L’assegno bancario legittima il possessore ad agire esecutivamente nei confronti del sottoscrittore quale soggetto cartolarmente obbligato
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 31 marzo 2025, n. 8426 – Pres. De Stefano – Rel. Gianniti
Parole chiave: Assegno bancario – Rapporto bancario intestato a soggetto diverso dal sottoscrittore del titolo – Azione cartolare promossa dal possessore del titolo – Individuazione del soggetto passivo – Opposizione all’esecuzione – Deducibilità di fatti e circostanze afferenti ai rapporti causali sottostanti – Inammissibilità
[1] Massima: “In tema di precetto intimato sulla base di assegni bancari tratti da conto corrente intestato a società e risultato sprovvisto di fondi, il prenditore degli assegni bancari ha facoltà di agire esecutivamente in danno del traente, che abbia apposto in calce agli assegni la sua personale sottoscrizione, salvo che dal titolo risulti che egli abbia espressamente e univocamente dichiarato di agire in nome e per conto della società correntista. Il giudice investito dell’opposizione a precetto non è tenuto a valutare se il debito è effettivamente riferibile al sottoscrittore o alla società titolare del conto corrente alla stregua del rapporto causale sottostante, in quanto l’individuazione dell’obbligato cartolare deve essere compiuta esclusivamente alla stregua delle risultanze letterali degli assegni bancari, sicché il sottoscrittore dell’assegno che non abbia agito in nome e per conto del correntista spendendo espressamente il nome di quest’ultimo, è cartolarmente obbligato e non può liberarsi né allegando i rapporti causali sottostanti, né prospettando di avere agito in forza di una delega che gli aveva conferito il potere di emettere il titolo nell’interesse del terzo.”
Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1992, 1993, 1994, 2011; r.d. 1736/1933, art. 55
CASO
Al soggetto che aveva emesso numerosi assegni bancari non pagati e protestati veniva notificato dal possessore dei titoli atto di precetto, avverso il quale era proposta opposizione.
A fondamento della stessa, veniva dedotto che gli assegni erano stati tratti a valere su conto corrente intestato a una società dalla quale il sottoscrittore era stato semplicemente delegato alla firma degli assegni, non essendone il legale rappresentante.
Il Tribunale di Patti accoglieva l’opposizione, con sentenza che veniva riformata all’esito del giudizio di appello, in quanto, essendo stata esercitata l’azione cartolare, l’intimazione era stata correttamente rivolta a colui che aveva sottoscritto gli assegni, non riportando gli stessi alcun timbro della società o diciture che potessero ricondurli a essa.
Gli eredi dell’opponente, nel frattempo deceduto, proponevano ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione ha respinto il ricorso, affermando che il possessore di un assegno bancario è legittimato ad agire esecutivamente nei confronti del sottoscrittore, il quale, per resistere all’azione esecutiva, non può addurre di non essere titolare del rapporto bancario a valere sul quale sono stati tratti gli assegni (salvo che dal titolo non risulti espressamente che egli abbia agito in nome e per conto del correntista), ovvero fatti e circostanze inerenti ai rapporti negoziali in relazione ai quali sono stati emessi gli assegni, che attengono all’eventuale azione causale, ma non rilevano nell’ambito di quella cartolare.
QUESTIONI
[1] Con la sentenza che si annota, la Corte di cassazione ha fornito importanti precisazioni in merito all’azione esecutiva promossa in forza di assegni bancari non pagati e protestati, in una fattispecie in cui chi li aveva emessi, vistosi notificare precetto di pagamento, si era opposto deducendo, da un lato, di non essere il titolare del conto corrente a valere sul quale erano stati tratti gli assegni e, dall’altro lato, di averli emessi in un contesto di pesanti intimidazioni e minacce ai suoi danni, sicché la sua volontà doveva considerarsi viziata.
I giudici di legittimità hanno, innanzitutto, sottolineato la differenza tra azione cartolare e azione causale: con la prima (così definita perché si basa esclusivamente sul documento cartaceo – che si tratti di cambiale o di assegno – incorporante il diritto di credito) si aziona l’obbligazione di pagamento risultante dalle annotazioni contenute nel titolo, senza alcun riferimento al rapporto sottostante alla sua emissione; con la seconda, invece, che rappresenta un’azione ordinaria da fare valere attraverso un ordinario giudizio di cognizione, si fa valere l’obbligazione nascente dal rapporto che ha dato causa all’emissione dell’assegno bancario.
Caratteristica tipica di quest’ultimo (come di ogni altro titolo di credito astratto) è l’assenza in esso di alcuna menzione della causa che ha dato luogo all’emissione.
Ne consegue il principio di letteralità del titolo, che legittima il possessore a farlo valere (soltanto) secondo il suo tenore letterale, senza potere fare riferimento a elementi o circostanze che non risultano dal titolo medesimo; tant’è che l’art. 1993 c.c. consente al debitore di opporre al possessore soltanto le eccezioni fondate sul suo contesto letterale.
Ciò comporta anche che legittimato passivo rispetto all’azione esecutiva promossa in forza del titolo è colui che, in base allo stesso, risulta averlo emesso, ovvero sottoscritto, indipendentemente da chi sia il titolare del rapporto sottostante che ha dato origine e causa all’emissione dell’assegno.
