30 Settembre 2025

Venditore e agenzia di mediazione: responsabili solidalmente

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Sentenza del 16 aprile 2025 n. 9969, Terza Sezione Civile, Giudice Dott. G. Travaglino, Relatore I. Ambrosi.

Massima: Ai fini della responsabilità solidale di cui all’art. 2055, comma 1, c.c., norma sulla causalità materiale integrata nel senso dell’art. 41 c.p., è richiesto solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità – contrattuale ed extracontrattuale – in quanto la norma considera essenzialmente l’unicità del fatto dannoso e riferisce tale unicità unicamente al danneggiato, senza intenderla come identità delle norme giuridiche violate; la fattispecie di responsabilità implica che sia accertato il nesso di causalità tra le condotte, caso per caso, in modo da potersi escludere se a uno degli antecedenti causali possa essere riconosciuta efficienza determinante e assorbente tale da escludere il nesso tra l’evento dannoso e gli altri fatti, ridotti al semplice rango di occasioni. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva escluso una responsabilità solidale dell’agenzia immobiliare e del promittente venditore, in relazione alle domande restitutorie e risarcitorie proposte relativamente ad un contratto preliminare di vendita di immobile da costruire su un’area che, diversamente da quanto garantito, era in larga parte di proprietà di soggetti terzi).

CASO

Con atto di citazione Tizia conveniva in giudizio innanzi il Tribunale di Milano le società Alfa e Beta e Caio.

L’attrice con il proprio atto introduttivo rilevava di aver concluso in data 5 ottobre 2013 in qualità di promissaria acquirente, con la società Alfa – promittente venditrice – e con l’intermediazione di Caio (al contempo legale rappresentante della società Beta), un contratto preliminare avente ad oggetto la compravendita di un appartamento e di due box in Cernusco sul Naviglio, ancora da costruire, per un prezzo pari ad € 610.000,00 di cui la società Beta si era dichiarata esclusiva proprietaria.

Il successivo 28 ottobre 2013 le parti concludevano una scrittura provata integrativa con la quale pattuivano specifici lavori da eseguire e dal momento che l’immobile oggetto di compravendita era un immobile da costruire, Alfa consegnava all’attrice fideiussione rilasciata da Gamma a garanzia delle obbligazioni a carico della venditrice; inoltre, Tizia corrispondeva a titolo di anticipo la somma di € 293.186,00.

Orbene, Tizia a seguito di visura ipotecaria si avvedeva del fatto che l’area su cui si sarebbe dovuta realizzare l’unità immobiliare oggetto del contratto non era di proprietà della venditriceper larga parte, come invece falsamente garantito da quest’ultima sia nel preliminare, sia nella successiva scrittura privata”.

Tizia, pertanto, diffidava Alfa e la società Gamma la quale scopriva non essere intermediario abilitato al rilascio di garanzie, peraltro dichiarata già fallita dal Tribunale di Roma nel 2015.

L’attrice dichiarava pertanto di aver subito una perdita economica pari all’anticipo corrisposto in esecuzione del preliminare nonché un ulteriore danno pari ad € 100.000,00.

Chiedeva pertanto al Tribunale di Milano di accertare la responsabilità professionale del mediatore, nonché di condannarlo al risarcimento dei danni in misura non inferiore ad € 393.186,00, ovvero nella diversa misura ritenuta di giustizia per il giudicante in applicazione dell’art. 1226 c.c.; la conseguente pronuncia di invalidità del contratto preliminare e della scrittura privata “per impossibilità del relativo oggetto, nonché perché conclusi in violazione della disciplina speciale di cui all’art. 2 del D.Lgs n. 122/2005; per l’effetto disporre la restituzione di tutte le somme indebitamente riscosse da Alfa e trattenute da essa parti ad € 293.186,00, ed il risarcimento di tutti i danni cagionati nella misura di € 100.00,00 ovvero nella diversa misura ritenuta di giustizia.

Chiedeva in via subordinata l’annullamento del contratto preliminare di compravendita e della scrittura privata integrativa, per errore essenziale e per l’effetto la condanna alla restituzione di tutte le somme corrisposte da Tizia a titolo di caparra e acconti, nonché degli ulteriori danni.

