29 Marzo 2022

Rapporti tra sospensione necessaria e sospensione discrezionale del processo

di Valentina Baroncini, Avvocato e Ricercatore di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. VI, 21 febbraio 2022, n. 5599, Pres. Orilia – Est. Abete

[1] Procedimento civile – Sospensione del processo – Necessaria – Presupposto – Obiettivo rapporto di pregiudizialità giuridica – Necessità – Inesistenza o nullità assoluta del titolo – Sospensione necessaria – Configurabilità – Fondamento – Annullabilità del titolo – Sospensione necessaria – Configurabilità – Esclusione – Fondamento (artt. 295, 337 c.p.c.)

Massima: “La sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c., nell’ipotesi di giudizio promosso per il riconoscimento di diritti derivanti dal titolo, ricorre quando in un diverso giudizio tra le stesse parti si controverta dell’inesistenza o della nullità assoluta del titolo stesso, poiché al giudicato di accertamento della nullità, la quale impedisce all’atto di produrre “ab origine” qualunque effetto, sia pure interinale, si potrebbe contrapporre un distinto giudicato, di accoglimento della pretesa basata su quel medesimo titolo, contrastante con il primo; detto nesso di pregiudizialità necessaria non ricorre, invece, ove nel diverso giudizio si controverta di meri vizi di annullabilità del titolo, poiché l’eventuale annullamento non è incompatibile con la sua efficacia “medio tempore”, salvo restando la retroattività “inter partes” con i connessi obblighi di restituzione delle obbligazioni già eseguite”.

CASO

[1] Caio, figlio di Mevia, conveniva in giudizio Tizio e Sempronio al fine di richiedere l’annullamento dell’atto di vendita di un immobile da questi concluso con la defunta madre, sostenendo che l’alienazione fosse stata compiuta da Mevia in stato di incapacità naturale.

Contro la pronuncia di rigetto dell’adito Tribunale di Milano, Caio proponeva appello.

Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., Tizio e Sempronio convenivano Caio e Tizia in distinto giudizio e, sulla base dell’affermazione del loro diritto di proprietà sull’immobile oggetto del primo processo, sostenevano che Caio e Tizia detenessero l’immobile sine titulo, richiedendo così la condanna di tali soggetti al rilascio del bene.

Con ordinanza, il Tribunale di Milano sospendeva il giudizio avviato ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c. ai sensi dell’art. 295 c.p.c., argomentando che il riscontro della validità – sub iudice dinanzi alla Corte d’Appello di Milano – del titolo d’acquisto degli attori, ricorrenti ex art. 702-bis c.p.c., costituiva il presupposto logico/giuridico delle loro domande, segnatamente della domanda di rivendicazione ex art. 948 c.c. Quindi, reputava sussistente la causa di sospensione ex art. 295 c.p.c., fino alla definizione del giudizio dinanzi al giudice di seconde cure.

Avverso tale ordinanza, Caio e Tizia proponevano ricorso per regolamento di competenza, chiedendo la cassazione del provvedimento.

In particolare, con il primo motivo veniva denunciata, ai sensi dell’art. 360, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., in considerazione della mancanza di identità soggettiva tra il giudizio pendente innanzi alla Corte d’appello di Milano e il giudizio introdotto con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. davanti al Tribunale di Milano, siccome al primo giudizio era estranea Tizia: circostanza, questa, che di per sé avrebbe ostato all’applicabilità dell’art. 295 c.p.c. Inoltre, i ricorrenti deducevano l’insussistenza di un rapporto di pregiudizialità in senso tecnico tra il giudizio dapprima introdotto e ancora pendente innanzi alla Corte di Milano e il giudizio successivamente introdotto: in particolare, secondo i ricorrenti sarebbe mancato il nesso di pregiudizialità necessaria tra il giudizio di annullamento di un titolo negoziale e il giudizio avente ad oggetto pretese fondate sul medesimo titolo.

Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 337 c.p.c. in quanto, qualora il Tribunale di Milano avesse ravvisato un nesso meramente logico tra i due giudizi, avrebbe potuto, eventualmente, disporre la sospensione del processo di rivendicazione ai sensi dell’art. 337 c.p.c., e non ai sensi dell’art. 295 c.p.c.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione giudica entrambi i motivi proposti fondati e, pertanto, meritevoli di accoglimento.

Con riguardo al primo motivo di ricorso, la Corte ricorda l’orientamento di legittimità secondo cui la sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c., nell’ipotesi di giudizio promosso per il riconoscimento di diritti derivanti da un titolo negoziale, ricorre quando in un diverso giudizio tra le stesse parti si controverta dell’inesistenza o della nullità assoluta del titolo stesso, poiché al giudicato di accertamento della nullità – la quale impedisce all’atto di produrre ab origine qualunque effetto, sia pure interinale – si potrebbe contrapporre un distinto giudicato, di accoglimento della pretesa basata su quel medesimo titolo, contrastante con il primo; detto nesso di pregiudizialità necessaria non ricorre, invece, ove nel diverso giudizio si controverta di meri vizi d’annullabilità del titolo, poiché l’eventuale annullamento non è incompatibile con la sua efficacia medio tempore, salvo restando la retroattività inter partes con i connessi obblighi di restituzione delle obbligazioni già eseguite (in tal senso, Cass., 28 novembre 2007, n. 24751; Cass., 4 marzo 2011, n. 5331).