D’altra parte, secondo quanto previsto dall’art. 11 r.d. 1669/1933, la valida assunzione di un’obbligazione cambiaria in nome altrui è subordinata, da un lato, all’esistenza di una procura o di un potere ex lege e, dall’altro lato, all’apposizione della sottoscrizione con l’indicazione della qualità spesa ai fini di detta apposizione, ancorché non occorrano formule sacramentali (essendo idonee e sufficienti quelle modalità che consentono di rendere evidente ai terzi l’avvenuta assunzione dell’obbligazione per conto di altri, come la collocazione della firma sotto il timbro di una società, per attestare la volontà del sottoscrittore di impegnarsi non in proprio, bensì in rappresentanza dell’ente, cui dovrà rivolgersi il beneficiario del titolo, fatta salva l’eccezione – proponibile soltanto dal rappresentato – del difetto o dell’eccesso di rappresentanza del sottoscrittore).
Di conseguenza, qualora nel titolo non compaiano indicazioni che diano evidenza del fatto che il sottoscrittore sta agendo e si sta impegnando in nome e per conto altrui, l’azione cartolare può essere indirizzata solo ed esclusivamente nei suoi confronti; non assume rilievo, in senso contrario, la titolarità non solo del rapporto fondamentale sottostante, ma nemmeno del rapporto bancario (di conto corrente) a valere sul quale l’assegno è stato emesso, trattandosi di elementi che trascendono la letteralità del titolo e non possono, dunque, essere fondatamente opposti dal destinatario dell’azione promossa o minacciata dal creditore. La giurisprudenza, infatti, ha affermato che l’accordo tra il cliente e la banca in base al quale anche altro soggetto è autorizzato a compiere operazioni sul conto corrente, spiega unicamente l’effetto di vincolare la banca a considerare alla stessa stregua di quella del delegante la firma del delegato, mentre non comporta il conferimento a quest’ultimo del potere di agire in rappresentanza del delegante per il compimento di qualsiasi tipo di atto.
Sotto altro profilo, l’art. 1992 c.c., sancendo che il possessore del titolo di credito ha diritto alla prestazione in esso indicata a fronte della mera presentazione del titolo (purché sia legittimato nelle forme prescritte dalla legge) e che il debitore il quale, senza dolo o colpa grave, abbia adempiuto la prestazione nei confronti del possessore è liberato anche se questi non è titolare del diritto, designa le condizioni che devono ricorrere, dal lato attivo, per l’esercizio del diritto del possessore di esigere la prestazione e, dal lato passivo, per la liberazione del debitore dal debito.
Ne consegue che:
- la titolarità del diritto è attribuita dalla proprietà del titolo, che si presume in capo a chi se ne dimostri possessore, fatta salva la prova della sua mala fede (intesa quale coscienza di ledere l’altrui diritto);
- spetta al debitore l’onere della prova che il possessore non è titolare del diritto;
- il debitore deve accertare con diligenza se il possessore è in buona fede e rifiutare la prestazione risultante dal titolo se sa che non lo è, altrimenti il suo adempimento non sarà liberatorio;
- il debitore, quindi, consegue la liberazione anche se adempie nei confronti del possessore che non sia titolare del diritto, nel caso in cui non sappia e non possa sapere (usando l’ordinaria diligenza) che è in mala fede.
Dal complesso della normativa in materia di titoli di credito si evince che la ratio a essa sottesa è quella di favorire la circolazione della ricchezza mobiliare attraverso l’incorporazione nel documento del diritto, che, in questo modo, non circola secondo le regole proprie della cessione dei crediti, ma sulla base di quelle relative alla circolazione dei beni mobili.
Da tanto discende ulteriormente che:
- il conseguimento del possesso del titolo ne produce l’acquisto della proprietà a titolo originario, indipendentemente dal fatto che ne fosse proprietario il precedente possessore;
- l’acquisto della proprietà del titolo comporta l’acquisto della titolarità del diritto in esso menzionato a titolo originario;
- per effetto dell’autonomia che caratterizza la posizione di ogni successivo possessore del titolo, il diritto in esso menzionato sorge, in capo a ciascuno di loro, come diritto autonomo rispetto a quello dei precedenti possessori e le eccezioni opponibili da parte del debitore sono soltanto quelle previste dall’art. 1993 c.c.
Alla luce di questi principi, l’opposizione proposta dal sottoscrittore degli assegni che si era visto intimato precetto di pagamento non poteva essere accolta: non rilevava, infatti, che egli non fosse titolare del conto corrente a valere sul quale erano stati tratti (trattandosi di circostanza non pertinente rispetto all’azione cartolare esercitata dal creditore), né potevano essere opposte eccezioni attinenti a elementi non risultanti dal documento che incorporava l’obbligazione di pagamento (ossia dal titolo di credito), sicché non assumevano alcuna rilevanza le circostanze che avevano condotto all’emissione degli assegni o, comunque, inerenti al rapporto fondamentale che ne avevano giustificato il rilascio, visto che il possesso materiale del documento comporta ex se la titolarità del diritto di credito e, quindi, il diritto del possessore – quale creditore della somma di denaro indicata nel titolo – di ottenere il pagamento da colui che figura debitore in base alle annotazioni contenute nell’assegno.
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