24 Giugno 2025

Contratto di agenzia, recesso dell’agente e illegittimo addebito di penale a carico dell’agente

di Valerio Sangiovanni, Avvocato Scarica in PDF

Corte di cassazione, Sezione Lavoro, n. 14048 del 26 maggio 2025, Pres. Manna, Rel. Riverso

Parole chiave

Agenzia – Recesso – Termini per il recesso – Parità di durata – Clausola penale unilaterale – Frode alla legge

Massima: “In tema di contratto di agenzia, l’art. 1750 comma 4 c.c., nel porre la regola inderogabile secondo cui i termini di preavviso devono essere gli stessi per le due parti del rapporto, esprime un precetto materiale che vieta pattuizioni che alterino la parità delle parti in materia di recesso, con la conseguenza che è nullo per frode a detto precetto (art. 1344 c.c.) il patto che contempli una clausola penale a carico del solo agente che si renda inadempiente all’obbligo di dare preavviso”.

Disposizioni applicate

Art. 1750 c.c. (durata del contratto o recesso), art. 1344 c.c. (contratto in frode alla legge)

CASO

Una società a responsabilità limitata conclude un contratto con una persona fisica. Il contratto è denominato di “collaborazione lavorativa a tempo indeterminato”, ma il giudice lo qualifica come contratto di agenzia. Il testo del contratto prevede una penale di 3.000  euro per il caso di inadempimento da parte dell’agente; non ci sono invece penali a carico del preponente. L’agente recede due giorni dopo la stipula del contratto senza prestare alcuna attività lavorativa e senza rispettare il termine di preavviso. Per questa ragione la preponente cita in giudizio l’agente per vederlo condannato a corrispondere la penale. Il Tribunale di Firenze e la Corte di appello di Firenze rigettano la domanda, cosicché la lite giunge davanti alla Corte di cassazione.

SOLUZIONE

La Corte di cassazione conferma il rigetto della domanda, in quanto la penale era prevista a carico del solo agente (e non anche della preponente), rendendo così più gravoso il diritto di recesso dell’agente e violando la regola della parità delle parti in materia di recesso. La clausola penale viene reputata nulla per frode alla legge, ai sensi dell’art. 1344 c.c., posto che comporta l’elusione della regola di parità insita nell’art. 1750 c.c.

QUESTIONI

Nel rapporto di agenzia, preponente e agente non sono sullo stesso piano. L’agente di solito trae dall’attività il suo sostentamento. Ciò vale in particolare se l’agente è una persona fisica, e vale ancor di più se l’agente opera in regime di monomandato. La differenza di forza economica e contrattuale tra le parti è ben conosciuta dal legislatore, il quale cerca di porvi rimedio statuendo l’inderogabilità di diverse disposizioni di legge a svantaggio dell’agente.

Con riferimento alla sua durata, il contratto di agenzia può essere a tempo determinato oppure indeterminato. La legge prevede che “se il contratto di agenzia è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto stesso, dandone preavviso all’altra entro un termine stabilito” (art. 1750 comma 2 c.c.). La disposizione è ben comprensibile, in quanto – in difetto del diritto di recesso – le parti sarebbero vincolate al rapporto contrattuale senza limiti di tempo. Ma il legislatore non vede di buon occhio rapporti troppo lunghi nel tempo. La regola del diritto civile è che i rapporti a tempo indeterminato possono sempre essere interrotti da ambedue le parti con un congruo preavviso.

Nell’ambito della disciplina del rapporto di agenzia, la legge stabilisce poi la durata minima del termine di preavviso, secondo un meccanismo a crescere. Più precisamente si prevede che “il termine di preavviso non può comunque essere inferiore a un mese per il primo anno di durata del contratto, a due mesi per il secondo anno iniziato, a tre mesi per il terzo anno iniziato, a quattro mesi per il quarto anno, a cinque mesi per il quinto anno e a sei mesi per il sesto anno e per tutti gli anni successivi” (art. 1750 comma 3 c.c.). Il senso della disposizione è quello di legare la durata del termine di preavviso alla durata del rapporto, affinché – in caso di cessazione di una relazione di lunga durata – l’agente abbia più tempo per ricollocarsi sul mercato.

L’assetto normativo termina con la previsione che “le parti possono concordare termini di preavviso di maggiore durata, ma il preponente non può osservare un termine inferiore a quello posto a carico dell’agente” (art. 1750 comma 4 c.c.). Non è frequente nella prassi che siano previsti termini di durata maggiore, ma essi sono astrattamente consentiti. L’unica precauzione del legislatore è quella di evitare che l’agente sia svantaggiato rispetto al preponente: non è dunque consentito prevedere un termine per l’agente più lungo di quello previsto per il preponente. La legge vuole insomma impedire che il preponente, approfittando del suo potere contrattuale ed economico, imponga condizioni troppo svantaggiose per l’agente, anche sotto il profilo della durata dei termini di preavviso.

Nel caso affrontato dall’ordinanza della Corte di cassazione in commento, il punto problematico non è la durata dei termini di preavviso, bensì il fatto che sia prevista una penale solo nel caso di recesso dell’agente. Questa situazione altera, seppure in modo indiretto, la regola della parità dei termini di preavviso. In altre parole, la previsione di una penale a carico del solo agente rende per quest’ultimo più difficile recedere dal rapporto contrattuale di quanto non lo sia per il preponente.

La Corte di cassazione ritiene che la clausola penale sia in frode alla legge, ossia sia un mezzo contrattuale mediante il quale le parti tentano di derogare al principio della parità dei termini. Seppure formalmente i termini sono uguali, il recesso è più difficile – nel senso di oneroso – per l’agente. Viene dunque data applicazione all’art. 1344 c.c., che statuisce la nullità dei contratti (e delle clausole) in frode alla legge.

La circostanza che la clausola penale sia nulla non impedisce di per sé alla società preponente di chiedere il risarcimento dei danni all’agente. Tuttavia, l’onere della prova è in capo alla casa mandante. Nel caso di specie non si considera raggiunta la prova dei danni, cosicché la domanda viene rigettata.

Il caso trattato dalla recente ordinanza della Corte di cassazione in commento ha un precedente specifico. Cass. 10 settembre 2021, n. 24478, aveva trattato una vicenda di recesso da parte di un agente che lavorava per una banca. Il contratto prevedeva una penale ingente (ben 100.000 euro), per il caso di recesso, a carico del solo agente. La Suprema Corte argomenta in modo analogo al caso più recente: i termini di recesso devono essere uguali per agente e preponente (o comunque non possono essere più brevi per il preponente) e la previsione di una penale altera la parità di trattamento tra i due contraenti. Anche questo contenzioso si conclude con la declaratoria di nullità della clausola che prevede la penale per frode alla legge.

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