30 Settembre 2025

Tempestività dell’eccezione di prescrizione proposta nel giudizio originario in caso di separazione di cause

di Franco Stefanelli, Avvocato Scarica in PDF

Cass., Sez. III, Ord., ud. 17 aprile 2025, 18 giugno 2025, n. 16407, Pres. Frasca – Est. Spaziani.

[1] Separazione di cause – Eccezione di prescrizione proposta nel giudizio originario – Valutazione di tempestività nel giudizio separato – Restituzione nel termine – Esclusione (cod. civ., art. 2938; cod. proc. civ., artt. 103, 166, 167 e 180)

Massima: “In tema di separazione di cause, la tempestività dell’eccezione di prescrizione in relazione al giudizio separato è rispettata quando sia formulata tempestivamente nella comparsa di costituzione e risposta depositata nel giudizio originario, sicché, se detta comparsa è stata depositata tardivamente, è tardiva anche l’eccezione, senza possibilità di una rimessione in termini per effetto dell’eventuale rinnovazione della citazione nel giudizio separato, atteso che questo è una mera prosecuzione della causa da cui origina”.

CASO

Nell’anno 2014, alcuni medici convennero avanti il Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei Ministri e i Ministeri dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, della Salute nonché dell’Economia e delle Finanze, chiedendone la condanna alla remunerazione adeguata o al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata attuazione delle direttive europee 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, in tema di adeguata remunerazione spettante per la frequenza di corsi di specializzazione medica da loro frequentati in regime anteriore al d.lgs. n. 257/1991.

Le amministrazioni convenute, con le comparse di costituzione in giudizio depositate in data 12/5/2014, sollevarono l’eccezione di prescrizione. All’udienza del 5/3/2015, gli attori eccepirono la tardività della costituzione di parte convenuta per essere il termine ex art. 166 cod. proc. civ. scaduto il 9/5/2014. In data 10/4/2015 le amministrazioni convenute formularono istanza di separazione della posizione dei diversi ricorrenti, avuto riguardo alla diversa situazione giuridica in cui essi versavano, taluni essendosi immatricolati prima del 1983, altri dopo il 1991, altri ancora avendo già azionato il loro diritto in sede giudiziaria. Con ordinanza resa all’udienza del 15/5/2015, il Giudice procedente dispose la separazione delle cause, raggruppando gli attori in tre categorie: quelli iscrittisi al corso di specializzazione prima del 1983; quelli iscrittisi dopo il 1991; quelli indicati nella nota depositata alla medesima udienza dall’Avvocatura dello Stato, per i quali si ipotizzavano situazioni di litispendenza o addirittura pronunce già passate in giudicato.

Con comparsa di costituzione per separazione dei fascicoli, notificata il 21/10/ 2015, trentatré dei medici attori, tra cui i controricorrenti nel giudizio di legittimità la cui pronuncia è qui annotata,, convennero nuovamente le amministrazioni in epigrafe dinanzi al Tribunale capitolino, ribadendo le domande già formulate con l’originaria citazione.

Iscritto il procedimento al n. di R.G. 68471/2015 del Tribunale di Roma, le amministrazioni convenute depositarono, in data 23/6/ 2016, una nuova comparsa di risposta nella quale: 1) eccepirono il difetto di legittimazione passiva dei Ministeri, per essere legittimata unicamente la Presidenza del Consiglio dei Ministri; 2) eccepirono la sussistenza del giudicato esterno nei confronti di A.A., B.B., C.C. e D.D. (non anche nei confronti di E.E.); 3) invocarono il rigetto della domanda con riguardo alla prima delle due specializzazioni (biologia clinica) conseguite da E.E. in quanto immatricolatosi prima del 1983; 4) invocarono il rigetto della domanda con riguardo alla prima delle due specializzazioni conseguite da D.D. (chirurgia della mano) e con riguardo alla specializzazione conseguita da C.C. (igiene e medicina preventiva, orientamento medicina scolastica), in quanto non menzionate negli artt. 5 e 7 della direttiva riconoscimento 75/362/CEE, né comprese nell’elenco delle specializzazioni comuni a due o più Stati membri.

