7 Novembre 2017

Sul cumulo di interessi e rivalutazione del credito previdenziale integrativo: la parola alle Sezioni Unite

di Maddalena Ciccone Scarica in PDF

Cass., Sez. VI-1, 29 agosto 2017, n. 20512

Previdenza socialePrevidenza complementarePrestazioni integrative dovute dal datore di lavoroInteressi e rivalutazionePossibilità di cumulo (Cod. proc. civ., art. 429, comma 3; D.LGS. 21 aprile 1993, n. 124; LEGGE 30 dicembre 1991, n. 412, art. 16, comma 6)

[1] Va rimessa al Primo Presidente della Corte di Cassazione, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione di massima di particolare importanza relativa alla cumulabilità di interessi e rivalutazione monetaria sulle prestazioni pensionistiche integrative dovute dal datore di lavoro.

CASO

[1] Un fondo aziendale di previdenza complementare ricorre per cassazione censurando la sentenza della Corte d’appello per aver ammesso al passivo della procedura di liquidazione coatta amministrativa il credito consistente nel riscatto integrale, a favore del lavoratore, delle somme versate dal datore di lavoro nel fondo integrativo pensioni, attribuendo erroneamente natura retributiva a tale credito, con diritto a cumulare interessi e rivalutazione monetaria.

SOLUZIONE

[1] L’ordinanza in rassegna rileva un contrasto in merito alla questione se il credito per prestazioni pensionistiche integrative derivanti da somme accantonate dal datore di lavoro per la previdenza complementare, dia diritto a cumulare interessi e rivalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 429, comma 3, c.p.c. La Corte muove dall’affermazione della natura previdenziale e non retributiva delle somme accantonate dal datore di lavoro per la previdenza complementare, compiuta da Cass., sez. un., 9 marzo 2015, n. 4684, per concludere nel senso dell’inapplicabilità, ai versamenti effettuati alla previdenza complementare, dell’art. 429, comma 3, c.p.c., che riserva la possibilità di cumulo solo alle «somme di denaro per crediti di lavoro». Tale conclusione contrasta, tuttavia, con l’art. 16, comma 6, l. 30 dicembre 1991, n. 412, che, come sostiene Cass. 14 settembre 2015, n. 1804, sancisce la non cumulabilità di interessi e rivalutazione monetaria sulle prestazioni dovute da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria. Da un lato, infatti, tale normativa si riferisce esclusivamente ai crediti previdenziali vantati verso gli enti suddetti, e non è, pertanto, applicabile alle prestazioni pensionistiche integrative dovute dal datore di lavoro; dall’altro, la norma tratta di prestazioni previdenziali a carattere obbligatorio, con esclusione, quindi, di quelle dovute a titolo di previdenza integrativa e complementare.

QUESTIONI

[1] Identica questione è stata, da ultimo, affrontata da Cass. 25 ottobre 2017, n. 25361, www.iusexplorer.it, la quale ha statuito, in accordo con Cass. 14 settembre 2015, n. 18041, Foro it., Rep. 2016, voce Previdenza sociale, 197, che l’art. 16, comma 6, l. n. 412/91, con il quale è stata sancita la non cumulabilità di interessi e rivalutazione monetaria sulle prestazioni dovute da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, si riferisce esclusivamente ai crediti previdenziali vantati verso gli enti suddetti e non è applicabile alle prestazioni pensionistiche integrative dovute dai datori di lavoro privati.

La prassi applicativa dell’art. 429, comma 3, c.p.c. ruota intorno a due discusse tematiche. Da un lato, assume rilievo la peculiarità della disciplina introdotta per i crediti di lavoro dall’art. 429, comma 3 c.p.c. rispetto alla regolamentazione ordinaria dei danni nelle obbligazioni pecuniarie, di cui all’art. 1224 c.c. La normativa speciale ha finito per sottrarre i crediti di lavoro alla rigidità del principio nominalistico, allo scopo di conservare il reale potere d’acquisto della prestazione retributiva, in linea con il disposto dell’art. 36 Cost. (v. Cass., sez. un., 13 febbraio 1997, n. 1322, id., Rep. 1998, voce Lavoro e previdenza (controversie)). Dall’altro, la sua vis espansiva – ormai pienamente dispiegatasi – l’ha portato a diventare regola generale anche per il settore pubblico (v. Cons. di Stato, ad. pl., 15 giugno 1998, n. 3, id., 1998, III, 401, con osservazioni di Pardolesi; 13 maggio 1998, n. 811, id., Rep. 1998, voce Espropriazione per p.i., 359; 6 agosto 1997, n. 881, id., 1997, III, 473, con osservazioni di Pardolesi), per poi trovare applicazione anche ai crediti previdenziali e a quelli assistenziali (v. Cass. 27 aprile 1998, n. 4307, id., Rep. 1998, voce Lavoro e previdenza (controversie), 299).