Nel caso di specie, si versa evidentemente nella seconda delle ipotesi menzionate, ossia il caso in cui nel diverso giudizio si controverta di vizi di annullabilità del titolo: nel giudizio asseritamente pregiudicante, infatti, si discuteva di annullabilità, per incapacità naturale della madre Mevia, del contratto di compravendita immobiliare stipulato con Tizio e Sempronio. A ciò si aggiunga che, ai fini della sospensione necessaria del processo, non è configurabile un rapporto di pregiudizialità necessaria tra cause pendenti fra soggetti diversi, seppur legate fra loro da pregiudizialità logica, in quanto la parte rimasta estranea a una di esse può sempre eccepire l’inopponibilità, nei propri confronti, della relativa decisione (in tal senso, Cass., 29 maggio 2001, n. 7280; Cass., 18 marzo 2009, n. 6554; Cass., 11 agosto 2017, n. 20072). Nel caso di specie, evidentemente, mancava il menzionato requisito dell’identità soggettiva tra cause, in quanto Tizia era rimasta estranea al primo giudizio, asseritamente pregiudicante.

Anche con riferimento al secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte si limita a richiamare i vigenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità. E dunque, quando tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato può essere disposta soltanto ai sensi dell’art. 337, 2° co., c.p.c., sicché ove il giudice abbia provveduto ai sensi dell’art. 295 c.p.c., il relativo provvedimento, a prescindere da ogni accertamento circa la sussistenza del rapporto di pregiudizialità, è illegittimo e va annullato, ferma restando la possibilità, da parte del giudice di merito dinanzi al quale il giudizio andrà riassunto, di adottare un nuovo e motivato provvedimento di sospensione ai sensi dell’art. 337, 2° co., c.p.c. (così, Cass., sez. un., 19 giugno 2012, n. 10027; Cass., 19 settembre 2013, n. 21505; Cass., 18 marzo 2014, n. 6207; Cass., 20 gennaio 2015, n. 798; Cass., 9 luglio 2018, n. 17936; Cass., sez. un., 29 luglio 2021, n. 21763). Nel caso di specie, quando il Tribunale di Milano, con l’ordinanza impugnata con regolamento di competenza, ha sospeso il processo, lo ha fatto ex art. 295 c.p.c., e non già ai sensi dell’art. 337, 2°co., c.p.c., sebbene fosse ancora pendente il giudizio d’appello avverso la sentenza emessa all’esito del primo giudizio: di talché la sospensione impugnata in Cassazione viene qualificata per tale sola ragione come illegittima.

QUESTIONI

[1] La Suprema Corte, con il provvedimento in epigrafe, ritorna sul tema dei rapporti tra l’istituto della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. e quello della sospensione discrezionale, di cui all’art. 337, 2°co., c.p.c.

L’art. 295 c.p.c., rubricato «Sospensione necessaria», comanda al giudice di disporre la sospensione del processo «in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa». In tal caso, il giudice non ha alcun potere discrezionale circa la decisione di disporre la sospensione: al ricorrere della fattispecie prevista dalla norma, deve sospendere il processo dinanzi a sé, anche d’ufficio. Il fine perseguito dalla norma è quello, evidente, di assicurare la coerenza tra futuri giudicati, evitando l’insorgenza di conflitti c.d. pratici (sul punto, Cass., 20 gennaio 2015, n. 798; Cass., sez. un., 27 febbraio 2007, n. 4421).

L’art. 337 c.p.c., rubricato «Sospensione dell’esecuzione e dei processi» prevede poi, al suo secondo comma, che «quando l’autorità di una sentenza è invocata in un diverso processo, questo può essere sospeso se tale sentenza è impugnata». A differenza della fattispecie disciplinata dall’art. 295 c.p.c., la sospensione in discorso si atteggia dunque come facoltativa, in quanto il giudice “può” disporre la sospensione, restando dunque libero di sottrarsi al suo dovere di adeguamento al contenuto della sentenza pregiudiziale, purché motivi esplicitamente le ragioni per le quali non intende riconoscere l’autorità della prima sentenza, chiarendo perché non ne condivida il merito o le ragioni giustificatrici (in questo senso, Cass., 12 novembre 2014, n. 24046; Cass., 23 ottobre 2015, n. 21664; Cass., 2 settembre 2015, n. 17473).

