evidente il difetto di quel requisito di continuità di regime che si è detto essere essenziale per il recupero della valenza interpretativa postuma”. Le S.U. osservano come “il regime sopravvenuto introduca un’innovazione che va al di là del mero ampliamento del novero dei soggetti legittimati, per assumere carattere sistematico in quanto involgente il ruolo del commissario giudiziale nella fase esecutiva del concordato[13].

Principio di Diritto

A conclusione del complessivo excursus logico analitico, le S.U. esprimono il seguente principio di diritto: “nella disciplina della legge fallimentare risultante dalle modificazioni apportate dal D.lvo n.5/2006 e dal D.Lvo 169/2007, il debitore ammesso al concordato preventivo omologato che si dimostri insolvente nel pagamento dei debiti concordatari può essere dichiarato fallito, su istanza dei creditori, del PM o sua propria, anche prima ed indipendentemente dalla risoluzione del concordato ex art.186 l.fall.”.

QUESTIONI APPLICATE NELLA PRATICA

In primis, considerando il principio di diritto espresso dalle S.U., si osserva come sia offerta una interpretazione dell’insolvenza successiva, agli effetti che qui rilevano, limitata all’inadempimento costituito dal mancato pagamento dei debiti concordatari come da omologa. Si consideri come l’aspetto sostanziale e rilevante delle due distinte impostazioni – Tribunale e Corte d’Appello – oggetto di ricorso, sia riassumibile nel rilievo di quest’ultima per la quale il Tribunale avrebbe deciso “senza tuttavia porsi il problema della necessità della preliminare risoluzione del concordato in corso di esecuzione, così come prevista dall’articolo 186 l.fall.”.

Ciò che appare rilevante dalle argomentazioni e dal percorso seguito nella Pronuncia in oggetto, risulterebbe costituire un’indiretta affermazione della non esatta riconducibilità, ai fini della norma fallimentare in esame, dell’inadempimento degli obblighi concordatari ai “debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo”, anche in un contesto interpretativo applicativo dell’art. 119 CCII.

Appare legittimo, quindi, domandarsi come risulterebbe gestibile un eventuale inadempimento concordatario derivante da esborsi e/o oneri imprevisti, quale effetto di inadempimenti contrattuali dell’imprenditore per operazioni / forniture / risarcimenti, direttamente connessi all’attività concordataria – si pensi agli istituti della “continuità aziendale” ovvero dello “affitto di azienda” -. Ciò, soprattutto, in considerazione del diverso trattamento che ne deriverebbe, secondo un orientamento di legittimità riportato dalle S.U. in parola (infra),[14] che ne deriverebbe ai crediti concorsuali quanto allo loro falcidia ovvero insinuabilità per l’originario credito integrale[15].

Non da ultimo assume estremo rilievo la Proposta Concorsuale nella sua complessità e fattibilità, proprio avuto riguardo alla tenuta, ed eventuale forma di copertura[16], del Piano con riferimento alle forme mitigatorie dei rischi di mancato, o parziale, incasso di crediti  e relativa riconducibilità, nell’effetto, ad una delle due ipotesi sostanziali per le ragioni creditorie degli aventi diritto “originari” nella procedura che deriverebbe.

[1] Data pubblicazione 14 febbraio 2022.

[2] N. 394/2016 del 07/12/2016, con era stata revocato la sentenza del Tribunale di Campobasso n.12/2016.

[3] Ordinanza interlocutoria n. 8919 del 31 marzo 2021, della I Sez. civ.

[4] N. 17703 del 17 luglio 2017 e n. 29632 dell’11 dicembre 2017.

[5]salvo che lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo”.

