9 Maggio 2017

È ammissibile la domanda di revocazione ex art. 395, n. 4 c.p.c. avverso il decreto che decide l’opposizione allo stato passivo.

di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDF

Trib. Milano, 6 aprile 2017, Estensore Lupo

Revocazione ordinaria – Errore di fatto – Opposizione allo stato passivo – Decreto – Ammissibilità (C.p.c. art. 395; R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 93, 95, 98, 99)

Il provvedimento che decide l’opposizione allo stato passivo, concludendo un procedimento in unico grado, è suscettibile di revocazione per errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4 c.p.c.

IL CASO

La società Alfa insisteva per l’ammissione al passivo del fallimento della società Beta per il credito derivante dal trattamento di fine rapporto con riguardo alla posizione di un lavoratore dipendente.

Al rigetto dell’istanza seguiva opposizione allo stato passivo, accolta dal tribunale di Milano con decreto impugnato per revocazione dalla curatela, la quale segnalava l’errore di fatto consistito nella confusione tra il credito vantato nei confronti del lavoratore e quello invece vantato da quest’ultimo verso il Fallimento di Beta.

Inizialmente contrastata, la domanda revocatoria era successivamente oggetto di adesione dalla convenuta tanto è vero che le parti precisavano congiuntamente le conclusioni chiedendo al tribunale di dare atto della rinuncia all’ammissione al passivo del credito e della conseguente domanda di modifica dello stato passivo.

LA SOLUZIONE

Il tribunale rende la condivisibile – e, a quanto consta, inedita – precisazione per cui il decreto che pronuncia sull’opposizione allo stato passivo è astrattamente revocabile ex art. 395 n. 4 c.p.c., e, a seguito del giudizio rescissorio, modifica lo stato passivo ravvisando la sussistenza dell’errore revocatorio congiuntamente denunciato dalle parti.

LA QUESTIONE

Quanto all’astratta revocabilità del decreto che decide l’opposizione, il giudice del merito fonda la propria decisione in diritto osservando (i) l’evoluzione giurisprudenziale in ordine alla natura del decreto che definisce l’opposizione allo stato passivo e, più in generale, dello stesso giudizio di opposizione, nel quale la Cassazione ravvisa un giudizio di merito a cognizione piena (Cass., 11 settembre 2009, n. 19697) in unico grado (essendo direttamente ricorribile per cassazione, e non invece appellabile, il provvedimento che lo definisce); e (ii.b.) la superabilità, sul piano sistematico, del tenore letterale dello stesso art. 395 c.p.c., che pure assoggetta al rimedio le sole “sentenze” e dunque parrebbe di per sé escludere l’ammissibilità dell’impugnazione avverso al decreto disciplinato dall’art. 99, ultimo comma L.F.

Tale decisione si inserisce nel consolidato orientamento che, sulla scorta di plurimi interventi della Corte costituzionale, ammette la revocabilità anche di provvedimenti contraddistinti da forma diversa da quella della sentenza, e in particolare

  • ancora in tema fallimentare, la sentenza dichiarativa di fallimento (Bianchi D’Espinosa, La revocazione delle sentenze nel procedimento fallimentare, in fall., 1954, II, 117 ss.; Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, I, Milano, 1974, 607 s., nt. 1; Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, 113 ss.; Vassalli, Diritto fallimentare, I, Torino, 1994, 148 s.), ancorché per i soli motivi di revocazione straordinaria (Cass., 24 maggio 2010, n. 12625; Cass., 29 maggio 2014, n. 12121), e
  • il decreto che rende esecutivo lo stato passivo, revocabile per altro per espressa precisazione normativa (art. 98 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, come sostituito dall’art. 83 del D. Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, per cui il curatore, il creditore o il titolare di diritti su beni mobili o immobili, decorsi i termini per la proposizione della opposizione o della impugnazione, possono far valere la “falsità”, il “dolo”, l’”errore essenziale di fatto” e infine la “mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile”); nonché
  • le ordinanze anticipatorie previste dagli artt. 186 bis e ter dopo l’estinzione del processo, tanto più se ad esse si riconosce l’idoneità al giudicato [Carratta, voce “Ordinanze anticipatorie di condanna (dir. proc. civ.)”, in giur., IV agg., 1995, 24], e dall’art. 186 quater, come confermato dall’espressa equiparazione di quest’ultima, a fini impugnatori, alla sentenza appellabile ai sensi dei commi 3 e 4 della stessa norma (Rota, voce “Revocazione nel diritto processuale civile”, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XVI, Torino, 1998, 485);
  • le ordinanze di inammissibilità del ricorso per cassazione ex 375, comma 1, n. 1 c.p.c. [Corte cost., 9 luglio 2009, n. 207, che in quell’occasione ritenne che “la mancata previsione, da parte del legislatore, di un rimedio nel caso in cui un errore di tipo ‘percettivo’ abbia determinato la declaratoria di inammissibilità del ricorso, a norma dell’art. 375, comma 1 n. 1), c.p.c., viola sia l’art. 3, che l’art. 24 cost., quest’ultimo riguardato anche nella prospettiva della garanzia specifica approntata dall’art. 111, comma 7, cost., in tema di controllo di legalità riservato alla Corte di cassazione avverso tutte le sentenze”];
  • le ordinanze di convalida di sfratto o licenza per finita locazione e per morosità, inizialmente per il solo motivo di revocazione n. 4 (Corte cost., 20 dicembre 1989, n. 558) e oggi, limitatamente alla sola convalida di sfratto per morosità, anche per il motivo n. 1 (Corte cost., 20 febbraio 1995, n. 51), sulla scia di un orientamento dottrinale che predicava la revocabilità anche prima dell’intervento della Consulta (Tommaseo, Ordinanza di convalida di sfratto e revocazione per errore di fatto, in Leggi civ. comm., 1991, 392 s. c.; successivamente, sullo stesso tema, v. Chiarini, La revocazione e le altre impugnazioni esperibili avverso l’ordinanza di convalida di sfratto di cui all’art. 663 c.p.c., in dir. proc., 1997, 594);
  • i decreti ingiuntivi (ma, stando alla lettera dell’art. 656 c.p.c., , soltanto quelli divenuti esecutivi “a norma dell’art. 647”, ossia in quanto non opposti ovvero per mancata costituzione dell’opponente), anche in questo caso per i soli motivi nn. 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395;
  • le ordinanze, divenute definitive, emesse a seguito di procedimento ex 702 bis c.p.c. (Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2014, 604);
  • le pronunce dell’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione ai sensi dell’art. 12 della L. 25 maggio 1970, n. 352 (Ratto Trabucco, L’ammissibilità del ricorso per revocazione per errore di fatto ex art. 395, n. 4 c.p.c., avverso i provvedimento dell’ufficio centrale per il referendum, in Nuova rass. legisl., dottr. e giurispr., 2009, 1645 ss.).

