Risarcimento del danno parentale in assenza di vincolo di sangue
di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., Sez. III, ord., 06.03.2025, n. 5984 – Pres. Rubino – Rel. Positano
Circolazione Stradale – Risarcimento – Danno da perdita del rapporto parentale – Ruolo di padre vicario in sostituzione del genitore biologico – Rapporto intercorso con la vittima del sinistro – Determinazione del danno
Massima: [1] “Il vincolo di sangue non è un elemento imprescindibile ai fini del riconoscimento del danno da lesione del rapporto parentale. Tale danno deve essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla consanguineità, purché il rapporto infonda nel danneggiato un sentimento di protezione e sicurezza simile a quello insito nel rapporto padre-figlio.”
CASO
In esito ad un sinistro stradale, perdeva la vita una bambina di quattro anni.
La madre della vittima ed il compagno della donna, non convivente con la stessa e non padre biologico della bambina, agivano in giudizio, nei confronti del responsabile, per il risarcimento del danno parentale da morte del congiunto, patrimoniale e non patrimoniale.
Il Tribunale accoglieva soltanto la domanda della madre, con il massimo risarcimento sia del danno parentale, sia del danno biologico, con la personalizzazione massima.
Il Tribunale rigettava, invece, la richiesta di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale avanzata dal compagno della madre.
In riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’appello accoglieva la richiesta risarcitoria dell’uomo, riconoscendone il concreto ruolo genitoriale nei confronti della vittima, in sostituzione del genitore biologico, del tutto assente nella breve esistenza della figlia.
L’Ufficio Centrale Italiano – convenuto in causa, unitamente al conducente, in quanto questi era tedesco e la macchina risultava immatricolata in Germania – aveva proposto ricorso per Cassazione avverso la decisione di secondo grado, adducendo che non vi fossero, nella specie, i presupposti previsti ex lege per riconoscere il danno parentale all’uomo, giacché l’assenza di convivenza e la mancanza di prova, in ordine all’effettivo ruolo genitoriale ricoperto, avrebbero dovuto escludere in radice il diritto al risarcimento.
SOLUZIONE
Con l’ordinanza in commento la Suprema Corte ha affermato il principio secondo cui il vincolo di sangue non è un elemento imprescindibile per il riconoscimento del danno da lesione del rapporto parentale. Il risarcimento deve essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che presenti le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, anche se non vi è un
legame di consanguineità.
La Suprema Corte attribuisce rilievo giuridico al valore affettivo e sociale di relazioni che, pur non essendo fondate sul sangue, svolgono un ruolo essenziale nella vita della vittima e del danneggiato.
QUESTIONI
La fattispecie in esame dà alla Suprema Corte l’occasione per tornare ad occuparsi dei contorni del danno parentale, il cui risarcimento ha la funzione di ristorare il familiare per la sofferenza patita e per le modificate consuetudini di vita, in conseguenza dell’irreversibile venire meno del godimento del rapporto parentale con la vittima.
Il danno parentale, quindi, consiste in uno sconvolgimento dell’esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, nonché nella sofferenza interiore, derivante dal venire meno del rapporto con il congiunto e/o dall’atteggiarsi di quel rapporto in maniera diversa (sul punto Cass. civ., 23469/2018).
La pronuncia in commento si inserisce nel solco ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità che riconosce il diritto al risarcimento del danno parentale non solo ai familiari in senso stretto (coniugi, figli, genitori, fratelli), ma anche a soggetti terzi, purché dimostrino l’esistenza di un legame affettivo profondo, significativo e stabile con la vittima.
In particolare, la Suprema Corte ribadisce che il vincolo biologico non costituisce elemento essenziale, ai fini della configurabilità del danno da lesione del rapporto parentale, affermando che detto pregiudizio debba essere riconosciuto ogniqualvolta ricorra un legame connotato da abitualità, solidarietà e affetto, idoneo a generare, in capo al danneggiato, un sentimento di perdita analogo a quello sperimentato in ambito familiare tradizionale (Cass. civ., 20835/2018; Cass. civ., 31867/2023).
Il criterio guida è, quindi, la prova dell’intensità del legame affettivo e del pregiudizio subìto nella sfera affettiva e relazionale, piuttosto che l’esistenza di un vincolo di parentela in senso stretto.
Anche la mancanza di convivenza è irrilevante, in quanto il requisito della convivenza, pur potendo assumere rilievo sul piano probatorio, non rappresenta un elemento indefettibile per la configurabilità del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale, il quale può essere riconosciuto anche in assenza di coabitazione, purché risulti comprovata l’intensità e continuità della relazione (così Cass. civ., 24689/2020).
Già in altre occasioni, la Suprema Corte aveva affermato che “la convivenza non può assurgere a connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali, ovvero a presupposto dell’esistenza del diritto in parola”, e che essa “costituisce elemento probatorio utile, ma unitamente ad altri elementi, a dimostrare l’ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare anche il quantum debeatur”.
In ogni caso, secondo i giudici di legittimità, «non è condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., all’ambito ristretto della sola c.d. “famiglia nucleare”».
L’ordinanza in esame sottolinea un ulteriore aspetto di rilievo: il danno da perdita del rapporto parentale non può considerarsi in re ipsa, bensì deve essere allegato e dimostrato nella sua effettiva sussistenza.
La prova del danno, tuttavia, può essere fornita anche in via presuntiva, attraverso elementi idonei a far desumere l’esistenza di un rapporto affettivo stretto e radicato tra la vittima ed il soggetto che chiede il risarcimento.
La pronuncia in commento conferma, pertanto, un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, che valorizza la dimensione esistenziale delle relazioni affettive, anche prive di fondamento biologico, e si ispira ad una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata del diritto alla vita familiare (artt. 2, 3, 29 e 30 Cost.; art. 8 CEDU).
La Corte eleva così a criterio giuridicamente rilevante la sostanza del legame affettivo, superando un approccio meramente formalistico ancorato al dato anagrafico o genetico.
Il danno da perdita del rapporto parentale assume, in questa prospettiva, la funzione di strumento di tutela non solo dei legami familiari tradizionali, ma anche di quelle relazioni affettive di fatto, che si distinguono per stabilità, reciprocità e solidarietà e che, per la loro intensità e significato, meritano una tutela equivalente a quella riconosciuta alla famiglia in senso stretto.
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