Inconferente, appare, dunque, il richiamo compiuto dall’ordinanza in epigrafe, al fine di negare l’applicabilità dell’art. 429, comma 3, c.p.c. al caso di specie, all’orientamento espresso da Cass., sez. un., 9 marzo 2015, n. 4684, id., Rep. 2015, voce Previdenza sociale, 196, secondo cui le somme accantonate dal datore di lavoro per la previdenza complementare hanno natura e funzione previdenziale e non retributiva.

L’assoluta mancanza di un nesso di corrispettività diretta fra contribuzione e prestazione lavorativa, e quindi, la sostanziale autonomia tra rapporto di lavoro e previdenza complementare è, infatti, affermata dalla decisione da ultimo richiamata (che supera l’orientamento espresso da Cass., sez. un., 1 febbraio 1997, n. 974, id., Rep. 1997, voce Lavoro (rapporto), 1909, secondo cui i trattamenti pensionistici integrativi hanno natura giuridica di retribuzione differita, ma con funzione previdenziale), solo per escludere – anche per il periodo precedente la riforma introdotta dal D.lgs. 21 aprile 1993, n. 124 – i versamenti di previdenza complementare dal computo dell’indennità di anzianità e del trattamento di fine rapporto.

Una tale conclusione, tuttavia, non nega validità alle ragioni della sostanziale equiparazione della tutela dei crediti previdenziali e dei crediti di lavoro, consacrata da Corte cost. 12 aprile 1991, id., 1991, I, 1321, con nota di Pardolesi, Crediti previdenziali, tutela ‘differenziata’ e «punitive damages». Se è vero che la Corte costituzionale ha escluso una diretta inclusione dei crediti previdenziali nell’ambito dei crediti di lavoro – ciò che avrebbe comportato, come da taluno sostenuto (cfr. Nappi, Il risarcimento del danno per svalutazione monetaria in materia di prestazioni previdenziali, in Riv. giur. lav. 1974, III, 325; Tranquillo, Svalutazione monetaria e crediti previdenziali: a proposito del terzo comma dell’art. 429 c.p.c., id., 1977, III, 175; Curzio, Svalutazione monetaria e crediti previdenziali, in Lav. dir. 1988, 704), l’immediata applicabilità dell’art. 429, comma 3, c.p.c. anche ai primi – è innegabile che l’affermazione dell’identità di natura dei due tipi di credito (natura alimentare) è l’elemento che rende non plausibile, per la Consulta, la disparità di trattamento fra crediti di lavoro e crediti previdenziali, che deriverebbe dall’applicazione ai primi dell’art. 429, comma 3, c.p.c., e ai secondi dell’art. 1224 c.c.

D’altro canto, l’impossibilità di cumulare rivalutazione monetaria e interessi sui crediti per prestazioni previdenziali maturate nei confronti di fondi di previdenza complementare è già stata esclusa da Cass. 14 settembre 2015, n. 18041, Foro it., Rep. 2016, voce Previdenza sociale, 197, sul rilievo che l’art. 16, comma 6, l. 30 dicembre 1991, n. 412 (Su cui cfr. Izzo, La liquidazione del danno per i crediti previdenziali: nella finanziaria 1992 un passo indietro, in Giust. civ. 1992, II, 51), con il quale è stata sancita la non cumulabilità di interessi e rivalutazione monetaria sulle prestazioni dovute da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, da un lato si riferisce esclusivamente ai crediti previdenziali vantati verso gli enti suddetti e non è, pertanto, applicabile alle prestazioni pensionistiche integrative dovute dai datori di lavoro privati; dall’altro riguarda le prestazioni dovute da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, con esclusione di quelle dovute a titolo di previdenza integrativa, come nel caso di specie.

Vale la pena sottolineare, inoltre, che, chiamata a pronunciarsi sull’art. 16, comma 6, l. n. 412/90, Corte cost. 24 ottobre 1996, n. 361, in Foro it., 1996, I, 3266, con osservazioni di Pardolesi, aveva avvertito che «la commisurazione del trattamento pensionistico al reddito percepito in costanza di rapporto di lavoro incontra un limite nel necessario contemperamento della tutela del pensionato con le disponibilità del bilancio pubblico, a carico del quale è finanziato in buona parte il sistema previdenziale», ribadendo la «possibilità di un intervento legislativo che, per una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica, riduca in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante». Analoghe considerazioni non sono state svolte, invece, in sede di scrutinio di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 36, della l. 23 dicembre 1994, n. 724, che ha esteso l’applicazione del divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria, agli «emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale, per i quali non sia maturato il diritto alla percezione entro il 31 dicembre 1994, spettanti ai dipendenti pubblici e privati». Corte cost. 2 novembre 2000, n. 459, id., 2001, I, 35, con osservazioni di Pardolesi, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione, per contrasto con l’art. 36 Cost., limitatamente alle parole «e privati», con ciò rilevando che le preoccupazioni da finanza pubblica non hanno modo di riflettersi in ambito privato.