Revoca tacita del testamento: disciplina ed effetti dell’incompatibilità tra disposizioni
di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDFTribunale Torino, Sez. II, Sent., 06/06/2025, n. 2811
Il Tribunale in composizione monocratica nella persona del Giudice dott.ssa Simona Gambacorta ha statuito che: “la revoca di un testamento può essere implicita quando le disposizioni contenute in un testamento successivo sono incompatibili con le precedenti, denotando la volontà del testatore di modificarle. La giurisprudenza della Corte di Cassazione sottolinea che tale revoca può essere desunta dal contenuto complessivo del testamento successivo e dalla sua incompatibilità oggettiva o intenzionale con quello precedente.”[1]
(Articoli di riferimento: 679 e 682 c.c.)
CASO
Nel 2022, a seguito della morte della zia, i nipoti signori [omissis] hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino la signora [omissis] – una nipote, istituita unica erede dalla testatrice – nonché altri beneficiari di disposizioni testamentarie, contestando la validità e l’efficacia delle ultime volontà della de cuius. Nello specifico si è contestato che quest’ultima aveva redatto due distinti testamenti, entrambi ricevuti da notaio (il primo nel 2013 e il secondo nel 2016).
Dal raffronto letterale tra le due schede è risultato che nel testamento del 2013 i ricorrenti erano destinatari di un legato pecuniario, disposizione che non compariva più nel testamento successivo, mentre le altre attribuzioni erano rimaste sostanzialmente immutate. Ciononostante i ricorrenti hanno sostenuto che il testamento del 2016, pur non riproducendo il lascito a loro favore, non potesse ritenersi integralmente sostitutivo di quello del 2013, il quale, pertanto, non sarebbe stato implicitamente revocato dalla successiva manifestazione di volontà. Questi ultimi hanno quindi chiesto al Tribunale di accertare la perdurante validità ed efficacia del legato contenuto nella scheda del 2013 e, conseguentemente, di condannare l’erede testamentaria al pagamento delle somme loro spettanti.
Si è costituita in giudizio la parte convenuta, la quale ha domandato il rigetto delle pretese avversarie sostenendo che con il testamento del 2016 la de cuius avesse inteso revocare quello del 2013, quantomeno con riferimento ai legati disposti in favore dei ricorrenti. A sostegno di tale interpretazione è stato evidenziato come le somme giacenti sui conti correnti fossero state pressoché integralmente consumate negli ultimi anni di vita della testatrice, a causa delle ingenti spese sostenute per le sue necessità personali e di cura, sicché l’attivo residuo non sarebbe stato sufficiente a soddisfare i legati oggetto di contestazione.
SOLUZIONE
Con la prima scheda testamentaria, datata 2013, la de cuius aveva istituito erede la nipote signora [omissis], disponendo contestualmente alcuni legati pecuniari in favore di altri nipoti. Tali attribuzioni a titolo particolare sono qualificabili come legati obbligatori di genere, in quanto aventi ad oggetto somme di denaro poste a carico dell’erede e destinate ai ricorrenti.
Il giudice ha rilevato che il testamento redatto nel 2016 risulta, sotto il profilo contenutistico, pressoché sovrapponibile a quello del 2013: l’istituzione ereditaria è rimasta immutata, così come altre attribuzioni, mentre non vi è alcun richiamo alle disposizioni a titolo particolare previste in favore dei ricorrenti.
Alla luce di tale confronto il Tribunale ha ritenuto che con il testamento del 2016 la de cuius abbia inteso revocare – e integralmente sostituire – quello del 2013. A fondamento di tale convincimento è stata valorizzata la circostanza che quasi tutte le disposizioni precedenti sono state riprodotte nella nuova scheda, ad eccezione dei legati in favore dei ricorrenti; omissione, quest’ultima, che il giudice ha interpretato come indicativa della volontà della testatrice – descritta dagli stessi ricorrenti come persona lucida, dotata di adeguate capacità cognitive e culturali – di confermare le attribuzioni ancora conformi al proprio volere ed escludere quelle ormai superate. In questa prospettiva, la sopravvivenza dei legati contenuti nel testamento del 2013 avrebbe reso priva di logica la redazione di un secondo testamento sostanzialmente identico al primo ma privo di reali elementi innovativi. In altri termini, non si comprenderebbe per quale ragione la de cuius avrebbe avvertito la necessità di reiterare disposizioni già valide senza introdurre modifiche significative.