Affermata l’astratta applicabilità dell’art. 395, n. 4 c.p.c., l’effettiva ricorrenza nel caso di specie di un errore di fatto “risultante dagli atti o documenti della causa” è motivata dal tribunale sulla base del pacifico orientamento che individua il presupposto nell’errore “di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità”, intuibile ictu oculi “senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche” (Cass., 1° aprile 2015, n. 6669).

In altre parole, per citare l’elegante definizione fatta propria da Andrioli, Commento al codice di procedura civile, II, Napoli, 1957, 630, l’errore “non può che nascere alla soglia della percezione”.

Esso deve dunque consistere in una “svista” di carattere materiale (Cass., S.U., 7 marzo 2016, n. 4413; Cass., 4 novembre 2015, n. 22520; Cass., 3 settembre 2015, n. 17513), di gravità tale da aver letteralmente “rovesciato” (Rota, op. cit., 481) la verità dei fatti emergente dal materiale di causa, come confermato dall’espressa richiesta a livello normativo (“effetto”) di un nesso eziologico tra errore sul fatto ed esito del giudizio.

La difformità dal reale deve dunque derivare da un errore meramente percettivo (nello stesso senso Colesanti, voce “Sentenza civile (revocazione della)”, in Noviss. Dig. it., XVI, Torino, 1969, 1168: “fin dove c’è giudizio, non vi è e non può esserci supposizione del fatto”, mentre il motivo in esame ricorre solo “quando si sia di fronte ad una assunzione del fatto dissociata dal ragionamento”) e derivi dall’inesatta supposizione di un fatto nella sua oggettività.

Tale non è, dunque, l’incompleto apprezzamento del contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti (Cass., 6 dicembre 2012, n. 21998; Cass., 23 gennaio 2012, n. 836; Cass., 18 maggio 2006, n. 11657), l’obliterazione di norme ovvero l’erronea individuazione della loro effettiva portata (Cass., 29 dicembre 2011, n. 29922; Cass., 3 dicembre 1996, n. 10794; Cass., 3 giugno 2002, n. 8023), l’inesatta interpretazione di una clausola contrattuale (Cass., 13 agosto 1990, n. 8241), l’erronea presupposizione della soccombenza della parte nel precedente grado di merito (Cass., 26 aprile 2005, n. 8639) e dell’esistenza di un giudicato insussistente, o viceversa, dell’inesistenza di un giudicato effettivamente esistente (Cass., 6 dicembre 2012, n. 19071; Cass., 25 giugno 2008, n. 17443; Cass., S.U., 17 novembre 2005, n. 23242; Cass., S.U., 16 novembre 2004, n. 21639; Cass., S.U., 2 aprile 2003, n. 5105).

Rientrano invece nell’ambito del motivo n. 4 i fatti processuali (Cass., 6 giugno 1972, n. 1759 e più recentemente, in dottrina, Rota, op. loc. ult. cit.), tra cui l’avvenuta notificazione della sentenza (Cass., 10 luglio 2015, n. 14420), l’omissione di pronuncia su domanda che l’attore in revocazione ritenga sia stata invece effettivamente proposta (Cass., 14 giugno 2011, n. 12958), l’esistenza o meno di atti o documenti processuali nel fascicolo (Cass., 25 maggio 2011, n. 11453; Cass., 18 marzo 2004, n. 5475), il fatto storico della verbalizzazione o meno di determinate dichiarazioni da parte del testimone (Cass., 27 aprile 2006, n. 9684; Cass., 25 giugno 2003, n. 10127; mentre non forma oggetto di revocazione l’erronea interpretazione delle stesse: Cass., 23 febbraio 2006, n. 4015; Cass., 3 febbraio 1994, n. 1099).