23 Settembre 2025

Utilizzabilità in appello di prove dichiarate inammissibili in primo grado

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. III, 24 luglio 2025, n. 21107, Pres. Rubino, Est. Valle

[1] Appello – mezzi di prova – ammissibilità.

Massima: “In sede di appello, la Corte territoriale non può basare il proprio convincimento su prove già dichiarate inutilizzabili dal giudice di primo grado, senza aprire il contraddittorio tra le parti in ordine all’utilizzabilità di tali prove”.

CASO

[1] La decisione che si commenta scaturisce da un giudizio promosso per ottenere il risarcimento del danno subito da una persona fisica a seguito di una caduta causata da un tombino scoperto. Tale procedimento, nell’ambito del quale il Comune convenuto chiamava in causa la società gestrice dell’acquedotto, si concludeva con sentenza del Tribunale di Bari di rigetto della domanda proposta.

La sentenza di secondo grado pronunciata dalla Corte d’Appello di Bari, confermativa della decisione di prime cure, veniva fatta oggetto di ricorso per cassazione mediante il quale, per quanto qui di interesse, la ricorrente denunciava, in relazione all’art. 360, nn. 3) e 4), c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 342 c.p.c., per avere la Corte d’Appello deciso l’impugnazione sulla base di prove – segnatamente le fotografie dello stato dei luoghi, ossia della strada sulla quale l’attrice era caduta -, che erano state dichiarate inutilizzabili dal giudice di primo grado e sulle quali, quindi non vi era stato alcun contraddittorio.

SOLUZIONE

[1] La Cassazione giudica fondato tale motivo di ricorso.

Secondo la Suprema Corte, la Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, avrebbe basato il proprio convincimento sulla documentazione fotografica di cui era stata chiesta l’acquisizione, ma della quale il Tribunale aveva ritenuto la inammissibilità (nel caso di specie, perché non recante data certa), come da ordinanza istruttoria riportata in atti di causa. L’utilizzazione di tale documentazione fotografica sarebbe stata attuata dalla Corte d’Appello senza in alcun modo aprire il contraddittorio tra le parti in ordine all’utilizzabilità dello stesso, pur essendo stato tale materiale escluso dalle prove utilizzabili da parte del Tribunale. All’opposto, la revoca in appello dell’ordinanza istruttoria – sempre possibile – deve essere esplicitata proprio allo scopo di provocare il contraddittorio delle parti sul materiale probatorio che prima sia stato espunto dal processo. Da ultimo, non risulta indicato, neppure nella sentenza, che ci fosse un motivo di appello sul materiale fotografico non ammesso, ciò che avrebbe potuto condurre a ritenere che la decisione della Corte territoriale fosse stata presa in accoglimento, implicito, di un’espressa domanda di una delle parti interessata all’acquisizione di detto materiale.

La decisione della Corte d’Appello risulta poi basata pressocché esclusivamente sulla detta documentazione fotografica, di cui non residuano dubbi di sorta in ordine all’effettiva ammissione e valutazione, nonostante, come già chiarito, la stessa fosse era stata esclusa dal Tribunale e sulla quale, a quanto consta, non vi era stata alcuna impugnazione in grado di consentirne l’utilizzazione, previa acquisizione al materiale istruttorio, in fase d’impugnazione.

La Corte territoriale non ha provveduto a indicare specificamente altre fonti di prova sulle quali ha fondato il proprio convincimento in ordine alla ricostruzione dei fatti al fine di pervenire al rigetto dell’appello.

La sentenza impugnata è stata conseguentemente cassata con rinvio della causa, per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, alla quale viene altresì domandato di provvedere alla regolazione delle spese.

QUESTIONI

[1] La questione affrontata dalla Suprema Corte attiene all’utilizzabilità, nel giudizio d’appello, dei mezzi di prova giudicati inammissibili nel corso del procedimento di primo grado, e della conseguente necessità di garantire il regolare svolgimento del contraddittorio tra le parti.

Tale tema esula, ovviamente, da quello riguardante l’ammissibilità, in appello, di prove nuove, secondo la disciplina dettata dall’art. 345 c.p.c. (il quale, come modificato dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, prevede, al suo 3°co., che «non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio»).

La prova dichiarata inammissibile nel giudizio di primo grado, infatti, per definizione non è una prova nuova, sicché la sua utilizzabilità in appello prescinde dalle regole dettate dalla norma appena richiamata. La stessa, piuttosto, è subordinata, in primis, all’iniziativa della parte soccombente e appellante che, a corredo del motivo di appello in cui lamenti la mancata ammissione di un mezzo di prova ritualmente e tempestivamente proposto (a sostegno della domanda già proposta e decisa in primo grado), proceda all’indicazione specifica del mezzo di prova, allo scopo di ottenere in secondo grado una riapertura della fase istruttoria, caratterizzata dalla rituale instaurazione del contraddittorio tra le parti.