Il giudice ha inoltre richiamato un inciso contenuto nel testamento del 2016 in cui la testatrice precisava che, “per sopravvenuta mia necessità di salute e di spese”, disponeva il lascito dei conti correnti e del conto titoli in favore della nipote erede, affinché “possa fare fronte alle molte spese di cui ho bisogno”. Tale passaggio è stato interpretato come espressione di una nuova volontà, maturata nella consapevolezza delle ingenti spese richieste per il proprio sostentamento e per le cure, con la conseguenza che non sarebbero rimaste risorse sufficienti a soddisfare i legati disposti nel 2013, né si sarebbe voluto gravare l’erede – che si era costantemente occupata della de cuius – oltre i limiti delle residue disponibilità patrimoniali.
Per tali ragioni il Tribunale di Torino ha concluso che il testamento del 2016 abbia implicitamente revocato quello del 2013 e, conseguentemente, ha rigettato le domande proposte dai ricorrenti.
QUESTIONI
La sentenza in commento offre lo spunto per alcune riflessioni sull’istituto della revocazione testamentaria, per mezzo del quale si sostanzia il diritto di ripensamento del testatore: quest’ultimo infatti, sino all’ultimo istante di vita, può liberamente modificare la propria volontà e privare di effetti le disposizioni precedentemente adottate.
Il principio di revocabilità, sancito anzitutto dall’art. 587 c.c. secondo cui “il testamento ha natura di atto revocabile”, attribuisce al testatore la facoltà di modificare, integrare o sostituire, in tutto o in parte e in qualunque momento, le disposizioni già assunte. Ne discende la possibilità di rivedere il proprio testamento tanto in senso negativo, mediante la soppressione delle disposizioni già espresse, quanto in senso positivo, attraverso la loro sostituzione o integrazione con nuove manifestazioni di volontà[2].
La revocabilità delle disposizioni testamentarie, peraltro, ha carattere assoluto e irrinunciabile: l’art. 679 c.c. commina infatti la nullità di qualsiasi clausola o condizione contraria, a prescindere dalla forma utilizzata. La previsione colpisce tanto gli atti unilaterali (anche di natura testamentaria) quanto gli accordi bilaterali, rispetto ai quali il divieto trova ulteriore giustificazione nel più generale principio di indisponibilità dei diritti successori prima dell’apertura della successione, sancito dall’art. 458 c.c. con il divieto dei patti successori[3].
La natura giuridica dell’atto di revoca delle disposizioni testamentarie costituisce tema controverso, non trovando una posizione univoca in dottrina[4].
Un primo orientamento, valorizzando il profilo strutturale e l’efficacia immediata della revoca rispetto all’atto cui si riferisce, le attribuisce natura di atto inter vivos. Secondo tale impostazione la revoca inciderebbe sin da subito sull’efficacia del testamento, determinando la cessazione della sua validità già al momento della manifestazione di volontà del testatore; l’atto revocato cesserebbe dunque di produrre effetti in vita del disponente. La funzione della revoca non sarebbe allora quella di regolare i rapporti patrimoniali per il tempo successivo alla morte, bensì di incidere anticipatamente sull’efficacia del testamento.
Un secondo orientamento, invece, pone l’accento sugli effetti propri dell’atto di revoca, qualificandolo come fatto impeditivo dell’efficacia mortis causa del testamento. In questa prospettiva la revoca – pur compiuta in vita – produrrebbe effetti solo al momento della morte del testatore analogamente a qualsiasi disposizione testamentaria, partecipando così della natura mortis causa. Parte della dottrina osserva, inoltre, che tale qualificazione si ricava anche dalla funzione sostanziale dell’atto: attraverso la revoca, infatti, il testatore dispone pur sempre del proprio patrimonio per il tempo successivo alla morte, determinando, nei limiti della revoca effettuata, il ritorno (totale o parziale) della successione legittima. Si è altresì rilevato che, in quanto atto accessorio rispetto al testamento, la revoca ne condividerebbe necessariamente la natura: trattandosi di un atto volto a privare di effetti il contenuto di un atto mortis causa, anch’essa dovrebbe essere qualificata come tale.
Un orientamento intermedio, infine, sostiene che la natura giuridica della revoca dipenda dalla forma prescelta: essa assumerebbe natura di atto inter vivos qualora posta in essere mediante atto pubblico ricevuto da notaio alla presenza di testimoni, e natura di atto mortis causa qualora contenuta in un testamento[5].