Con sentenza n. 21067/2019, depositata il 4/11/2019, il Tribunale di Roma: 1) accolse l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dei Ministeri, reputando unico soggetto passivamente legittimato la Presidenza del Consiglio dei Ministri; 2) rigettò espressamente l’eccezione di giudicato sollevata nei confronti di A.A., B.B., C.C. e D.D., per non essere “risultata adeguatamente dimostrata” (pag. 3 della sentenza di primo grado); 3) accolse l’eccezione preliminare di merito di prescrizione sollevata con l’originaria comparsa di risposta del 12/5/2014, espressamente motivando sulla sua tempestività, sul presupposto che “l’eccezione è da considerarsi tempestiva poiché se è vero che la prima citazione è stata notificata nell’anno 2014 è altrettanto vero che successivamente alla separazione delle originarie posizioni processuali gli odierni attori hanno notificato (pur non essendo necessario) una nuova citazione così restituendo in termini le controparti”; 4) pronunciò, tuttavia, anche sul merito in senso proprio, escludendo la fondatezza della domanda con riguardo alla prima delle due specializzazioni (biologia clinica: 1980-1984) conseguite da E.E., in quanto immatricolatosi “precedentemente l’anno accademico 1982/1983 ovvero negli anni accademici… 1980/1984”; 5) sempre pronunciando anche sul merito in senso proprio, escluse, infine, la fondatezza della domanda con riguardo alla prima delle due specializzazioni conseguite da D.D. (chirurgia della mano) e con riguardo alla specializzazione conseguita da C.C. (igiene e medicina preventiva orientamento scolastico) per avere essi “conseguito diplomi di specializzazione non compresi nella cosiddetta direttiva “riconoscimento” 75/362/CEE del 16 giugno 1975”.

A.A., B.B., C.C., D.D. e E.E. proposero appello.

Con l’atto di impugnazione, nell’invocare la condanna della sola Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento della remunerazione adeguata o al risarcimento del danno, gli appellanti: 1) censurarono la statuizione preliminare di merito contenuta nella sentenza impugnata, ribadendo la già evidenziata “tardività della costituzione delle parti convenute e, conseguentemente, l’inammissibilità della dedotta eccezione di prescrizione, atteso che il termine di cui all’art. 166 c.p.c. scadeva il 9 maggio 2014”; 2) contestarono il parametro per la liquidazione del danno indicato in astratto dal giudice di primo grado mediante il riferimento all’art. 11 della legge n. 370/1999, parametro, tuttavia, non applicato nel caso concreto stante il rigetto delle domande: nel formulare tale contestazione, invocarono, tra l’altro, la giurisprudenza comunitaria “in relazione al caso di specializzandi che avevano iniziato il corso nel 1982 (e, perciò, prima della scadenza del termine di adempimento della direttiva)”, il cui obiettivo sarebbe stato “quello di attribuire agli specializzandi, a partire dal 1 gennaio 1983, una remunerazione adeguata”; 3) censurarono le statuizioni di rigetto delle domande proposte da C.C., con riferimento alla specializzazione in igiene e medicina preventiva, e D.D., con riferimento alla specializzazione in chirurgia della mano.

Le amministrazioni convenute, costituendosi nel giudizio d’appello, riproposero l’eccezione di giudicato nei confronti di A.A., B.B., C.C., D.D.

Con sentenza 24/7/2023 n. 5329, la Corte d’Appello di Roma, in pressoché integrale accoglimento dell’impugnazione, ha accolto le domande degli attori nei confronti di tutte le amministrazioni statali convenute, confermando, solo per D.D., la reiezione della domanda limitatamente alla seconda specializzazione conseguita (chirurgia della mano).

La Corte territoriale ha ritenuto che l’eccezione di giudicato non potesse trovare accoglimento, “in quanto, in caso di rigetto esplicito o implicito inequivoco di un’eccezione o di un motivo, il convenuto è tenuto a proporre appello incidentale”.

