Consulenza tecnica e discrezionalità del giudice d’appello: escluso l’obbligo di rinnovazione anche in presenza di critiche tecniche
di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, Ord., 29 maggio 2025, N. 14286
Processo civile – Consulenza tecnica d’ufficio – CTU – Valutazione del giudice – Motivazione apparente – Motivazione implicita – Rinnovazione della CTU – Appello – Potere discrezionale del giudice – Nullità della sentenza
(artt. 112; 132, comma 2, n. 4; 345; 360 n. 5, c.p.c.)
Massima: “Nel giudizio di appello, il rigetto – anche implicito – dell’istanza di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio non determina vizio di omessa pronuncia né nullità della sentenza per difetto di motivazione, qualora il provvedimento impugnato rechi una motivazione complessivamente idonea a rendere intellegibile il percorso logico-giuridico seguito dal giudice e dia comunque conto, anche indirettamente, delle censure tecniche svolte dall’appellante; il relativo diniego rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione risulti meramente apparente o manifestamente illogica”
CASO
Con l’ordinanza n. 14286 del 29 maggio 2025, la Terza Sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata su un ricorso proposto in materia di responsabilità sanitaria, avente ad oggetto i limiti del sindacato di legittimità sulla valutazione della consulenza tecnica d’ufficio (CTU) e la possibilità di configurare un vizio di motivazione in caso di mancata rinnovazione della stessa in grado d’appello.
La vicenda trae origine dalla condanna, in primo e secondo grado, di un medico chirurgo e dell’Azienda Sanitaria Locale di Salerno, ritenuti responsabili in solido della morte di un paziente ultraottantenne, deceduto a seguito di complicanze insorte dopo una colecistectomia laparoscopica. In primo grado, la decisione si fondava sull’esito di una CTU medico-legale, pur parzialmente ridimensionato in termini risarcitori per effetto di concause naturali. La Corte d’Appello, pur a fronte dell’istanza dell’appellante volta al rinnovo della consulenza, confermava la responsabilità del chirurgo, escludendo però il risarcimento in favore dei fratelli della vittima e rideterminando il quantum in favore della moglie e dei figli.
Il ricorso per cassazione del medico si articolava su due profili: (i) l’asserita contraddittorietà della motivazione della sentenza d’appello in ordine alla valutazione della CTU, letta – secondo il ricorrente – in maniera non aderente alle sue conclusioni; (ii) la nullità della sentenza per omesso esame dell’istanza di rinnovazione della consulenza tecnica. A sua volta, la ASL proponeva ricorso incidentale tardivo, denunciando anch’essa la carenza motivazionale della pronuncia.
SOLUZIONE
La Corte ha rigettato integralmente il ricorso principale e dichiarato inammissibile quello incidentale, affermando tre principi centrali nella logica processuale del giudizio di legittimità.
In primo luogo, ha escluso che la decisione della Corte d’Appello fosse affetta da vizio di motivazione, osservando come essa avesse proceduto a un esame approfondito della CTU disponibile e delle ulteriori risultanze cliniche, valorizzando in particolare i dati emergenti dall’esame post mortem. Il giudice di merito, pur non aderendo alle conclusioni della CTU circa l’insussistenza della colpa, aveva evidenziato – sulla base di dati oggettivi – una condotta operatoria negligente, consistita nella reiterata insistenza sull’approccio laparoscopico per oltre due ore prima di optare, tardivamente, per l’intervento a cielo aperto.
In secondo luogo, la Corte ha ribadito che il giudice d’appello non è tenuto a motivare espressamente il rigetto dell’istanza di rinnovazione della consulenza tecnica qualora la motivazione della sentenza, nella sua interezza, consenta di desumere un implicito rigetto coerente e logicamente giustificato. In assenza di omissioni istruttorie o incongruenze manifeste, il diniego, anche tacito, della rinnovazione della CTU non integra vizio processuale censurabile ex art. 112 c.p.c., né determina un difetto di motivazione ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c.
Infine, la Corte ha rilevato che la proposizione del ricorso incidentale da parte dell’Azienda Sanitaria risultava priva di interesse sopravvenuto, avendo quest’ultima provveduto spontaneamente al pagamento delle somme liquidate in appello senza alcuna riserva, condotta che vale come acquiescenza alla decisione.
QUESTIONI
Uno dei punti di maggiore rilievo nella decisione attiene alla qualificazione della consulenza tecnica d’ufficio come mezzo di valutazione e non di prova in senso proprio. Si tratta di uno strumento di supporto alla decisione, che assiste il giudice nell’apprezzamento dei fatti già acquisiti, ma non vincola il suo convincimento (Cass. sez. un. 20 dicembre 2007, n. 26664). È, quindi, legittimo che il giudice di merito aderisca alle conclusioni del consulente tecnico, se le ritiene condivisibili, ma può anche discostarsene, in tutto o in parte, purché la motivazione consenta di ricostruire il percorso logico-giuridico seguito.
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha individuato nella condotta operatoria – e in particolare nel tardivo passaggio da laparoscopia a laparotomia – profili sintomatici di colpa medica, pur in presenza di una CTU tendenzialmente favorevole al sanitario. Una simile operazione ermeneutica rientra nella piena disponibilità del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione congrua e coerente (Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 3 marzo 2022, n. 7090).
La doglianza relativa al vizio di motivazione è stata, dunque, ritenuta infondata. Secondo l’orientamento consolidato, la motivazione può dirsi “apparente” solo quando manchi del tutto o sia affetta da insanabile incoerenza logica, tale da impedire la comprensione del ragionamento decisorio. È, per contro, sufficiente che il giudice affronti le questioni giuridiche rilevanti e offra una spiegazione plausibile delle conclusioni raggiunte, anche in forma sintetica, purché comprensibile e non tautologica. La sentenza d’appello impugnata ha valorizzato gli elementi clinici postumi, riletto criticamente la CTU e articolato un dissenso motivato, adempiendo così agli obblighi di cui all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., in combinato disposto con l’art. 111, comma 6, Cost.
Quanto all’istanza di rinnovazione della CTU formulata in appello, la Corte ha ribadito che la stessa non deve essere accolta automaticamente, trattandosi di scelta rimessa alla discrezionalità valutativa del giudice, il quale può ritenere sufficiente la consulenza già espletata, salvo che emergano lacune, contraddizioni o sopravvenienze decisive (Cass., 19 maggio 1999, n. 4852). Tale potere non è soggetto a sindacato di legittimità se esercitato nel rispetto dei criteri di logicità e completezza argomentativa.
Non sussiste, inoltre, un vizio di omessa pronuncia qualora il rigetto dell’istanza non sia esplicito ma risulti chiaramente assorbito nella motivazione complessiva della sentenza. È legittimo, pertanto, il rigetto implicito, ove la decisione risponda, anche solo indirettamente, alle censure tecnico-valutative dedotte in appello (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547). In applicazione di tali principi, la Corte di merito ha valutato autonomamente le emergenze istruttorie, affrontato le critiche mosse alla perizia, e motivato la scelta di non rinnovarla con argomentazioni coerenti. Ne discende che l’omesso accoglimento dell’istanza non integra né un vizio di motivazione, né una violazione del diritto alla prova, né un’omissione di pronuncia, ma si inserisce nel solco della giurisprudenza che riconosce al giudice piena autonomia nella gestione delle istanze istruttorie, anche in grado di appello.
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