Con riguardo alle modalità e alle forme attraverso cui può essere revocato o modificato un precedente testamento, queste sono tassativamente previste dalla legge, in considerazione della particolare rilevanza degli effetti che la revocazione produce[6].
In linea generale la volontà di revoca può manifestarsi in forma espressa o tacita[7].
La revoca espressa è ammessa esclusivamente in due modalità: mediante un nuovo testamento oppure tramite atto ricevuto da notaio (art. 680 c.c.).
Quanto alla revoca contenuta in un testamento successivo, la legge non chiarisce se sia sufficiente un atto recante la sola dichiarazione di revoca delle disposizioni precedenti ovvero se sia necessario che il testamento abbia contenuto patrimoniale. Sul punto la dottrina è concorde nel ritenere che se l’elemento patrimoniale è indispensabile per configurare una successione testamentaria, esso non è altrettanto necessario per l’esistenza stessa dell’atto testamentario, che può validamente contenere anche sole disposizioni non patrimoniali. Ne deriva che quando l’art. 680 c.c. prevede la possibilità di revocare espressamente mediante un “nuovo testamento”, il riferimento è al testamento in senso formale (ossia come atto avente la forma testamentaria) e non al testamento in senso sostanziale (come atto di disposizione patrimoniale). In tema di revoca, infatti, non rileva il contenuto patrimoniale dell’atto, bensì unicamente che la volontà di eliminare le precedenti disposizioni sia espressa nelle forme testamentarie.
Occorre dunque distinguere tra testamento in senso tecnico e testamento in senso formale: la legge, imponendo la forma testamentaria o quella dell’atto notarile, intende garantire esclusivamente la certa provenienza dal de cuius della dichiarazione di revoca, senza esigere che il testatore disponga contestualmente dei propri beni. La correttezza di tale impostazione trova conferma nell’ipotesi in cui la revoca sia compiuta mediante atto notarile privo di contenuto testamentario: pur non disponendo di alcun bene, la dichiarazione di revoca conserva piena efficacia, privando di effetti le disposizioni precedenti.
Con riferimento a questa seconda ipotesi (revoca mediante atto notarile), la legge richiede che il testatore, alla presenza di due testimoni analogamente a quanto previsto per il testamento pubblico ex art. 603 c.c., dichiari personalmente di revocare, in tutto o in parte, le precedenti disposizioni. Non è invece necessario, né vi sono motivi per ritenere il contrario, che l’atto notarile abbia come contenuto esclusivo la dichiarazione di revoca: questa può infatti essere inserita anche in un rogito avente diverso oggetto giuridico, senza che ciò incida sulla sua validità ed efficacia.
La revocazione tacita, diversamente, può derivare da diverse ipotesi, tutte espressamente disciplinate dal codice civile. Precisamente: a) l’incompatibilità delle disposizioni di un testamento posteriore con quelle contenute in un testamento anteriore (art. 682 c.c.); b) la distruzione del testamento olografo da parte del testatore (art. 684 c.c.); c) il ritiro del testamento segreto privo dei requisiti per valere come olografo (art. 685 c.c.); d) l’alienazione o la trasformazione, ad opera del testatore, della cosa oggetto di legato (art. 686 c.c.)[8].
La pronuncia in commento si concentra sulla prima di tali fattispecie, ossia quella che configura una revoca tacita del testamento fondata sull’implicita desumibilità della volontà revocatoria dall’incompatibilità tra disposizioni contenute in testamenti successivi.
L’art. 682 c.c. disciplina gli effetti della revoca tacita stabilendo che, in mancanza di una dichiarazione espressa, le disposizioni anteriori perdono efficacia soltanto laddove risultino inconciliabili con quelle successivamente adottate. La regola che si ricava è quella della conservazione delle precedenti volontà, che non vengono automaticamente travolte dal nuovo testamento, ma si considerano caducate esclusivamente nei limiti dell’incompatibilità accertata. In altri termini, il testamento successivo non comporta ex se la totale inefficacia di quello precedente, potendo le disposizioni residue continuare a produrre effetti in quanto coerenti con il nuovo assetto voluto dal de cuius.