Viene richiamato, a tale proposito, la non escludibilità della rilevanza ermeneutica della disposizione (allora) del CCII non ancora applicabile, sul presupposto della sostanziale continuità della disciplina normativa come definito dalla nota Cass. S.U. n. 12476/20 – a tale proposito ci si permette rinviare a quanto esposto su questa Rivista, in merito, a commento della successiva (S.U. n. 8504, del 23 febbraio 2021) la quale, in trattazione, richiama tale precedente (Edizione di martedì 20 luglio 2021 “La “transazione fiscale” tra Legge Fallimentare e C.C.I.I.: applicazione delle disposizioni prospettiche quali criterio interpretativo di quelle vigenti”) -.

[6] Decisione del 24/03/2004, deposito del 02/04/2004, pubblicazione in G. U. 07/04/2004.

[7] Ritenendo distinguibili in tre fasi la “questione da devolvere alle Sezioni Unite” come esposta nel Provvedimento rimettente.

[8] Sez. 6, n. 29632 del 7 novembre 2017, richiamando espressamente quanto espresso dalla Corte Costituzionale (n. 106/2004, cit.- citate anche dalle SU in trattazione (infra) .

[9] N. 9935 e n. 9936, citate anche dall’Ordinanza Interlocutoria n. 8919 cit.) per la quale, con esse, si è “cristallizzato il principio del c.d. “coordinamento asimmetrico” tra la procedura concordataria e quella fallimentare”,

[10] Vedendosi affermato che la pendenza di una domanda di concordato preventivo ”impedisce temporaneamente la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 legge fall.(…)” e che, in pendenza di una procedura concordataria, “il fallimento dell’imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del P.M., può essere dichiarato soltanto quando ricorrono gli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 legge fall.”.

La stessa Pronuncia in trattazione, quanto alla definizione di pendenza precisa è da intendendosi per ‘pendenza’ indifferentemente con riferimento alle “fasi di ammissione, di approvazione o di omologazione”.

[11] Di recente la Corte (Sez. 1, n. 20661, 2 luglio 2019) avuto riferimento alla riformulazione dell’art. 160 l.fal., intervenuta con d.l. n. 35 del 2005 (non menzionata dalle citate disposizioni), ha chiarito che “con l’espunzione dell’inciso che consentiva all’imprenditore di proporre il concordato preventivo «fino a che il suo fallimento non è dichiarato», il principio di prevenzione che regolava i rapporti tra le due procedure, subordinando la pronuncia di fallimento al previo esaurimento della soluzione concordata della crisi dell’impresa, deve ritenersi definitivamente superato, non potendo essere desunto neppure in via interpretativa dai principi generali”.

[12] S.U. n.i 2476/20 e 8504/21 (cit.).

[13] Fondando il proprio ragionamento, tra le altre, su quanto esposto nella Relazione Illustrativa al CCII, nella quale secondo le S.U. “la disciplina viene descritta in termini dichiaratamente innovativi”, riportandone un significativo stralcio “l’articolo 119 sulla risoluzione del concordato contiene una rilevante novità rispetto all’attuale disciplina, in quanto dispone che la legittimazione ad agire per la risoluzione spetti non soltanto ai creditori ma anche al commissario giudiziale ove un creditore gliene faccia richiesta (…)”.

[14] N. 29632/2017 che  riprende quanto esposto dal Giudice delle Leggi  con sua n. 106/2004 (cit.).

[15] Aspetto che, in sede di valutazioni che dovrà eseguire un creditore in una simile circostanza, potrebbero risultante significative e non secondarie non solo in ragione del “riconoscimento” – livello e grado di rimborsabilità del credito come risultante dalla valutazione degli Organi Concordatari ma, soprattutto, al ricorrere di Accordi tra Creditori che, proprio per favorire il positivo esito concorsuale abbiano ridotto il valore delle proprie ragioni ovvero delle garanzie che le assistono.

[16]Si pensi alle assicurazioni crediti ovvero alla loro cessione pro-soluto – sempre una volta valutati i rispettivi costi / benefici che il Piano stesso deve analizzare e motivare nella scelta operata dall’Imprenditore richiedente la Procedura -.

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