22 Giugno 2015

Frazionamento del credito e abuso del processo: panorama giurisprudenziale

di Fabio Cossignani Scarica in PDF

Sono trascorsi quasi 8 anni dalla pubblicazione della nota sentenza delle Sezioni (n. 23726/2007) che ha stabilito il principio di infrazionabilità della tutela giurisdizionale. All’indomani della pronuncia, le conseguenze sul piano applicativo non apparivano limpide. La giurisprudenza successiva ha confermato tali incertezze, evidenziando oltretutto una notevole portata espansiva del principio, invocato anche in materia di impugnazioni e di processo esecutivo

 

La sentenza Cass., sez. un., 15 novembre 2007 n. 23726, come noto, ha sancito il principio in virtù del quale «è contrario alla regola generale di correttezza e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di solidarietà  di cui all’ art. 2 Cost., e si risolve in abuso del processo (ostativo all’esame della domanda), il frazionamento giudiziale (contestuale o sequenziale) di un credito unitario».

Le conseguenze del frazionamento non erano tuttavia chiaramente indicate.

La giurisprudenza successiva ha fatto registrare soluzioni discordanti.

Decidendo su ipotesi di contestuale frazionamento in più processi o di proposizione di una prima domanda con riserva di agire in altro giudizio per il residuo, si è optato talvolta per l’improponibilità delle domande frazionate: Cass., 20 novembre 2009, n. 24539; Cass., 11 giugno 2008, n. 15476. Aderendo a tale impostazione, il credito non si consuma e può essere fatto valere, per intero, con una nuova domanda.

Per Trib. Milano, 8 marzo 2010, in Pluris, se è già passata in giudicato la decisione su altra frazione, la restante parte non è pregiudicata, ma essa va azionata per intero, pena altrimenti la declaratoria di improponibilità.

In direzione opposta vanno le pronunce che, decidendo sulle domande successive rispetto alla prima, hanno messo in connessione l’illegittimo frazionamento con i limiti del giudicato: ad es., Cass., 11 aprile 2008 n. 9545, secondo la quale il giudicato implicito, in una «rinnovata prospettiva del concetto di “deducibile”» impone che la pronuncia con la quale è stato riconosciuto il diritto agli accessori per il tardivo pagamento del tfr preclude la pretesa alla rideterminazione dello stesso per incidenza del premio di anzianità precedentemente non considerato (cfr. anche Cass., 3 dicembre 2008, n. 28719). In caso di cumulo contestuale, dovrebbe farsi applicazione delle regole sulla litispendenza o sulla continenza: cfr. Cass., 27 maggio 2008, n. 13791.

A conclusione analoga (preclusione definitiva) si è giunti in altra occasione (Cass., 22 dicembre 2011, n. 28286) senza fare espresso riferimento al giudicato, ma semplicemente rilevando la «disarticolazione dell’unico rapporto sostanziale». Peraltro, nel caso di specie, il richiamo al giudicato sarebbe stato discutibile, perché si controverteva sulla domanda di risarcimento del danno alla persona quando, nel frattempo, era già stata decisa, con sentenza passata in giudicato, altra domanda relativa ai danni alle cose provocati dallo stesso fatto illecito. È plausibile sostenere che i due diritti siano distinti, anche perché gli elementi costitutivi dell’uno e dell’altro sono almeno in parte diversi, non sussiste un nesso di pregiudizialità e gli effetti delle due domande non sono tra loro alternativi.

La circostanza che si sia negata tutela alle ragioni creditorie in una fattispecie che potrebbe esulare dall’unicità del diritto azionato lascia emergere, paradossalmente, il rischio di un abuso … del principio di infrazionabilità. Infatti, se i diritti sono diversi, più che di divieto di frazionamento bisognerebbe parlare di onere di cumulo. Ma, in questa maniera si introduce nell’ordinamento una nuova fattispecie estintiva del diritto soggettivo di matrice processuale. Peraltro, i limiti di operatività di tale fattispecie estintiva sembrano di difficile predeterminazione: secondo una pronuncia del Trib. di Mantova (3 novembre 2009, in Giur. it., 2010, 1378), ad es., una volta definita la lite sul capitale, non si può più agire per ottenere il pagamento degli interessi (in tal senso sembra anche Cass., 18 marzo 2010, n. 6597, ma si tratta di un obiter dictum; cfr. anche Trib. Milano, sez. spec. imprese, 16 aprile 2013, e Trib. Milano, 18 giugno 2009, entrambe in Pluris).

Il frazionamento finisce così per riferirsi al rapporto giuridico anziché ai singoli diritti. Quando il rapporto è fonte di una pluralità di situazioni soggettive, il divieto diventa declinabile ad ampio raggio. Spunti in tale direzione in Cass., 17 aprile 2013, n. 9317.

Quando i diritti sono diversi tra loro, sarebbe forse corretto (e anche ragionevole) intervenire sulla distribuzione delle spese e non sulla proponibilità della domanda. Si attenuerebbe così proprio quel pregiudizio patrimoniale determinato dall’eccessivo onere difensivo imposto al convenuto. Questa è la soluzione adottata da Cass., 7 dicembre 2011, n. 26377, anche se in un obiter dictum (in termini, Cass., 13 dicembre 2011, n. 26761).

D’altro canto, la pronuncia sulle spese è strumento che meglio si adatta alle peculiarità del caso concreto: in certi casi, la pluralità di iniziative a tutela di plurimi diritti nascenti dal medesimo rapporto è necessaria o comunque non pregiudizievole per il debitore (cfr. Trib. Perugia, 12 febbraio 2013, in Pluris); in altri, viceversa, rappresenta lo strumento per moltiplicare le spese processuali nonostante il modesto importo del credito (v. il caso deciso da Cass., 9 marzo 2015, n. 4702).

Non mancano, poi, richiami impropri al principio (v. Trib. Milano, 13 aprile 2012, in Pluris, in un caso di mera litispendenza) oppure, al contrario, sue interpretazioni restrittive (v. Cass., 11 marzo 2015, n. 4887, in tema di frazionamento della domanda cd. ex legge Pinto).

In via generale, il principio è senz’altro in espansione.

Viene utilizzato, ad es., anche per scoraggiare il cd. frazionamento soggettivo delle domande e/o delle impugnazioni. Da ultimo, sul tema, Cass., 24 aprile 2015, n. 8381, secondo cui la proposizione di distinte ma identiche impugnazioni avverso la medesima sentenza è comportamento legittimo, quanto allo strumento, ma illegittimo quanto alle modalità del suo utilizzo; le impugnazioni vanno quindi riunite e trattate unitariamente, specie ai fini della liquidazione delle spese (in precedenza, Cass., 30 aprile 2014, n. 9488; Cass., 5 maggio 2010, n. 9962; Cass., 3 maggio 2010, n. 10634).

Infine, va segnalata la giurisprudenza sul divieto di parcellizzazione dell’azione esecutiva.

In proposito v. Cass., 9 aprile 2013, n. 8576, e, soprattutto, Cass., 15 aprile 2015, n. 6664, ove l’illegittimo frazionamento ha comportato la consumazione del credito residuo.