Vizi motivazionali che inficiano le sentenze di merito
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. trib., 4 giugno 2025, n. 14914, Pres. Crucitti Est. Fracanzani
[1] Impugnazioni – Ricorso per cassazione – Vizio motivazionale – Sussistenza
Massima: “Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento”
CASO
[1] L’incaricato per la riscossione notificava alla s.r.l. contribuente il fermo amministrativo a tutela di diverse cartelle di pagamento e avvisi di addebito notificati fra il 2009 e il 2014, mai onorati. Reagiva la contribuente, protestando plurime irregolarità nella notifica, che ne inficiavano l’esistenza, nonché prescrizione del credito e della pretesa impositiva.
All’esito dei gradi di merito la contribuente, sempre soccombente, proponeva ricorso per cassazione mediante il quale, per quanto di interesse ai fini del presente commento, lamentava, ai sensi dell’art. 360, n. 4), c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 del medesimo codice di rito e dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Nello specifico, si contestava la motivazione parvente della sentenza di secondo grado, che ometteva di confrontarsi con le numerose censure proposte in sede d’appello dalla parte contribuente.
SOLUZIONE
[1] La Cassazione ritiene infondato il motivo di ricorso proposto.
Secondo i giudici di legittimità, infatti, l’impugnata sentenza avrebbe ripreso la motivazione della decisione di primo grado, con apprezzamento di autonoma valutazione critica, e si sarebbe ampiamente diffusa sulle censure specifiche avanzate dalla contribuente, argomentando analiticamente sui singoli motivi.
Conseguentemente, il ricorso viene rigettato con liquidazione delle spese secondo la regola della soccombenza.
QUESTIONI
[1] La questione affrontata dalla Suprema Corte attiene alla ricorrenza, nel caso di specie, di un vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza di primo grado, denunciabile ai sensi dell’art. 360, n. 4), c.p.c.
A tal proposito, è opportuno ricordare la gamma dei possibili vizi che possono inficiare la motivazione della sentenza, e le rispettive forme di denuncia presso il giudice di legittimità.
A seguito della riforma operata dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83 sul n. 5) dell’art. 360 c.p.c., infatti, non ogni tipologia di vizio motivazionale appare oggi veicolabile tramite tale motivo di ricorso il quale, come noto, ha oggi riferimento solamente al caso dell’«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».
In base all’attuale formulazione di tal motivo, in altri termini, è possibile censurare la ricostruzione dei fatti posti a base della decisione impugnata, conseguentemente denunciando una tipologia di vizio nel ragionamento che ha condotto il giudice a una determinata ricostruzione dei fatti di causa.
Si ricorda, peraltro, come tale motivo di ricorso non possa essere proposto contro una pronuncia con la quale il giudice d’appello abbia confermato la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti, posti alla base della decisione impugnata, salvo che la stessa non sia stata pronunciata in una causa nella quale è obbligatorio l’intervento del pubblico ministero (c.d. doppia conforme).
Così definiti i confini del vizio motivazionale di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c., laddove la sentenza impugnata risulti addirittura affetta da un vizio di vera e propria carenza motivazionale, diviene però suscettibile di ricorso ex art. 360, n. 4), c.p.c., per nullità della sentenza derivante dalla mancanza di motivazione (come noto, prescritta sia dalla legge ordinaria ex art. 132, n. 5), c.p.c., sia dalla legge costituzionale ex art. 111, 6°co., Cost.). In tali ipotesi, non ci troviamo soltanto di fronte a un vizio inficiante la ricostruzione dei fatti posti a base della decisione impugnata bensì, più drasticamente, di una vera e propria carenza di motivazione, che può rilevare, ai fini del motivo di ricorso in esame, sia nell’ipotesi in cui a mancare sia la motivazione relativa al giudizio di diritto, sia nell’ipotesi in cui a mancare sia la motivazione relativa alla ricostruzione dei fatti.
Per quanto, più specificamente, riguarda i rapporti tra i motivi di cui al n. 5) e al n. 4), allorché manchi la motivazione relativa alla ricostruzione dei fatti, ben può affermarsi che nel vizio di cui al n. 4) ricadano tutte le ipotesi estranee al perimetro di applicazione di cui al n. 5). E a tal riguardo, la giurisprudenza di legittimità tende a ritenere che l’attuale formulazione dell’art. 360, n. 5), c.p.c., consenta di restringere l’ambito oggettivo del dovere costituzionale di motivare i provvedimenti giurisdizionali, individuando un c.d. minimo costituzionale la cui violazione sarebbe allora denunciabile (non ai sensi del n. 5) dell’art. 360 c.p.c., bensì) ai sensi del precedente n. 4) (sul punto, per tutti, G. Ruffini, Diritto processuale civile, II, Bologna, 2024, 435 ss.).
Il concetto di c.d. minimo costituzionale è stato definito dalla nota pronuncia di Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053, secondo la quale “la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art.12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
In altri termini, è ormai principio consolidato nella giurisprudenza della Cassazione (Cass., 7 aprile 2017, n. 9105) che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. minimo costituzionale.
In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass., 8 gennaio 2009, n. 161) nel quale la Suprema Corte ha affermato la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132, n. 4), c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi.
Per concludere, è opportuno rilevare come l’omessa o apparente motivazione non debba essere confusa con l’omissione di pronuncia, coincidente con una violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato posto dall’art. 112 c.p.c. (e, dunque, nel caso di specie invocato a sproposito dalla ricorrente).
Infatti, in presenza di omessa motivazione ci troviamo di fronte a un provvedimento che non ha mancato di pronunciarsi sulla domanda giudiziale della parte, provvedendovi però mediante il solo dispositivo, senza corredarlo di adeguata motivazione; all’opposto, in caso di violazione dell’art. 112 c.p.c., il provvedimento giudiziale ha omesso tout court di decidere su una delle più domande proposte, presentandosi così, relativamente ad essa, privo sia del dispositivo sia della motivazione.
Dunque, nel caso in cui il giudice incorra in un “mero” vizio di omessa motivazione, egli non viola il generico dovere di ius dicere di cui è istituzionalmente investito, ma viola quell’obbligo di rendere evidenza esteriore delle ragioni di fatto e di diritto della decisione assunta sancito, in sede di legislazione ordinaria, dall’art. 132, n. 4), c.p.c., e, soprattutto, tutelato dalla nostra Carta costituzionale tramite l’art. 111, che – al pari della legislazione sovranazionale, in particolare della CEDU – lo annovera tra i c.d. principi regolatori del giusto processo.
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