9 Settembre 2025

Ammissibilità di nuovi documenti nel giudizio d’appello

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. III, 23 luglio 2025, n. 20786, Pres. Rubino Est. Guizzi

[1] Appello – domande ed eccezioni nuove – nuovi documenti – ammissibilità.

Massima: “Il divieto di produzione di nuovi documenti in appello, di cui al vigente testo dell’art. 345, comma 3, c.p.c., può essere superato solo ove il giudice accerti che non era possibile provvedere al tempestivo deposito nel giudizio di primo grado, per causa non imputabile alla parte, restando a tal fine ininfluente l’indispensabilità del documento ai fini del decidere”.

CASO

[1] La decisione che si commenta scaturisce da un giudizio promosso per ottenere da una compagnia assicuratrice il risarcimento del danno subito in conseguenza di un incidente stradale occorso mentre l’attore e una collega, terza trasportata (poi intervenuta nel medesimo giudizio), si recavano al lavoro.

Per quanto qui di interesse, il giudizio di primo grado si concludeva con sentenza del Tribunale di Roma di parziale accoglimento della domanda risarcitoria avanzata dall’intervenuta, ancorché previo riconoscimento della corresponsabilità dell’attore nella causazione del sinistro, nella misura del 25%.

Avverso tale decisione l’intervenuta in prime cure esperiva appello incidentale, con il quale lamentava l’errore compiuto dal Tribunale nella quantificazione della decurtazione della somma dovutale.

Il gravame veniva però rigettato dalla Corte d’Appello romana, la cui decisione veniva fatta oggetto, dall’intervenuta soccombente, di ricorso per cassazione articolato su un unico motivo. In particolare, la ricorrente denunciava, ai sensi dell’art. 360, n. 5), c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Nel dettaglio, con tale censura si addebitava al giudice d’appello di aver “omesso di esaminare il documento [nel caso di specie, proveniente dall’INAIL], depositato in secondo grado con nota del 22 dicembre 2017” – dal quale era sostanzialmente possibile desumere la somma da corrispondere alla ricorrente -, essendosi, invece, limitato “a prendere in esame il solo documento 28 prodotto in primo grado”. La predetta omissione avrebbe comportato la mancata riforma della sentenza di primo grado, inficiata per avere il Tribunale errato nel quantificare il risarcimento dovuto alla ricorrente. Ancora, per quanto particolarmente interessa ai fini del presente commento, secondo la ricorrente “il documento depositato in grado di appello non incontrava il divieto dell’art. 345 c.p.c., dal momento che tale divieto non sussiste per i documenti provenienti dall’INAIL relativi agli aggiornamenti di rendita e capitali versati e/o da versare in caso di infortunio sul lavoro o in itinere”: si richiama, al riguardo, il principio secondo cui il credito dell’INAIL verso il terzo autore del danno per il rimborso delle prestazioni eseguite a favore dell’infortunato “costituisce credito di valore, perciò da quantificarsi con riferimento al momento della liquidazione definitiva, con la conseguenza che se, per effetto di rivalutazione della rendita imposta da un provvedimento sopravvenuto, l’ammontare del credito sia superiore a quello dedotto dall’INAIL in primo grado, la maggior somma risultante, non essendo altro che la valutazione della medesima passività dedotta valutata secondo i parametri attuali, può essere richiesta in ogni momento dall’Istituto (perciò anche in appello), non costituendo tale richiesta domanda nuova, bensì semplice precisazione del petitum relativo alla domanda già posta” (in tal senso viene richiamata Cass., sez. lav., 22 novembre 2000, n. 15002); tale principio, si aggiunge, “deve trovare applicazione anche per quella parte del processo, diversa dall’INAIL, che abbia interesse a vedere accertate le somme da quest’ultimo erogate”.

SOLUZIONE

[1] La Cassazione ritiene fondato il motivo proposto, con conseguente accoglimento del ricorso.

In particolare, ad escludere l’applicazione del divieto di produzione di nuovi documenti in appello di cui all’art. 345, 3°co., c.p.c., viene in rilievo la constatazione per cui il documento in questione – datato 27 novembre 2017 – era di cinque giorni successivo all’atto di appello della ricorrente.

Nelle specie, infatti, poiché la sentenza di primo grado risulta pubblicata il 28 febbraio 2017, a trovare applicazione al caso de quo è il testo vigente dell’art. 345, 3°co., c.p.c. (ossia, come modificato dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, e applicabile ai giudizi d’appello introdotti dal trentesimo giorno successivo a quello – 11 settembre 2012 – di entrata in vigore della suddetta l. n. 134/2012).

Di conseguenza, deve darsi seguito al principio secondo cui il divieto di produzione di nuovi documenti in appello, di cui al vigente testo dell’art. 345, 3°co., c.p.c., “può essere superato solo ove il giudice accerti che non era possibile provvedere al tempestivo deposito nel giudizio di primo grado, per causa non imputabile alla parte, restando a tal fine ininfluente l’indispensabilità del documento ai fini del decidere” (da ultimo, Cass. civ., 12 giugno 2024, n. 16289).

Trattandosi, come detto, di documento formatosi nelle more del giudizio d’appello, deve ritenersi integrata l’evenienza – e cioè, l’impossibilità di provvedere al tempestivo deposito – che consente di superare il divieto di cui alla norma suddetta.