Con riguardo alla prescrizione, il giudice d’appello ha poi statuito che, sebbene fosse inammissibile il relativo motivo di gravame proposto dagli attori (i quali avrebbero dovuto dedurre la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., anziché la tardività dell’eccezione, che non era stata in realtà sollevata dalle amministrazioni convenute), tuttavia la sentenza di primo grado era “errata nella parte in cui ha pronunciato sull’eccezione di prescrizione in violazione dell’art. 112 c.p.c.”.

Esclusa la possibilità di dichiarare la prescrizione del diritto, con riguardo al merito in senso proprio la Corte d’Appello ha reputato che il diritto alla remunerazione competeva, “a far tempo dal 1983 a coloro che, anche se iscritti precedentemente, avessero frequentato un corso di specializzazione comune a tutti gli stati membri… o ad almeno due o più fra essi”, dunque rientrante negli elenchi di cui agli artt. 5 e 7 della direttiva 75/362/CEE. Pertanto, posto che nell’elenco di cui al citato art. 7 figurava non solo la seconda specializzazione conseguita da E.E. dopo il 1984 (microbiologia) ma anche la prima (biologia clinica) da lui conseguita tra il 1980 e il 1984, la domanda dell’attore doveva essere accolta anche con riguardo a tale specializzazione, non assumendo rilievo che egli si fosse immatricolato prima del 1983.

La Corte d’Appello ha infine ritenuto che dovessero essere accolte non solo le domande di A.A. e B.B. (sul rilievo che le loro specializzazioni – in chirurgia generale e in dermatologia e venereologia – erano previste, rispettivamente, nell’art.5 e nell’art.7 della direttiva riconoscimento), ma anche la domanda di C.C. (in quanto la giurisprudenza di legittimità aveva riconosciuto che la specializzazione in igiene e medicina preventiva esisteva in molti paesi dell’Unione, con la denominazione di community medicine, nei paesi anglosassoni, e quella di santé publique e medicine sociale, in Francia) e, sia pure limitatamente alla specializzazione in ortopedia (contemplata dal citato art. 5), la domanda di D.D., la quale invece andava rigettata in relazione al corso di specializzazione in chirurgia della mano, non incluso nei suddetti elenchi e per il quale non era “stata provata l’equipollenza con un corso previsto all’elenco di cui all’art. 7”.

Hanno proposto ricorso per cassazione la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i Ministeri dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, della Salute nonché dell’Economia e delle Finanze, sulla base di quattro motivi ed hanno risposto con un unico controricorso A.A., B.B., C.C. e D.D., proponendo altresì ricorso incidentale, sorretto da cinque motivi; ha replicato, altresì, con distinto controricorso, E.E., proponendo altresì ricorso incidentale condizionato, fondato su un unico motivo.

Rilevano, nella presente sede, soltanto i primi due motivi dei ricorrenti (assorbito l’unico motivo di ricorso incidentale di E.E. nonché il primo motivo dei controricorrenti A.A., B.B., C.C. e D.D.).

Con il primo motivo del ricorso principale veniva denunciata la “Nullità della sentenza per grave vizio della motivazione (inconferenza, illogicità e contraddittorietà intrinseca); violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ.”. In sostanza, le Amministrazioni ricorrenti avevano dedotto che “incomprensibilmente e illegittimamente”, la Corte d’Appello, da un lato, avesse decretato l’inammissibilità dell’appello, sul rilievo che esso aveva censurato la sentenza di primo grado (la quale aveva erroneamente dichiarato la prescrizione delle pretese, nonostante la relativa eccezione non fosse mai stata sollevata dalle amministrazioni convenute) con un motivo di violazione delle norme sulla prescrizione e non (come avrebbe dovuto) per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; dall’altro, dopo averne dichiarato l’inammissibilità, contraddittoriamente lo avrebbe esaminato nel merito. Il primo motivo del ricorso principale presentava elementi di connessione col secondo motivo, con cui era denunciata “Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112, comma 1, c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 359 e 342, i comma, n. 1), del medesimo codice, dal momento che la Corte d’Appello non avrebbe potuto pronunciarsi d’ufficio sulla mancata proposizione, in primo grado, dell’eccezione di prescrizione da parte della difesa delle amministrazioni, non essendo stato formulato dall’appellante alcun motivo sul punto, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ.”. Con esso, le amministrazioni ricorrenti sostenevano che “nessuna delle parti aveva impugnato in appello la sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. nella parte in cui aveva dichiarato decorsa una prescrizione mai eccepita: d’altra parte, il giudice di appello non poteva rilevare il vizio d’ufficio” e reputavano che, “una volta dichiarata l’inammissibilità del primo motivo – assorbente – di appello perché andava dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c. e non la tardività di una eccezione di prescrizione mai proposta, la Corte non avrebbe mai potuto esaminare nel merito la domanda avanzata dagli appellanti”.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione ha statuito che i primi due motivi del ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, della Salute nonché dell’Economia e delle Finanze sono infondati, dovendosi soltanto procedere a correzione della motivazione della sentenza della Corte di Appello di Roma impugnata, il cui dispositivo, in relazione ai profili evocati dai ricorrenti, risultava conforme a diritto (art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ.).

