Usucapione del posto auto condominiale
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFTribunale di Firenze, sez. II civile, Sentenza del 31.03.2023 n. 278, Giudice Dott.ssa M. F. De Cecco
Massima: “Non può ravvisarsi usucapione, relativamente al parcheggio di autovetture, nell’ipotesi in cui ci si limiti all’uso di una striscia di terreno come parcheggio e spazio di manovra, non essendo tale condotta di per sé espressione di un’attività materiale incompatibile con l’altrui diritto di proprietà e non avendo la relativa esteriorizzazione la valenza inequivoca di una signoria di fatto sul bene. D’altra parte, l’utilizzo di un’area a scopo di parcheggio può risultare transitoriamente consentito per mera tolleranza dal proprietario fondiario. Pertanto, onde provare il possesso pacifico e ininterrotto ai fini dell’usucapione, è necessario dimostrare di averlo utilizzato proprio come suo proprietario, per esempio, delimitando il posto auto con sbarramenti, catene, cancelli o altre opere di perimetrazione o recinzione idonee a impedirne l’uso al proprietario del fondo”.
CASO
Con atto di citazione ritualmente notificato gli attori adivano il Tribunale di Firenze deducendo di essere comproprietari unitamente agli altri convenuti di un posto auto insistente nell’area esterna del condominio.
Secondo gli attori la proprietà dell’area comune risultava esattamente dai titoli di provenienza e dalla documentazione catastale; tuttavia, era emersa nel corso del tempo, l’occupazione illegittima da parte di Tizio di uno spazio, creato attraverso un’abusiva restrizione di parte posteggi preesistenti, e da lui adibito a posto auto in assenza dei titoli legittimanti.
Stante l’illegittima occupazione, gli attori e i convenuti contumaci subivano un’ingiustificata compressione dei rispettivi diritti di proprietà, essendo le dimensioni effettive dei loro posti auto inferiori a quelle catastali, giacché in uno spazio in cui dovevano esserci 19 posti auto ve ne erano in realtà 20, per la presenza di quello “abusivo” realizzato da Tizio.
Pertanto, avendo esperito tutti i tentativi per la soluzione stragiudiziale della vertenza, compreso il tentativo di mediazione, nonché avendo Tizio affermato di aver usucapito il posto auto da lui occupato, gli attori decidevano di procedere giudizialmente, al fine di far dichiarare l’abusiva occupazione da parte di Tizio nonché rigettare la richiesta in via riconvenzionale di accertamento dell’usucapione da parte di quest’ultimo.
Tizio, difatti, si costituiva in giudizio deducendo di aver utilizzato uti dominus quello spazio sin dalla sua realizzazione, nel 1970, senza alcuna contestazione da parte dei proprietari prima del 2019, per cui ne aveva acquistato la proprietà per usucapione.
SOLUZIONE
Il Giudice riteneva fondata ed accoglieva la domanda di rivendicazione della proprietà proposta dagli attori, rigettando la domanda riconvenzionale di Tizio finalizzata all’acquisto per usucapione dell’area.
QUESTIONI
A difesa del diritto di proprietà sono esperibili le azioni petitorie che si qualificano specificamente in azione di rivendicazione, azione negatoria, azione di regolamento dei confini e azione di apposizione dei termini.
Tali azioni sono volte ad accertare e vedere riconosciuto il diritto di proprietà su un determinato bene qualora tale diritto sia interamente o parzialmente contestato.
Nella sentenza in commento i condomini attori spiegavano azione di rivendicazione, attraverso la quale il proprietario può rivendicare il bene di sua proprietà da chiunque lo possieda o lo detenga senza titolo.
Essa è, pertanto, diretta alla restituzione della cosa e presuppone quindi che il proprietario sia stato privato del possesso, comportando il rilascio del bene.