Sempre in subordine chiedeva la risoluzione dei contratti in oggetto per inadempimento della società Alfa e condannarla alla restituzione del doppio di quanto corrisposto a titolo di caparra, a quanto corrisposto a titolo di acconti nonché degli ulteriori danni subiti dalla medesima.

Si costituivano in giudizio Caio e la Società Beta contestando la domanda ed eccependo la carenza di legittimazione passiva Caio in proprio e chiedendo a loro volta la chiamata in causa della compagnia assicuratrice Allianz S.p.A., la quale costituendosi chiedeva il rigetto della domanda.

Il giudizio veniva interrotto per il dichiarato fallimento della società Alfa.

Riassunto il giudizio ed espletata l’istruttoria, il Tribunale meneghino dichiarava la nullità del contratto preliminare e della scrittura privata per mancanza della fideiussione di cui al D.Lgs 122/2005, dichiarando assorbite le domande subordinate di annullamento e risoluzione ed inammissibili le domande di ripetizione e di risarcimento del danno proposte nei confronti del fallimento della Alfa in quanto “avrebbero dovuto essere proposte esclusivamente nell’ambito della procedura fallimentare, con le modalità previste dal rito speciale di accertamento del passivo, ai sensi dell’art. 52 della legge fallimentare”.

Rigettava altresì le domande avanzate personalmente all’intermediario Caio, dal momento che il medesimo non aveva agito in qualità di mediatore ma quale legale rappresentante dell’agenzia immobiliare Beta.

Il giudice di prime cure accertava la responsabilità della Beta “per aver messo in relazione le parti negoziali, raccogliendone proposta e accettazione senza adempiere i propri obblighi di corretta informazione circa la proprietà del terreno sul quale avrebbero dovuto edificarsi l’abitazione”.

Dichiarava la non debenza a carico del mediatore delle prestazioni che Tizia aveva eseguito a favore di Alfa, corrispondendo le somme a titolo di acconto e di caparra, “non trattandosi di una componente di danno risarcibile, poiché per tali prestazioni sussisteva il diritto alla ripetizione ex art. 2033 c.c.”.

Disponeva il rigetto di ogni altra pretesa risarcitoria per aver fatto affidamento sulla conclusione del contratto definitivo – per il quale ha sostenuto spese di progettazione, distribuzione degli spazi interni, trascolo e mancato recupero del credito di imposta per l’acquisto della prima casa – non essendovi prova documentale di tali danni.

Parzialmente soccombente in primo grado, Tizia interponeva appello innanzi la Corte di Appello di Milano, la quale con la propria decisione confermava la sentenza del primo grado, e condannandola al pagamento delle spese del secondo grado a favore di Caio e di Allianz.

Tizia, proponeva ricorso per Cassazione sulla base di due motivi.

Resistevano con controricorso Caio ed Allianz; il Fallimento di Alfa nonostante fosse stato intimato non svolgeva difese.

La Corte di Cassazione, considerata la natura del ricorso ha proceduto in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.

Le parti infine depositavano memorie.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione accoglieva il primo motivo di ricorso, ritenendo assorbito il secondo, cassava la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione per la decisione anche sulle spese del giudizio di legittimità.

QUESTIONI

Con il primo motivo del ricorso Tizia denuncia la “violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 1292, 1294 e 2055 cod. civ., nonché dell’art. 41 cod. pen., dal profilo che la Corte territoriale ha escluso la natura solidale dell’obbligazione restitutoria/risarcitoria a carico delle appellate”.

La ricorrente nello specifico rilevava che la corte territoriale sarebbe incorsa nell’errore di aver ritenuto non sussistente una condanna in solido dell’agenzia immobiliare e del promissario venditore, nonostante derivanti da titoli diversi, stante comunque l’unicità del fatto dannoso “di per sé sufficiente a legittimare la condanna ex art. 2055 c.c.”.

Inoltre, la ricorrente censurava il mancato accoglimento della domanda spiegata nei confronti dell’agenzia immobiliare Beta che al contrario di quanto disposto, avrebbe dovuto trovare accoglimento proprio per la natura solidale dell’obbligazione restitutoria e risarcitoria poste in capo al promittente venditore e all’agente immobiliare.