L’incompatibilità, secondo l’interpretazione prevalente, si traduce in una impossibilità materiale di dare simultanea esecuzione a più disposizioni: solo in presenza di un contrasto insuperabile, infatti, la norma ammette la caducazione delle attribuzioni anteriori, a prescindere da un intento revocatorio consapevole[9]. Altra parte della dottrina – sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità[10] – propone invece una lettura diversa, sostenendo che il concetto di incompatibilità non debba limitarsi al piano oggettivo. Essa potrebbe assumere anche una dimensione soggettiva, legata cioè a un giudizio logico sulla volontà del testatore. In questa prospettiva, il conflitto tra disposizioni potrebbe desumersi non solo dall’impossibilità materiale di esecuzione contemporanea, ma anche dal contenuto del nuovo testamento, valutato nel contesto complesso, dal quale emerga la presunzione che il testatore abbia inteso escludere le precedenti attribuzioni. Da qui la distinzione tra incompatibilità oggettiva, che si configura quando le due disposizioni sono concretamente inattuabili insieme, e incompatibilità soggettiva o intenzionale, ricorrente quando, pur non essendovi un contrasto materiale, il nuovo atto lascia trasparire la volontà implicita di revocare in tutto o in parte le disposizioni anteriori[11].
L’orientamento maggioritario osserva tuttavia che una volta accertata l’esistenza di un nuovo e valido testamento, non occorre ulteriormente verificare se il testatore abbia voluto in modo espresso revocare le disposizioni precedenti. La revoca, in tale visione, opera anche indipendentemente dalla consapevolezza o dal ricordo del de cuius circa le pregresse attribuzioni; essa rappresenta un effetto indiretto e automatico della sopravvenuta disposizione incompatibile che prevale per il solo fatto di essere l’ultima manifestazione di volontà. In ciò si riflette il principio di libertà testamentaria, che riconosce al disponente la possibilità di modificare liberamente le proprie scelte sino alla morte senza richiedere ulteriori indagini sul suo intento specifico di revoca[12].
Quanto all’accertamento dell’eventuale incompatibilità tra disposizioni testamentarie, questa costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità purché sorretto da argomentazioni congrue e logicamente coerenti.
Perché si configuri un contrasto rilevante è necessario che il testamento successivo contenga disposizioni patrimoniali analoghe o sovrapponibili a quelle già dettate in precedenza; in mancanza, un atto privo di contenuto patrimoniale non può interferire con disposizioni aventi carattere dispositivo. L’indagine, inoltre, deve essere condotta in relazione alle singole disposizioni testamentarie e non con riferimento all’atto nel suo complesso: soltanto quelle concretamente incompatibili vengono meno, mentre le altre conservano la loro efficacia.
Nel caso poi in cui tale verifica non consenta di giungere ad un risultato certo, né in senso affermativo né in senso negativo, deve trovare applicazione il principio di conservazione delle disposizioni testamentarie: in situazione di dubbio, infatti, la revoca non può ritenersi operante. Come sopra ricordato, si rinviene un principio generale di tutela delle volontà già manifestate: le attribuzioni anteriori non sono automaticamente caducate, ma possono essere private di efficacia solo ove si accerti una contraddizione effettiva e insanabile con le successive. La revoca implicita dell’intero testamento precedente si verifica unicamente quando, eliminando le disposizioni incompatibili, risulti impossibile garantire coerenza e significato alle clausole residue. In difetto di tale situazione, le attribuzioni contenute nel testamento anteriore rimangono valide e si affiancano a quelle del successivo, realizzando una continuità dell’intento testamentario nel tempo[13].
[1] Massima tratta da One legale.
[2] AZZARITI, Le successioni e le donazioni, Padova, 1982.
[3] Codice civile a cura di RESCIGNO, art. 679, Milano, 2006.
[4] CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 2023; GENGHINI-CARBONE, Le successioni per causa di morte, Vicenza, 2022.
[5] MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1963.
[6] BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2020.
[7] AZZARITI, Le successioni e le donazioni, op. cit..
[8] PASQUARELLO, I tre testamenti ordinari e la funzione notarile (Cap. XII), in OMNIA-Trattati giuridici, Successioni e donazioni diretto da IACCARINO, Milano, 2023.
[9] PASQUARELLO, I tre testamenti ordinari e la funzione notarile (Cap. XII), in OMNIA-Trattati giuridici, Successioni e donazioni diretto da IACCARINO, op. cit..
[10] Cfr. Cass. civ n. 11587/2017.
[11] CIAN-TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, art. 682 c.c., Milanofiori Assago, 2016; Codice civile a cura di RESCIGNO, art. 682, Milano, 2006.
[12] CIAN-TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, art. 682 c.c., op. cit.; Codice civile a cura di RESCIGNO, art. 682, op. cit..
[13] AZZARITI, Le successioni e le donazioni, op. cit.; Codice civile a cura di RESCIGNO, art. 682, op. cit..
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