Il rispettivo ambito applicativo da riconoscere a tali disposizioni è stato oggetto di dibattito in dottrina, nonché di un’interessante evoluzione nella giurisprudenza di legittimità.

L’orientamento tradizionale ritiene, infatti, che l’art. 337, 2°co., c.p.c., sia destinato a entrare in gioco solo laddove venga invocata in un diverso processo una sentenza (pregiudiziale) già passata in giudicato, che sia impugnata con opposizione di terzo o revocazione straordinaria: in altri termini, l’art. 337, 2°co., c.p.c., opererebbe soltanto per le impugnazioni straordinarie proposte avverso una sentenza passata in giudicato, lasciando al giudice della causa dipendente la scelta se attenersi al vincolo ovvero sospendere il processo nell’attesa di verificare se il giudicato verrà confermato o superato (in dottrina, A. Attardi, Ancora sulla portata dell’art. 337 cpv c.p.c., in Giur. it., 1986, 1237; A. Cerino Canova, Le impugnazioni civili, Padova, 1973, 71; G. Trisorio Liuzzi, La sospensione del processo civile di cognizione, Bari, 1987, 285). Nell’ambito di tale ricostruzione, l’istituto della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. sarà allora destinato a trovare applicazione, nella regolamentazione dei rapporti tra processo pregiudiziale e processo dipendente, finché la sentenza pregiudiziale non sia passata in giudicato.

Un differente orientamento (che trova la principale voce in E.T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1984, 291), muovendo dalla distinzione tra forza di giudicato ed efficacia naturale della sentenza, riferisce invece la sospensione di cui all’art. 337, 2°co., c.p.c., alle impugnazioni ordinarie, conferendo al giudice del processo dipendente l’alternativa tra sospendere il processo e adeguarsi all’efficacia naturale della sentenza, anche se priva della forza di giudicato. Nell’ambito di tale ricostruzione, la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. vedrebbe, allora, notevolmente ridotto il proprio ambito applicativo, essendo destinata a venire in gioco solamente quando la causa pregiudiziale sia ancora pendente in primo grado.

A dirimere il dibattito, almeno all’interno della giurisprudenza di legittimità, sono intervenute, come noto, le Sezioni Unite della Cassazione le quali, accostandosi alla seconda delle opinioni ricordate, hanno affermato che “quando fra due giudizi esista rapporto di pregiudizialità, e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, è possibile la sospensione del giudizio pregiudicato soltanto ai sensi dell’art. 337 c.p.c., come si trae dall’interpretazione sistematica della disciplina del processo, in cui un ruolo decisivo riveste l’art. 282 c.p.c.: il diritto pronunciato dal giudice di primo grado, invero, qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello dello stato originario di lite, giustificando sia l’esecuzione provvisoria, sia l’autorità della sentenza di primo grado” (così Cass., sez. un., 19 giugno 2012, n. 10027). In altri termini – anche allo scopo di assicurare la ragionevole durata del processo, evidentemente compromessa da un utilizzo dilatato dell’istituto della sospensione necessaria – si è in tal modo sancita l’applicazione generalizzata della sospensione facoltativa ex art. 337, 2°, c.p.c., destinata a entrare in gioco ogni volta in cui la sentenza pregiudiziale sia impugnata mediante un’impugnazione ordinaria.

Nella fattispecie decisa dal provvedimento in commento, evidentemente, tale circostanza è idonea a rivestire carattere assorbente sul primo motivo di ricorso proposto: a monte, infatti, la disposta sospensione ex art. 295 c.p.c. dev’essere ritenuta illegittima in quanto, aderendo all’orientamento di legittimità oggi prevalente, il Tribunale di Milano avrebbe dovuto tutt’al più disporre la sospensione ai sensi dell’art. 337, 2°co., c.p.c.

Solo in un secondo momento, dunque, e sotto un profilo maggiormente attinente al merito, entra in gioco la prima considerazione spesa dal provvedimento in esame, dove si esclude la sussistenza di un nesso di pregiudizialità-dipendenza laddove il giudizio asseritamente pregiudicante abbia ad oggetto non già la nullità del titolo da cui scaturiscono i diritti invocati nel differente processo, bensì la sua mera annullabilità.

Pacifico, infine, è anche il dato che, al fine di validamente invocare l’istituto della sospensione per pregiudizialità-dipendenza, occorra identità soggettiva tra i due giudizi, pregiudiziale e dipendente, pendenti: a questo proposito, si richiama la pronuncia di Cass., 29 maggio 2001, n. 7280, ai sensi della quale “il rapporto di pregiudizialità che, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., impone al giudice la sospensione del processo, non può configurarsi nella ipotesi di cause pendenti tra soggetti diversi, perché la pronuncia di ciascun giudizio non potendo fare stato nei confronti delle diverse parti dell’altro, non può perciò stesso costituire il necessario antecedente logico-giuridico della relativa decisione”.

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Organismo di vigilanza