25 Novembre 2025

Precisazioni della Cassazione in tema di acquisto dell’eredità e di diritti del coniuge superstite

di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. II, Sentenza, 14/08/2025, n. 23309

Massima:L’acquisito ex lege dell’eredità ai sensi dell’art. 485 c.c. presuppone, in chi ne faccia valere la validità, la dimostrazione, nel chiamato in possesso di beni ereditari, della capacità naturale di agire del medesimo, ossia della capacità di intendere e di volere e, dunque, della consapevolezza di possedere beni facenti parte di un’eredità a lui devoluta[1].

(Articoli di riferimento: 485 c.c.)

CASO

Tizio, in proprio e quale tutore del figlio Tizietto, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Prato Caio e Sempronio, domandando lo scioglimento della comunione relativa a un immobile che era appartenuto originariamente a Mevio e Tizia. Quest’ultima, in seguito, è deceduta lasciando eredi legittimi il marito Tizio e il figlio Tizietto; di seguito ancora moriva anche Mevio, cui sono subentrati per testamento i nipoti Caio e Sempronio.

Chiamato a pronunciarsi sul caso di specie, il Tribunale anzitutto rideterminava le quote dei comproprietari, rilevando che Tizio aveva rinunciato in passato alla propria quota di comproprietà in favore di Mevio; si accertava, inoltre, che Tizietto era divenuto erede della madre Tizia ai sensi dell’art. 485 c.c., avendo continuato ad abitare nella casa familiare insieme al padre senza procedere alla redazione dell’inventario nel termine di legge.

In seguito la Corte d’Appello rigettava il motivo volto a negare che Tizietto potesse aver validamente accettato l’eredità materna. Al riguardo la Corte distrettuale osservava che Caio era stato interdetto solo successivamente alla morte della madre, e che la circostanza di essere affetto dalla sindrome di Down sin dalla nascita non comportava automaticamente incapacità naturale, dovendo quest’ultima essere accertata in concreto al momento del fatto.

Esclusa la prova dell’incapacità, la Corte evidenziava che Tizietto aveva convissuto nell’immobile familiare dopo il decesso della madre e che, ai fini dell’accettazione tacita ex art. 485 c.c., risultava irrilevante l’autonomo diritto di abitazione spettante al padre, trattandosi di situazioni giuridiche distinte e non essendovi stata alcuna sua opposizione al possesso del figlio.

Si presentato ricorso per Cassazione.

SOLUZIONE

La presente pronuncia della Corte di Cassazione muove da un principio consolidato: sebbene la capacità di intendere e volere debba essere valutata con riferimento al momento dell’atto, tale valutazione non può essere rigida né isolata temporalmente, ma deve considerare le condizioni del soggetto prima e dopo il compimento dell’atto, soprattutto quando l’infermità derivi da una malattia che può essere stabile, regressiva o migliorabile. In quest’ottica i giudici di legittimità ribadiscono che, in presenza di una malattia mentale permanente, spetta a chi sostiene la validità dell’atto l’onere di dimostrare l’esistenza di un lucido intervallo sufficiente a restituire al soggetto la piena consapevolezza della natura e degli effetti dell’atto compiuto.

La sentenza di merito ha ritenuto integrata la fattispecie dell’accettazione tacita di eredità ex art. 485 c.c., fondata sul mancato compimento dell’inventario da parte del chiamato in possesso dei beni ereditari. Pur essendo intervenuta la sentenza di interdizione a distanza di oltre tre anni dall’apertura della successione, la Suprema Corte ha ritenuto che questa circostanza imponesse comunque ai giudici di merito di estendere l’indagine alla natura e ai caratteri dell’infermità, verificando se si trattasse di una patologia permanente compatibile con l’incapacità naturale al tempo dell’atto.

Com’è stato precisato, nell’ambito dell’art. 485 c.c. la formazione del rapporto possessorio richiede pur sempre la capacità naturale del soggetto, poiché il possesso implica un’attività di fatto che deve essere sorretta dalla capacità di intendere e volere; ne consegue che il giudice di merito avrebbe dovuto accertare tale capacità in concreto al momento in cui Tizietto ha assunto (o mantenuto) il possesso dell’immobile ereditario.

La Corte ha aggiunto che, nel caso specifico, il diritto di abitazione ex art. 540, comma 2, c.c. non poteva sorgere in capo al coniuge superstite, poiché l’immobile era in comproprietà non soltanto tra i coniugi ma anche con un terzo. Ciò è conforme al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il diritto di abitazione in favore del coniuge superstite sussiste solo se l’immobile è di proprietà esclusiva del de cuius o in comunione con il coniuge stesso; al contrario, quando esso è in comunione con un terzo, il diritto non sorge, neppure nella forma di un equivalente monetario, poiché verrebbe snaturato il senso dell’istituto, volto ad assicurare un godimento pieno ed effettivo della casa familiare.

