È nullo il contratto stipulato dall’amministratore di una società eccedendo dai poteri di rappresentanza fissati dall’atto costitutivo e dallo statuto?
di Virginie Lopes, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, sez. III, Ordinanza, 3 Marzo 2025, n. 5647.
Parole chiave: Società – Società per azioni – Contratto – Appalto – Appaltatore – Committente – Atti di straordinaria amministrazione – Amministratori della società – Consiglio di amministrazione – Organi sociali – Nullità – Esclusione
Massima: “Il contratto stipulato dall’amministratore di una società eccedendo dai poteri di rappresentanza fissati dall’atto costitutivo e dallo statuto non è affetto da nullità, poiché l’art. 2384, comma 2, c.c., nel testo ratione temporis applicabile, prevede solo l’inopponibilità delle limitazioni di tali poteri ai terzi, salvo che questi abbiano agito intenzionalmente a danno della società, così escludendo implicitamente che la violazione della disposizione possa essere invocata dal terzo contraente. (Nella specie, la S.C. ha confermato l’impugnata sentenza, secondo cui la stipula di un contratto di appalto da parte dell’amministratore della società committente, per un importo eccedente quello massimo stabilito in una delibera del consiglio di amministrazione, non poteva essere fatta valere dall’appaltatore)”.
Disposizioni applicate: art. 2384, comma 2, c.c.
Una società per azioni, all’esito di un procedimento di ATP nei confronti di una S.r.l., ha convenuto in giudizio tale S.r.l. in qualità di appaltatrice, nonché il direttore dei lavori, al fine richiedere il risarcimento dei danni subiti per effetto della non conformità dei lavori eseguiti per adibire un immobile ad ambulatorio di nefrologia ed emodialisi e dell’inadempimento degli obblighi di progettazione e direzione lavori, nonché la restituzione di quanto percepito indebitamente dai convenuti.
La S.p.A. ha sostenuto che il contratto di appalto fosse nullo, in quanto sottoscritto autonomamente dall’amministratore delegato e non congiuntamente al direttore operativo.
Il Tribunale di prime cure ha accolto parzialmente la domanda della società per azioni, condannando le convenute, in solido, al risarcimento dei danni subiti. Avverso la decisione del Tribunale di prime cure hanno proposto appello, separatamente, i convenuti.
La Corte d’Appello, riunite le impugnazioni, ha accolto integralmente il gravame proposto dal direttore dei lavori, rigettando integralmente la domanda risarcitoria proposta in primo grado dalla S.p.A. nei suoi confronti, mentre ha accolto soltanto parzialmente il gravame proposto dalla S.r.l., riducendo alla metà la somma liquidata a titolo di risarcimento dei danni in favore della S.p.A. e ponendola a carico della sola S.r.l..
Avverso tale decisione, la S.r.l. ha pertanto proposto ricorso in cassazione, al quale ha resistito il direttore dei lavori con controricorso, mentre la S.p.A. non ha svolto difese.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando pertanto la sentenza della Corte territoriale.
Per giungere ad una tale decisione, la Corte di Cassazione ha fatto suo il ragionamento della Corte d’Appello che ha considerato che la S.r.l. non poteva far valere la carenza di poteri dell’amministratore della S.p.A. nella stipula del contratto di appalto, per eccedenza dell’importo massimo del valore del contratto, fissato nella delibera del consiglio di amministrazione di tale società, in quanto con il pagamento del valore del contratto l’operato dell’amministratore unico della S.p.A. era stato ratificato.
Infatti, gli ermellini hanno condiviso il principio secondo cui il contratto stipulato dall’amministratore di una società, che ha oltrepassato i poteri di rappresentanza fissati dall’atto costitutivo e dallo statuto, non è affetto da nullità, posto che la norma di cui all’art. 2384 c.c. secondo comma, nel testo applicabile alla fattispecie “ratione temporis”, prevede soltanto l’inopponibilità ai terzi delle limitazioni suddette, tranne nell’ipotesi in cui abbiano agito intenzionalmente a danno della società, così escludendo implicitamente che la violazione della disposizione possa essere invocata dal terzo contraente (Cass. n. 22669 del 02/12/2004 Rv. 578317-01; v. anche Cass. n. 24547 dell’1/12/2016 Rv. 642662-02).
La Corte ha inoltre ricordato come, con riferimento alla distinzione tra atti di ordinaria e atti di straordinaria amministrazione, le limitazioni dei poteri di rappresentanza degli amministratori di società di capitali, risultanti dall’atto costitutivo o dallo statuto, ai sensi dell’art. 2384, comma 2, c.c., non sono opponibili ai terzi di buona fede, non solo con riguardo alle limitazioni alla rappresentanza processuale, ma anche con riguardo a quelle alla rappresentanza sostanziale. Quanto precede perché la norma in esame si addice più appropriatamente all’ambito della rappresentanza negoziale.
Infine, la Corte di Cassazione ha sottolineato come la giurisprudenza di legittimità resa a seguito della modifica dell’art. 2384 c.c. operata dall’art. 5 del D.P.R. n. 1127 del 29/12/1969, ha rilevato come l’art. 2384, comma 2, c.c. novellato richiede, ai fini dell’opponibilità al terzo contraente delle limitazioni dei poteri di rappresentanza degli organi di società di capitali, la sussistenza di un accordo fraudolento o, quanto meno, la consapevolezza di una stipulazione potenzialmente generatrice di danno per la società, non essendo sufficiente a tal fine la mera conoscenza della esistenza di tali limitazioni da parte del terzo (Cass. n. 14509 dell’8/11/2000 Rv. 541480-01).
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