Ad avviso di Tizia sarebbe venuta meno la “valorizzazione da parte del Giudice d’appello della comunanza che intercorre tra l’obbligo della promittente veditrice (Alfa), poi fallita, alla restituzione fondato sulla natura del titolo contrattuale e l’obbligo del mediatore di natura risarcitoria fondato sulla violazione dei doveri propri della professione esercitata”.

Sul punto, infatti, la ricorrente riteneva che la Corte distrettuale non avesse applicato il principio consolidato della Corte di legittimità peraltro a Sezioni Unite in ragione del quale “sul versante dei nessi tra principio di solidarietà e responsabilità civile questa Corte, con orientamento di gran lunga prevalente, si è nel tempo determinata nel senso della configurabilità del vincolo anche tra coobbligati tenuti a diverso titolo: l’uno a titolo di responsabilità contrattuale e l’altro a titolo di responsabilità extracontrattuale[1].

Il giudice delle seconde cure non avrebbe parimenti applicato il principio in ragione del quale, nel caso di responsabilità solidale di più convenuti – anche nel caso di condotte sanzionate a titolo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale ed altre anche non qualificabili come illecite ma che obblighino in ogni caso alla restituzione – deve riconoscersi “l’unitarietà dell’evento pregiudizievole, idoneo a fondare la responsabilità solidale ex articolo 2055 c.c. di tutti i soggetti la cui condotta ha concorso, secondo il nesso di causalità materiale previsto dall’articolo 41 c.p., a produrre il medesimo “eventus damni“, tutte le volte in cui quest’ultimo, nel suo atteggiarsi fenomenico, implichi una effettiva coincidenza tra l’oggetto della restituzione ed il danno risarcibile o comunque la continenza del primo nel secondo[2].

Invero, nel caso che occupa la presente vertenza, il non aver riconosciuto da parte del giudice delle seconde cure, il profilo di unicità delle obbligazioni di restituzione e risarcimento – in capo alla venditrice ed all’agente immobiliare, “ha finito per introdurre un vantaggio, a favore di quest’ultimo il quale trae beneficio dalla mera e occasionale circostanza che il creditore disponga dell’azione restitutoria ex art. 2033 c.c., che rende recessiva la violazione del dovere professionale compiuta dallo stesso agente, ponendo in posizione preminente chi è stato partecipe del fatto illecito in spregio di colui che, invece, l’ha subito”.

Con il secondo motivo di ricorso, Tizia censurava la sentenza della Corte d’Appello per violazione e falsa applicazione ex art. 360, n. 3, c.p.c., degli artt. 2033, 1759, 1218, 1223, 1418 e 1338 c.c. e dell’art. 41 c.p., giacchè la Corte distrettuale ha ritenuto che quanto corrisposto dalla promissaria acquirente non costituisse danno risarcibile.

La Corte di legittimità ha dichiarato fondato il primo motivo di ricorso ed assorbito il secondo per le ragioni di seguito meglio esposte.

In primo luogo la Corte di Cassazione ha riassunto il percorso logico – giuridico della Corte distrettuale che in breve avrebbe: ritenuto inammissibili le domande di ripetizione e risarcimento proposte dopo la riassunzione del giudizio, sostenendo che esse dovessero essere incanalate nella procedura fallimentare; inoltre, aveva escluso la responsabilità dell’agenzia immobiliare, affermando che le somme versate non potessero costituire danno risarcibile, trattandosi di prestazioni suscettibili di ripetizione ex art. 2033 c.c..

Per la Cassazione, infatti, “in sostanza, il ragionamento è stato che le somme in questione, ben potendo ed anzi – a seguito della statuita nullità del contratto – dovendo essere recuperate dal solvens a titolo di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c. nei confronti dell’accipiens (sua controparte contrattuale), non verrebbero ad integrare un danno risarcibile da terzi”.

Il giudice delle seconde cure ha ritenuto che limitarsi a equiparare il versamento delle somme al danno subito non era sufficiente, soprattutto alla luce del fatto che il Tribunale aveva già escluso tale equivalenza, qualificando le somme versate come oggetto di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c., e non come danno risarcibile.