In conclusione, il ricorso viene accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, per la decisione sul merito e sulle spese di lite.

QUESTIONI

[1] La questione affrontata dalla Suprema Corte attiene alla corretta interpretazione del regime dei nova apprestato dal 3°co. dell’art. 345 c.p.c.

L’art. 345 c.p.c. – come noto, articolato in tre diversi commi, rispettivamente dedicati alle nuove domande, alle nuove eccezioni, e ai nuovi mezzi di prova -, stabilisce, al suo 3°co., che nel giudizio d’appello «non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio».

Tale versione dell’art. 345 c.p.c., come anticipato, è la risultante della modifica operata dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, che ha così sostituito la precedente versione della norma, la quale consentiva la produzione nel giudizio d’appello di nuovi mezzi di prova anche nel caso in cui il giudice di seconde cure li ritenesse «indispensabili ai fini della decisione della causa». Si ricorda, a tal proposito, come la possibilità di produrre nuovi documenti nel giudizio d’appello previa valutazione della loro indispensabilità sia stata in un primo tempo affermata dalle note pronunce di Cass. civ., sez. un., 20 aprile 2005, nn. 8202 e 8203, per essere poi espressamente codificata dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, ancorché eludendo il problema della impraticabilità logica di una valutazione a priori di indispensabilità delle prove documentali, le quali, a differenza di quelle costituende, entrano nel processo per effetto della semplice produzione in giudizio, con la conseguenza per cui la valutazione circa la loro indispensabilità finisce per coincidere con il giudizio sull’efficacia probatoria del documento (così, soprattutto, B. Cavallone, Anche i documenti sono “mezzi di prova” agli effetti degli artt. 345 e 347 c.p.c., in Riv. dir. proc., 2005, 1051 ss.).

Sul concetto di indispensabilità, peraltro, hanno avuto occasione di tornare le medesime Sezioni Unite della Cassazione, le quali hanno chiarito che “per prova nuova indispensabile di cui al testo dell’art. 345, 3°co., c.p.c., previgente rispetto alla novella di cui all’art. 54, comma 1, lett. b), del D.L. n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, deve intendersi quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado” (così, Cass. civ., sez. un., 4 maggio 2017, n. 10790, in Riv. dir. proc., 2019, con nota di E. Merlin, Indispensabilità delle prove e giudizio d’appello).

Ad ogni buon conto, come anticipato, il riferimento al requisito dell’indispensabilità della prova (o del documento) ai fini del superamento del divieto di cui all’art. 345, 3°co., c.p.c., è stato espunto dalla norma dalla riforma del 2012, con la conseguenza per cui le sole nuove prove ammesse in appello sono quelle che la parte dimostri di non aver potuto proporre o produrre in primo grado «per causa ad essa non imputabile» (in tal senso si veda pure l’arresto di Cass. civ., 9 novembre 2017, n. 26522, che ha esplicitato che “nel giudizio di appello, la nuova formulazione dell’art. 345, 3°co., c.p.c., quale risulta dalla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella l. n. 134 del 2012 (applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012), pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, senza che assuma rilevanza l’indispensabilità degli stessi, e ferma per la parte la possibilità di dimostrare di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”).

A tal riguardo, si tenga peraltro presente che il divieto di produzione di documenti nuovi in appello “non è superabile argomentando dalla natura, in senso lato, di un’eccezione proposta, per la prima volta, in sede d’impugnazione, atteso che il giudice è, invece, chiamato, onde legittimare la nuova produzione documentale, alla verifica dell’impossibilità per la parte di provvedere tempestivamente, nel giudizio di primo grado, a tale produzione per causa ad essa non imputabile” (così, Cass. civ., 24 ottobre 2023, n. 29506, in Giur. it., 2024, 1862 ss., con nota di D. Buoncristiani, Teoria del “moyen nécessairement dans la cause”, principio di non contestazione e poteri delle parti).

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha riscontrato la sussistenza di tale presupposto in ciò, che il documento risultava formato in data successiva rispetto all’instaurazione del giudizio d’appello: circostanza che, pertanto, ha reso legittima e fondata la censura in cassazione circa l’omesso esame, in seconde cure, di quel documento medesimo.

Sul punto è solo il caso di precisare ulteriori due profili di natura squisitamente processuale.

In primo luogo, la circostanza, verificatasi nel caso di specie, per cui il nuovo documento sia sopravvenuto rispetto all’instaurazione del giudizio d’appello, ha impedito l’operatività della preclusione alla proposizione del motivo di ricorso ex art. 360, n. 5), c.p.c., prevista dall’art. 348-ter, ult. co., c.p.c. (ratione temporis applicabile alla fattispecie in esame, sebbene poi abrogata ad opera del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, avendo l’abrogazione effetto solo dal 28 febbraio 2023 e con applicazione unicamente ai procedimenti di legittimità già pendenti in detta data – ma tale non era il giudizio in esame, atteso che la notificazione del ricorso principale risale al 14 dicembre 2022). Tale preclusione, concernente il caso della c.d. “doppia conforme” di merito, non è infatti riconducibile al caso di specie, visto che il documento del quale è stata esclusa l’ammissibilità in appello non fu esaminato in primo grado.

Infine, è opportuno ricordare che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, “il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento” (così, tra le ultime, Cass. civ., 13 giugno 2024, n. 16583).

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