In primo luogo, la Corte di legittimità ha osservato che, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, esse avevano formalmente sollevato l’eccezione di prescrizione nella originaria comparsa di risposta depositata nell’ambito del procedimento iscritto al n. di R.G. 1000/2014, prima che il giudice procedente disponesse la separazione delle cause e che fosse iscritta a ruolo la nuova causa R.G. n. 68471/2015.

L’eccezione era tuttavia tardiva, come esattamente contro-eccepito, nell’immediatezza, dagli (all’epoca) attori (e controricorrenti nel giudizio di legittimità) al verbale d’udienza del 5/3/2015, atteso che il termine ex art. 166 cod. proc. civ. era scaduto il 9/5/ 2014, laddove la costituzione delle amministrazioni convenute era avvenuta, tardivamente, il successivo 12/5/2014, né, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, le amministrazioni eccipienti erano state restituite nel termine per effetto della nuova citazione, posta in essere dagli attori con la comparsa del 21/10/2015, successiva alla separazione delle cause, che aveva originato l’iscrizione del nuovo procedimento n. 68471/2015 R.G. Trib. Roma.

La Corte, pertanto, ha rigettati i primi due motivi di ricorso, modificando la motivazione resa dal giudice d’appello, in ordine al primo motivo del gravame sottoposto al suo esame.

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza in relazione ad altri motivi del ricorso principale, decidendo la causa nel merito, e, alla luce della reciproca soccombenza, ha integralmente compensato le spese del giudizio di legittimità.

QUESTIONI

[1] La pronuncia qui annotata ha ricordato che la causa separata è una mera prosecuzione della causa da cui origina e, quindi, le eccezioni fatte in quest’ultima valgono anche per l’altra.

Da ciò consegue che la tempestività dell’eccezione di prescrizione è rispettata se essa è formulata tempestivamente nella comparsa di costituzione e risposta depositata nel giudizio originario, non occorrendo una reiterazione di tale eccezione in quello separato (Cass. n° 18274/2020; Cass. n° 18450/2024, ma anche, seppure in maniera più sfumata, Cass. n° 22342/2019); peraltro, se l’originaria comparsa di risposta è depositata tardivamente, anche l’eccezione in essa contenuta è tardiva.

In sede di appello, gli originari attori correttamente avevano censurato la statuizione di primo grado che, erroneamente, aveva reputato l’eccezione tempestiva in ragione della presunta restituzione nel termine avvenuta in seguito alla nuova citazione. Nel censurare tale statuizione, gli appellanti avevano sì stigmatizzato la tardività dell’eccezione sollevata dalle parti convenute, ma in tal modo avevano censurato l’ultra-petizione in cui era incorso il giudice di primo grado, per avere pronunciato su una eccezione preliminare di merito in senso proprio (dunque, non rilevabile d’ufficio), sebbene la parte legittimata l’avesse sollevata tardivamente.

Il vizio denunciato con il primo motivo d’appello, pertanto, era proprio il vizio di violazione (per eccesso, id est lea c.d. ultra-petizione) del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, sicché la Corte d’Appello romana, dopo avere erroneamente dichiarato inammissibile il motivo di gravame, nella sostanza aveva correttamente proceduto alla sua delibazione nel merito, rilevandone la fondatezza.

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