Invero, l’appellante avrebbe dovuto spiegare perché, pur potendo agire contro la società venditrice per la restituzione delle somme, ciò non escludesse la possibilità di ottenere le stesse somme anche dall’agenzia immobiliare Beta “ad esempio allegando che si è concretizzato un danno nella misura in cui la ripetizione è di fatto inattuabile, a prescindere dal rilievo che essa si sia stata esercitata o rinunciata” – nel caso specifico esercitata tramite insinuazione al passivo fallimentare.

Inoltre, la Corte ha rilevato che l’appellante si era limitata a indicare l’entità del credito ammesso al passivo, senza fornire alcuna prova che tale credito non potesse essere soddisfatto con l’attivo fallimentare. In alternativa, “avrebbe dovuto contrastare l’affermazione del Tribunale spiegando perché, nonostante la dichiarata nullità del contratto, in nulla avrebbe potuto interferire, già a monte, l’azione di ripetizione dell’indebito delle somme versate, trattandosi di una componente del danno che da questa prescindeva”.

Ipotesi che i giudici hanno escluso, ribadendo che il diritto alla restituzione ai sensi dell’art. 2033 c.c. (avente natura personale) nasce proprio dall’accertamento e declaratoria di nullità del contratto – nel caso di specie accertata in via definitiva – senza che possa ipotizzarsi una condanna in via solidale.

La Cassazione ha però cassato questa impostazione, ritenendo di dover conformarsi, al contrario, al consolidato principio in materia, confermato anche dalle Sezioni Unite in ragione del quale “ai fini della responsabilità solidale di cui all’art. 2055 c.c., comma 1, norma sulla causalità materiale integrata nel senso dell’art. 41 c.p., è richiesto solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorchè le condotte lesive siano fra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità – contrattuale ed extracontrattuale – in quanto la norma considera essenzialmente l’unicità del fatto dannoso, e riferisce tale unicità unicamente al danneggiato, senza intenderla come identità delle norme giuridiche violate; la fattispecie di responsabilità implica che sia accertato il nesso di causalità tra le condotte caso per caso, in modo da potersi escludere se a uno degli antecedenti causali possa essere riconosciuta efficienza determinante e assorbente tale da escludere il nesso tra l’evento dannoso e gli altri fatti, ridotti al semplice rango di occasioni[3].

Ne consegue che nel caso in cui vengano a sommarsi nella medesima fattispecie produttiva di danni patrimoniali, plurime condotte anche riferibili a soggetti diversi – alcune sanzionata con la responsabilità civile ovvero altre non qualificabili come illecite ma che obbligano comunque alle restituzioni deve applicarsi la responsabilità solidale ai sensi dell’art. 2055 c.c. di “tutti i soggetti la cui condotta ha concorso, secondo il nesso di causalità materiale previsto dall’art. 41 c.p.c., a produrre il medesimo eventus damni, tutte le volte in cui quest’ultimo, nel suo atteggiarsi fenomenico, implichi una effettiva coincidenza tra l’oggetto della restituzione ed il danno risarcibile o comunque la continenza del primo nel secondo”.[4]

Nel caso di specie in conclusione, la Corte di Cassazione ha censurato la decisione della Corte d’Appello per non essersi conformata ai principi di responsabilità solidale tra soggetti tenuti a diverso titolo. In particolare, ha ritenuto erronea l’esclusione della solidarietà tra la società venditrice fallita – responsabile contrattualmente per la restituzione delle somme versate – e l’agenzia immobiliare responsabile in via extracontrattuale per aver violato i doveri professionali informativi.

Tizia ha avanzato domande di condanna alle restituzioni ed al risarcimento nei confronti dei convenuti in giudizio e tutte le domande convergono “nella determinazione del medesimo evento dannoso consistito nel pregiudizio arrecato alla odierna ricorrente dalla società promissaria venditrice, poi fallita, per aver incassato e non restituito l’importo pari ad € 293.186,00 in base al contratto preliminare dichiarato nullo e dall’Agenzia di mediazione per non aver informato la promissaria acquirente della circostanza che il terreno su cui doveva essere edificato l’immobile non fosse per la gran parte di proprietà della costruttrice/promissaria venditrice”.

[1] Cass. Civ. SS.UU. n. 13143/22.

[2] Cass. Civ. n. 7016/20

[3] Cass. Civ. SS.UU. n. 13143/22.

[4] Cass civ. n. 7016/20

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