L’attore in rivendicazione è gravato da una c.d. probatio diabolica; difatti, affinché il soggetto possa legittimamente esercitare il diritto alla restituzione del bene, non è sufficiente la mera dimostrazione del fatto lesivo del proprio diritto dominicale — ossia che il bene è attualmente posseduto o detenuto da terzi sine titulo — ma è altresì necessaria la prova del proprio diritto di proprietà sulla res oggetto di rivendicazione. Tale prova può ritenersi compiutamente fornita solo laddove venga dimostrato l’acquisto della proprietà a titolo originario, sia per effetto del maturarsi dell’usucapione in capo al rivendicante, sia in quanto derivante da un terzo che, direttamente o per il tramite del proprio dante causa, risulti titolare a sua volta di un acquisto a titolo originario.
A titolo esemplificativo, l’acquisto di un immobile mediante contratto di compravendita non costituisce di per sé prova certa del diritto di proprietà, potendo il trasferimento essere avvenuto da soggetto non titolare del diritto (c.d.: acquisto a non domino).
Diversamente, ove la proprietà sia stata acquistata per usucapione, sarà sufficiente fornire la relativa prova: possesso esclusivo, continuato ed ininterrotto per venti anni, ad esempio mediante la produzione della sentenza costitutiva che accerti l’intervenuto acquisto a titolo originario.
Il rigoroso onere probatorio gravante sull’attore in sede di azione di rivendica può subire un’attenuazione in diversi casi che la Corte di legittimità nella sentenza n. 29848 del 2022 ha elencato a titolo esemplificativo:
1) quando il convenuto ammetta, in modo non equivoco, che, almeno fino a un certo momento, il bene conteso era di proprietà dell’attore o dei suoi danti causa, nel qual caso l’attore in revindica deve solo provare la continuità dei passaggi di proprietà sino a quello in suo favore;
2) quando l’acquisto della proprietà sia un fatto pacifico fra le parti;
3) quando il convenuto ammette che il bene conteso appartenga all’attore ed oppone un titolo di acquisto successivo, che derivi la sua efficacia da quello dedotto dal rivendicante. In tale ipotesi manca la contestazione sul diritto di proprietà dell’attore e la controversia si risolve attraverso la verifica della validità dell’atto di acquisto a favore dell’uno o dell’altro dei due contendenti; il rivendicante, quindi, non ha l’onere di provare il diritto dei suoi autori sino ad un acquisto a titolo originario, ma solo che il bene abbia formato oggetto del proprio titolo di acquisto.
4) quando le affermazioni del convenuto, volte ad ottenere il riconoscimento a suo favore della proprietà del bene, si basano su asserzioni che presuppongano l’originaria sussistenza del titolo su cui si fonda la domanda dell’attore e ne deducano la sopravvenuta caducazione;
5) quando il convenuto non contesti l’originaria appartenenza del bene conteso ad un comune dante causa o ad uno dei danti causa dell’attore e contrapponga l’esistenza di un suo titolo derivativo che abbia per presupposto l’originaria appartenenza del cespite al dante causa indicato dal rivendicante, bastando, in tal caso, al rivendicante dimostrare che il bene medesimo ha formato oggetto del proprio titolo d’acquisto, poiché la controversia si risolve sulla base della prevalenza di un titolo prevalente rispetto all’altro.
Nella controversia in commento Tizio non aveva contestato il diritto di proprietà degli attori, opponendo invece di aver usucapito la proprietà del posto auto, da lui attuato attraverso “un’abusiva” restrizione dei posteggi preesistenti.
Ad ogni modo, secondo il Tribunale la domanda riconvenzionale in merito all’accertamento dell’usucapione della proprietà del ridetto parcheggio non poteva essere accolta.
L’usucapione costituisce una modalità di acquisto della proprietà a titolo originario e rappresenta un istituto giuridico volto a garantire certezza e stabilità ai rapporti giuridici, per mezzo del consolidamento della situazione di fatto derivante dall’uso pacifico e protratto del bene nel tempo.
Affinché possa prodursi l’effetto acquisitivo proprio dell’usucapione, è necessario che un soggetto eserciti un potere di fatto sul bene nella convinzione di agire come proprietario (possesso uti domini).
Pertanto, alla situazione oggettiva di possesso deve necessariamente accompagnarsi una componente soggettiva dell’animus possidendi, ossia l’intenzione di comportarsi come titolare del diritto di proprietà.