QUESTIONI

Un primo tema affrontato dalla pronuncia in esame concerne l’acquisto dell’eredità per effetto della mancata redazione dell’inventario nei termini di legge da parte del chiamato possessore dei beni, con particolare attenzione alla questione della consapevolezza di tale possesso.

Com’è noto, l’esistenza di un periodo intercorrente tra l’apertura della successione e l’accettazione dell’eredità rende necessario assicurare la conservazione dell’asse ereditario durante tale lasso di tempo. Detta esigenza è diretta a tutelare non soltanto l’interesse del futuro erede – che mediante l’accettazione acquisterà diritti e obblighi – ma anche quello dei creditori, dei legatari e di tutti i soggetti che possano vantare pretese sul compendio, prevenendo dispersioni, spogli o alterazioni durante il cosiddetto periodo di “vacanza ereditaria”.

A ben vedere, il codice disciplina questa fase transitoria mediante un sistema di poteri e limiti calibrati sulla posizione del chiamato: l’art. 460 c.c., infatti, consente a quest’ultimo di porre in essere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea, nonché di esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, anche in assenza di possesso materiale; è inoltre prevista la possibilità, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, di procedere alla vendita dei beni non conservabili o la cui conservazione comporti spese eccessive[2].

È altrettanto noto, però, che la disciplina in esame muti significativamente a seconda che il chiamato sia o meno nel possesso dei beni.

Qualora quest’ultimo non ne abbia la disponibilità materiale, trovano applicazione gli artt. 480 e 487 c.c., che consentono di accettare l’eredità con beneficio d’inventario entro il termine decennale previsto per l’accettazione pura e semplice. In tale ipotesi l’inventario dovrà essere completato entro tre mesi dalla dichiarazione, salvo proroga; in difetto il chiamato sarà considerato erede puro e semplice. Se invece l’inventario precede la dichiarazione, quest’ultima dovrà intervenire entro quaranta giorni dal suo completamento, pena la perdita del diritto di accettare.

Diversamente, per il chiamato già nel possesso materiale dei beni, l’art. 485 c.c. prevede un regime più rigoroso: in questo caso l’inventario deve essere redatto entro tre mesi dall’apertura della successione o dal momento in cui il chiamato ha conoscenza della devoluzione ereditaria; un eventuale ritardo può essere sanato soltanto mediante proroga giudiziale, di regola non superiore a tre mesi. Decorso inutilmente anche tale ulteriore termine, l’acquisto dell’eredità si verificherà automaticamente a titolo puro e semplice. Qualora, invece, l’inventario sia tempestivamente completato, il chiamato dispone di ulteriori quaranta giorni per dichiarare l’accettazione beneficiata o la rinuncia; l’inerzia comporta comunque l’acquisto dell’eredità in forma pura e semplice[3].

Si deve osservare che, con riferimento all’ambito applicativo dell’art. 485 c.c., dottrina e giurisprudenza interpretano in senso estensivo la nozione di “chiamato nel possesso dei beni”: è infatti sufficiente una relazione materiale che consenta un potere di fatto sui cespiti, anche se parziale, indiretto o mediato tramite terzi. La disciplina, inoltre, trova applicazione anche quando la situazione possessoria sia condivisa con altri coeredi sull’intero compendio indiviso, poiché ciascuno è considerato possessore per gli altri; è pertanto sufficiente il possesso di un solo bene dell’asse per far operare la norma, benché parte della giurisprudenza richieda che il bene abbia una consistenza economica apprezzabile[4].

Ciò nondimeno, come ribadito anche dalla sentenza in commento, l’applicazione dell’art. 485 c.c. presuppone pur sempre la consapevolezza del chiamato circa l’origine ereditaria dei beni, poiché soltanto la conoscenza della provenienza successoria giustifica l’operatività della disciplina e delle sue conseguenze. Sul punto, inoltre, il dato normativo è chiaro: il termine per la redazione dell’inventario decorre dall’apertura della successione o, in alternativa, dal momento in cui il chiamato ha conoscenza della devoluzione ereditaria; una volta accertato il rapporto materiale, spetterà poi al chiamato dimostrare l’esistenza di un impedimento oggettivo all’esercizio del possesso se intende sottrarsi agli effetti dell’acquisto automatico dell’eredità.

