24 Giugno 2025

Quando si configura l’abuso di una società da parte di soggetti che ne hanno il controllo?

di Virginie Lopes, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, sez. I, Ordinanza, 17 marzo 2025, n. 7105

Parole chiave: Società – Società con soci a responsabilità illimitata – Società di fatto – Supersocietà – In genere – Abuso da parte di chi ne ha il controllo – Assetto distributivo non egualitario o ripartizione non paritaria della partecipazione – Compatibilità – Sussistenza – Fattispecie

Massima: “In tema di supersocietà di fatto, l’abuso di una società da parte di una o più persone fisiche o giuridiche che ne hanno il controllo, anche in via di fatto, non esclude la sussistenza di un rapporto societario non formalizzato. Tale abuso è compatibile con un accordo, iniziale o successivo, che prevede la ripartizione dei debiti e vantaggi patrimoniali in modo disparitario tra i soggetti coinvolti, ove esso non sia stato programmato dall’inizio ma sia frutto della violazione dei principi di corretta gestione da parte di chi era in posizione di farlo.

Disposizioni applicate: art. 2247 c.c..

Dopo aver dichiarato il fallimento di una prima S.r.l., il Tribunale di prime cure ha dichiarato, su istanza del curatore del suddetto fallimento, anche il fallimento della “supersocietà” di fatto costituita tra detta società e un’altra s.r.l., ed alcuni soci persone fisiche, nonché quello dei soci illimitatamente responsabili.

Il Tribunale ha infatti considerato che dette società e soci svolgessero, mediante un “fondo comune” costituito con i loro rispettivi conferimenti, una “attività economica comune” esercitata con una vera e propria affectio societatis, allo scopo di realizzare un “progetto economico comune, rappresentato in concreto dallo svolgimento attraverso gli stessi mezzi imprenditoriali, della medesima attività imprenditoriale al fine di sottrarre, conclusivamente, le garanzie patrimoniali alla massa dei creditori”, con conseguente “partecipazione agli utili ed alle perdite”.

La Corte d’Appello ha accolto il reclamo proposto dalla seconda S.r.l. e dei soci di fatto persone fisiche, revocando tutti i fallimenti dichiarati dal Tribunale di prime cure.

In particolare, la Corte, rifacendosi ad un precedente della Corte di Cassazione (Cass. Civ. 7903/2020, 10507/2022) ha rammentato che è esclusa la sussistenza della cd. supersocietà di fatto ogni volta che la prima società di cui è stato dichiarato il fallimento, in esecuzione delle direttive del soggetto che la controlla, di diritto o di fatto, pone in essere condotte che favoriscono a suo discapito (nonché dei suoi creditori) gli interessi di coloro che si ipotizza siano suoi soci, in quanto in questi casi si ritiene che difetti l’affectio societatis.

La Corte d’Appello ha infatti considerato che la prima S.r.l. dichiarata fallita fosse stata “dolosamente svuotata contro il suo interesse ed in pregiudizio dei suoi creditori” da chi di fatto o di diritto, l’amministrava e la controllava e per favorirne gli interessi, essendone pertanto “vittima piuttosto che complice”, concludendo pertanto che l’iniziativa della curatela incaricata del fallimento della prima S.r.l. fosse stata del tutto colposa, concludendo per la revoca dei fallimenti.

Avverso tale decisione hanno proposto ricorso in Cassazione la curatela e controricorso le varie parti in causa.

In particolare, è stato lamentato che la sentenza della Corte d’Appello (i) non avesse correttamente e compiutamente ricostruito il paradigma dell’esercizio in comune dell’attività di impresa, nella prospettiva indicata dall’art. 2247 c.c., in relazione all’art. 2297 c.c., e (ii) avesse omesso di esaminare gli indici inequivoci di un’unica attività di impresa svolta in comune, nel paradigma dell’art. 2247 c.c., dai soci persone fisiche e dalle società coinvolte nella dichiarazione derivata di insolvenza.

Per giungere alla propria decisione ha ripercorso l’evoluzione compiuta nella propria giurisprudenza in materia di “supersocietà” di fatto.

Infatti, la Cassazione ha rammentato di aver considerato che “la circostanza che i singoli enti societari perseguano l’interesse delle persone fisiche che ne hanno il controllo, anche in via di fatto, è indice contrario dell’esistenza del fenomeno “supersocietario”, venendo in rilievo, piuttosto, quale prova dell’esistenza di una holding di fatto, nei cui confronti il curatore del fallimento della società che vi è sottoposta può eventualmente agire per farne valere le responsabilità ex art. 2497 c.c. e che può, altresì, fallire autonomamente ed in via principale su richiesta di uno dei soggetti legittimati, ove ne siano accertati i presupposti soggettivi e lo stato d’insolvenza rispetto a debiti alla stessa imputabili” (Cass. Civ. 36378/2023).

L’anno successivo, la Suprema Corte ha escluso la sussistenza di una c.d. supersocietà di fatto per la mancanza dell’elemento dell’affectio societatis, senza valutare se fosse carente sin dall’origine ovvero oppure se fosse venuto meno successivamente, per via di una modifica ed evoluzione in concreto degli originari accordi (Cass. Civ. 74/2024).

Tuttavia, sempre nel 2024, la Corte di Cassazione ha considerato che l’abuso della società da parte di una o più persone, fisiche o giuridiche, che avendone il controllo la gestiscono nell’interesse proprio, anche se costitutivo di indizio contrario all’esistenza della c.d. supersocietà di fatto e favorevole, piuttosto, alla individuazione di una holding di fatto, non basta ad escludere “la sussistenza di un rapporto societario di fatto tra dette persone e la società abusata, ogni qualvolta all’iniziale affectio tra le prime e la seconda sia subentrato, per modifica o evoluzione degli originari accordi o per effetto di essi (art. 2497 – septies c.c.), l’esercizio di un abuso sulla società medesima, attraverso la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, da parte di chi, tra gli originari partecipi di un rapporto societario di fatto con la società abusata, era in condizione di farlo (cfr. artt. 2497 – sexies e 2359 c.c.)” (Cass. Civ. 204/2024).

Alla luce di quanto precede, nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della corte territoriale.

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