Esula altresì da tale regime la diversa fattispecie in cui la parte cerchi di introdurre nel procedimento d’appello la prova dichiarata inammissibile in primo grado spacciandola per “indispensabile” ai sensi dell’art. 345, 3°co., c.p.c., nella versione antecedente alla richiamata riforma del 2012. Sul punto, infatti, la giurisprudenza è pacifica nell’affermare che “l’eventuale valutazione di indispensabilità della prova [ai fini di cui all’art. 345, 3°co., c.p.c.] non potrà servire a superare la preclusione nella quale sia incorsa la parte in primo grado in quanto il potere del collegio di ammettere nuove prove in appello non può essere esercitato per sanare preclusioni e decadenze già verificatesi nel giudizio di primo grado” (così, Cass. civ., 1° giugno 2004, n. 10487; il principio è stato più recentemente ribadito da Cass. civ., sez. un., 4 maggio 2017, n. 10790, in Corr. giur., 2017, 1396 ss., con nota di C. Consolo e F. Godio, Un ambo delle Sezioni Unite sull’art. 345 (commi 2 e 3). Le prove nuove ammissibili perché indispensabili (per la doverosa ricerca della verità materiale) e le eccezioni (già svolte) rilevabili d’ufficio; e Cass. civ., 5 maggio 2021, n. 11804, secondo le quali “Nel giudizio di appello, il potere del giudice di ammettere una prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345, 3°co., c.p.c., […], non può essere esercitato rispetto a prove già in prime cure dichiarate inammissibili, perché dedotte in modo difforme dalla legge, o a prove dalla cui assunzione il richiedente sia decaduto o per la cui deduzione siano maturate preclusioni, le quali non possono essere qualificate prove “nuove”).

Non appare condivisibile, all’opposto, quella decisione (Cass. civ., 26 gennaio 2016, n. 1369) secondo cui “l’inammissibilità di una prova in appello, per difetto di novità, ex art. 345, c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 46, comma 18, della l. n. 69 del 2009), ricorre ove il mezzo istruttorio si identifichi con quello già espletato in prime cure ovvero sia diretto a contrastarne i risultati, e non anche in caso di prova richiesta al primo giudice ma da lui non presa in considerazione, la cui ammissione resta subordinata, giusta il 3°co. della norma, ad una valutazione di indispensabilità del mezzo istruttorio quale impossibilità di acquisire con altri mezzi, che la parte avrebbe avuto l’onere di fornire nelle forme e nei tempi stabiliti dalla legge processuale, la conoscenza dei fatti dedotti, ferma restando in ogni caso la valutazione del giudice sulla decisività o meno, ai fini della risoluzione della controversia, delle nuove costituende prove”: anche in tal caso, infatti, siamo piuttosto al cospetto di una prova non nuova e, in quanto tale, svincolata dal regime applicativo di cui all’art. 345, 3°co., c.p.c.

Ciò chiarito, si ricorda che la richiesta di ammissione di mezzi di prova tempestivamente e ritualmente formulata nel corso del giudizio di primo grado, se esaminata e rigettata dal giudice (istruttore) di prime cure, deve essere riproposta al momento di precisazione delle conclusioni (sul punto, l’arresto di Cass. civ., 5 febbraio 2019, n. 3229, ha precisato che “l’interpretazione degli artt. 189, 345 e 346 c.p.c., secondo cui l’istanza istruttoria non accolta nel corso del giudizio, che non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, deve reputarsi tacitamente rinunciata, non contrasta con gli artt. 47 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, né con gli artt. 2 e 6 del Trattato di Lisbona del 13/12/2007 (ratificato con L. 2 agosto 2008, n. 130), né con gli artt. 24 e 111 Costituzione, non determinando alcuna compromissione dei diritti fondamentali di difesa e del diritto ad un giusto processo, poiché dette norme processuali, per come interpretate, senza escludere né rendere disagevole il diritto di difendersi provando, subordinano, piuttosto, lo stesso ad una domanda della parte, che se rigettata dal giudice dell’istruttoria, va rivolta al giudice che decide la causa, così garantendosi anche il diritto di difesa della controparte, la quale non deve controdedurre su quanto non espressamente richiamato”), affinché il giudice di primo grado, in sede decisoria, sia tenuto a riesaminare la questione e decidere sull’ammissibilità e rilevanza del mezzo di prova con la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado. Se è rigettata anche con la sentenza di primo grado, l’istanza dovrà allora essere reiterata in appello, o con l’atto di citazione in appello o con la comparsa di risposta contenente appello incidentale ove alla sua mancata assunzione si colleghi una soccombenza, ovvero riproposta ex art. 346 c.p.c. quando una soccombenza, anche solo teorica, manchi (per tutti, G. Ruffini, Diritto processuale civile, Bologna, 2024, 396; S. Giani, Lo ius novorum in appello, in A. Tedoldi (diretto da), Le impugnazioni civili, Bologna, 2019, 388).

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