In definitiva è possibile affermare che il possesso costituisce un presupposto necessario ma non sufficiente ai fini dell’acquisto legale ex art. 485 c.c., il quale si è detto richiedere anche la consapevolezza dell’origine ereditaria dei beni devoluti[5], con la conseguenza che le valutazioni del giudice che si trovi a riscontrare gli estremi della fattispecie in esame rimarranno vincolate all’ulteriore principio secondo cui il possesso materiale richiede anche la capacità naturale di agire, ossia la capacità di intendere e di volere[6].

Un secondo nucleo tematico affrontato dalla sentenza in commento attiene ai diritti di uso e di abitazione che l’art. 540, comma 2, c.c. attribuisce al coniuge superstite[7], con particolare attenzione al presupposto oggettivo necessario per il loro sorgere.

In linea generale, l’attribuzione al coniuge del diritto di abitazione sulla casa destinata a residenza familiare e del diritto d’uso sui mobili che la corredano è prevista dal legislatore per tutelare non soltanto l’interesse economico del coniuge a disporre di un alloggio, ma anche un interesse di natura morale, legato alla continuità dei rapporti affettivi e delle consuetudini familiari, nonché al mantenimento del tenore di vita e delle relazioni sociali goduti durante il matrimonio[8].

La natura giuridica di tali attribuzioni è stata a lungo oggetto di discussione: risulta oggi preferibile la tesi che le qualifica come legati ex lege, immediatamente suscettibili di acquisto da parte del coniuge superstite al momento dell’apertura della successione, secondo la disciplina propria dei legati di specie[9].

Per previsione di legge, i diritti in questione gravano anzitutto sulla quota disponibile e, qualora questa sia insufficiente, per la parte residua sulla quota di riserva del coniuge; se ancora necessario, da ultimo essi gravano sulla quota riservata ai figli.

La disposizione di cui all’art. 540, comma 2, c.c., a ben vedere, comporta un vero e proprio incremento quantitativo della quota attribuita al coniuge, poiché il valore capitale dei diritti di abitazione e di uso si somma alla quota di riserva che gli spetta in proprietà. Ne deriva che, come primo passaggio, occorre determinare la disponibile sul patrimonio relitto secondo l’art. 556 c.c., per poi individuare la quota di riserva. Una volta calcolata la quota di riserva del coniuge nella successione necessaria, ad essa vanno aggiunti i diritti di abitazione e uso concretamente spettanti, il cui valore grava inizialmente sulla disponibile; se poi quest’ultima non basta, i diritti incidono sulla quota di riserva del coniuge, che risulta così ridotta in proporzione allo squilibrio; se nemmeno tale quota è sufficiente, l’onere si trasferisce sulla riserva dei figli o degli altri legittimari[10].

Quanto al contento dei diritti in oggetto, la dottrina si mostra divisa. Una parte minoritaria li qualifica come diritti reali atipici, non integralmente riconducibili alla disciplina degli artt. 1021 e 1022 c.c.; al contrario, una parte autorevole della dottrina sostiene che i diritti di uso e abitazione previsti dall’art. 540 c.c. debbano essere integralmente disciplinati dagli artt. 1021 e 1022 c.c., con particolare riferimento alla determinazione della misura dei bisogni, da commisurare alle esigenze del coniuge superstite e della famiglia[11].

Secondo l’orientamento oggi prevalente[12], la finalità dei diritti di abitazione e uso sulla casa familiare non è innanzitutto economica (non mira cioè a garantire al coniuge un alloggio), ma consiste nel tutelare la continuità dei legami affettivi e delle consuetudini con l’abitazione familiare; da ciò discenderebbe la non applicabilità dell’art. 1022 c.c., che limita il diritto di abitazione alla misura dei bisogni dell’abitatore. In questa prospettiva, si ritiene irrilevante che il coniuge superstite disponga già di un’altra abitazione, mentre non è ammissibile la sostituzione della casa familiare con un diverso immobile per soddisfare bisogni sopravvenuti dopo l’apertura della successione[13].

Per il riconoscimento dei diritti di abitazione e uso, in ogni caso, occorrono due requisiti fondamentali: uno soggettivo e uno oggettivo.
Sotto il profilo soggettivo, al momento dell’apertura della successione, deve sussistere un valido rapporto matrimoniale; i medesimi diritti spettano però anche al coniuge separato senza addebito, ai sensi dell’art. 548 c.c.
Sotto il profilo oggettivo, il diritto sorge solo se la casa familiare appartiene al defunto o è in comunione tra i coniugi, e deve essere effettivamente adibita a residenza familiare. Con riguardo a quest’ultimo aspetto, autorevole dottrina e consolidata giurisprudenza sostengono, che affinché si possa parlare di “residenza familiare” è necessario che, al momento dell’apertura della successione, il coniuge risieda effettivamente nella casa destinata a tale uso, individuata sulla base di una convivenza duratura e prevalente: tale ricostruzione, infatti,  risponde alla ratio della norma, orientata a riconoscere al coniuge un diritto che ha funzione principalmente affettiva e morale, piuttosto che economica[14].