Il legislatore prevede ad ogni modo una serie di requisiti affinché l’usucapione possa ritenersi validamente perfezionata:
– possesso continuato del bene senza interruzioni;
– decorso di un determinato periodo di tempo (vent’anni per l’usucapione ordinaria);
– possesso pacifico, vale a dire non acquisito né mantenuto con violenza o clandestinità;
– possesso qualificato, esercitato con l’intento di escludere il proprietario e di comportarsi come tale.
L’usucapione è anche definita prescrizione acquisitiva, in quanto costituisce il corrispettivo positivo della prescrizione estintiva: quest’ultima comporta l’estinzione del diritto in conseguenza dell’inerzia del titolare, laddove, con l’usucapione, la protratta inerzia del proprietario consente al possessore di acquistare il diritto reale sul bene.
Ciò posto, pur essendo incontestato l’utilizzo da parte di Tizio di una porzione dei posti auto esistenti in modalità non incompatibile con l’altrui godimento — trattandosi di un’area non delimitata da sbarramenti, priva di opere idonee a impedirne l’uso da parte dei legittimi proprietari e sprovvista di segnaletica indicante il divieto di sosta — tale condotta, tuttavia, non integra gli estremi del possesso utile ai fini dell’usucapione.
A tal proposito gli Ermellini si sono pronunciati, ritenendo come affinché l’attività di parcheggio di autovetture possa assumere rilevanza ai fini dell’usucapione del suolo, è necessario che tale condotta si configuri come esercizio effettivo, continuo e ininterrotto di un potere di fatto sulla cosa corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale. Tale potere deve manifestarsi, per l’intero periodo previsto dalla legge, attraverso atti conformi alla natura e alla destinazione del bene, tali da esprimere, anche all’esterno, una signoria piena e non contestata, idonea a porsi in contrapposizione all’inerzia del titolare del diritto dominicale[1].
Secondo il Tribunale fiorentino, pertanto, non può ritenersi integrata l’usucapione in relazione all’utilizzo di un’area adibita a parcheggio di autovetture, qualora l’uso si sia limitato alla semplice occupazione di una porzione di terreno come spazio di sosta o di manovra, atteso che tale condotta non costituisce, di per sé, un’attività materiale incompatibile con l’altrui diritto reale, né si configura come manifestazione inequivoca di un potere di fatto corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà.
Del resto, l’uso di un’area a fini di parcheggio può essere temporaneamente tollerato dal proprietario del fondo, senza che ciò implichi l’insorgenza di una situazione possessoria in senso tecnico. Ne consegue che, ai fini dell’accertamento del possesso utile all’usucapione, è necessario dimostrare di aver esercitato un potere sul bene in modo pacifico, continuo e soprattutto con modalità escludenti l’altrui godimento, ad esempio mediante l’apposizione di sbarramenti, catene, cancelli o altre opere di recinzione idonee a rendere l’uso esclusivo.
Inoltre, sentito l’amministratore del Condominio, lo stesso dichiarava in sede testimoniale come Tizio non avesse mai pagato gli oneri condominiali per l’area di parcheggio da lui ricavata e che, al contrario, le spese per i posti auto erano state versate solo dai rispettivi proprietari, costituendo un indice univoco e sicuro del loro comportamento dominicale.
Il giudice, dunque, condannava Tizio all’immediato rilascio dell’area da lui indebitamente occupata.
[1] Cfr. Cass. civ., Sent. n. 10894/2013. Nella pronuncia in questione i Giudici di Piazza Cavour sostenevano come la copertura del terreno con ghiaia non integrasse un’opera permanente di trasformazione del bene, idonea a precludere la potestà dominicale del proprietario della restante area adiacente.
Nello stesso senso parimenti Cass. civ., Ord. n. 11976/2025, secondo la quale l’uso occasionale dell’area di parcheggio in uno spazio non delimitato né vietato ai terzi non dimostra un possesso continuativo e ultraventennale con intento di escludere altri ai fini dell’usucapione.
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