Si è invece discusso se i diritti anzidetti possano sorgere nel caso in cui l’immobile sia in comunione con terzi. Secondo una parte della dottrina[15], la presenza di terzi non escluderebbe il diritto, che quindi sorgerebbe proporzionalmente alla quota del defunto, così da evitare elusioni o compressioni ingiustificate da parte di altri coeredi o acquirenti. In questa ottica, allora, il termine “comune” comprenderebbe sia la comunione tra i coniugi sia la comproprietà tra il defunto e terzi, con il diritto di abitazione limitato alla quota del de cuius. Altro orientamento[16] ritiene che, quando la casa familiare sia in comproprietà con terzi, il diritto di abitazione non possa concretamente realizzarsi: al coniuge superstite, in tal caso, spetterebbe soltanto un equivalente monetario proporzionato alla quota del defunto, da corrispondersi qualora l’immobile non possa essere materialmente diviso, sia interamente assegnato ad altri coeredi o venga alienato. L’orientamento maggioritario[17] propende, invece, per escludere in tali ipotesi la configurabilità del diritto di abitazione e di uso, poiché verrebbe meno il presupposto necessario a realizzare l’intento del legislatore di garantire al coniuge superstite il pieno godimento dei beni interessati; a sostegno di questa ricostruzione si richiama, inoltre, il dato testuale della norma, che richiede espressamente che l’immobile sia di proprietà esclusiva del defunto oppure in comunione tra i coniugi.

Sul punto, la sentenza in commento ha richiamato un recente orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale “il diritto di abitazione nella casa adibita a residenza familiare, sancito dall’art. 540 c.c. in favore del coniuge sopravvissuto, sussiste qualora detto cespite sia di proprietà del de cuius ovvero in comunione tra questi e il coniuge superstite; esso, al contrario, non sorge ove il bene sia in comunione tra il coniuge deceduto e un terzo, non essendo realizzabile, in tal caso, lintento del legislatore di assicurare al coniuge sopravvissuto il godimento pieno del bene. Neppure spetta, in tale evenienza, lequivalente monetario del diritto, nei limiti della quota del defunto, poiché altrimenti si attribuirebbe un contenuto economico sostitutivo a un diritto che ha senso solo se garantisce un effettivo accrescimento qualitativo nella posizione successoria del coniuge superstite[18].

[1] Tratto da One legale.

[2] Cfr. BIANCA, Diritto civile, Le successioni, Milano, 2022.

[3] DI GIOVINE e IACCARINO, Eredità dopo lapertura della successione e prima dellaccettazione (cap. VI), in

OMNIA-Trattati giuridici, Successioni e donazioni diretto da IACCARINO, Milano, 2023.

[4] Cfr. CIAN-TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, artt. 485 e 487 c.c., Milanofiori Assago, 2016; Codice civile a cura di RESCIGNO, art. 485 e 487 c.c., Milano, 2006

[5] Cfr. Cass. civ., n. 2811/1998; Cass. civ., n. 4707/1994; Cass civ., n. 4835/1980.

[6] Cfr. Cass. civ., n. 6878/1986; Cass. civ., n. 22775/2004.

[7] Le considerazioni che seguono valgono anche per il soggetto unito civilmente ai sensi della l. 20 maggio 2016, n. 76.

[8] Cfr. CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 2023.

[9] Cfr. MENGONI, Successioni per causa di morte, Parte speciale – Successione necessaria, Milano 1999.

[10] Cfr. Cass. civ., n. 4329/2000.

[11] Cfr. BIANCA, Diritto civile, Le successioni, Milano, 2022.

[12] Cfr. MENGONI, Successioni per causa di morte, Parte speciale – Successione necessaria, Milano 1999.

[13] Cfr. GENGHINI-CARBONE, Le successioni per causa di morte, Vicenza, 2022; VISCONTI, La successione necessaria (Cap. XXIV), in OMNIA-Trattati giuridici, Successioni e donazioni diretto da IACCARINO, Milano, 2023.

[14] VISCONTI, La successione necessaria (Cap. XXIV), in OMNIA-Trattati giuridici, Successioni e donazioni diretto da IACCARINO, Milano, 2023.

[15] Cfr. CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 2023; Trattato di diritto privato diretto da Pietro Rescigno, Torino, 1982.

[16] Cfr. Cass. civ., n. 8171/1977.

[17] Cfr. AZZARITI, Le successioni e le donazioni, Padova, 1982.

[18] Cfr. Cass. civ., n. 29196/2021.

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Comunione e divisione ereditaria