15 Luglio 2025

È responsabile del reato di falso in atto pubblico il notaio delegato alla vendita forzata che attesti falsamente di aver partecipato di persona a esperimenti di vendita, ancorché deserti

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. pen., sez. V, 28 febbraio 2025, n. 16012 – Pres. Borrelli – Rel. Brancaccio

Esecuzione forzata – Delega delle operazioni di vendita – Mancata presenza del professionista delegato all’esperimento di vendita – Attestazione della presenza nel verbale – Falso ideologico in atto pubblico – Sussistenza

Massima: “Commette il reato di falso ideologico in atto pubblico il professionista delegato ai sensi dell’art. 591-bis c.p.c. che, nel verbale dell’esperimento di vendita, attesti la presenza sua e di altre parti nel luogo in cui doveva svolgersi l’asta, pur non essendo ivi fisicamente presente.”

CASO

Un notaio cui erano state delegate le operazioni di vendita ai sensi dell’art. 591-bis c.p.c. veniva imputato del reato di falso ideologico in atto pubblico, dal momento che, nei verbali di alcuni esperimenti di vendita andati deserti, aveva attestato la presenza sua e dei difensori dei creditori, pur non essendosi mai recato nel luogo presso cui dovevano svolgersi le aste.

Il notaio, condannato in primo grado, veniva assolto all’esito del giudizio di appello, poiché i falsi erano reputati innocui.

La sentenza di assoluzione veniva impugnata con ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, affermando che ricorre un’ipotesi di falso penalmente rilevante nel caso di falsa attestazione, nell’atto pubblico fidefacente, della presenza del pubblico ufficiale e delle parti comparse innanzi a lui, nonché del tempo e del luogo di formazione dell’atto.

QUESTIONI

[1] Con la sentenza che si annota, i giudici di legittimità hanno individuato i contorni della responsabilità penale in cui incorre il professionista delegato alle operazioni di vendita che, nello svolgimento delle funzioni demandategli, attesti dati falsi e non corrispondenti al vero.

Punto di partenza dell’analisi svolta dalla Corte di cassazione è la qualifica – invero indiscussa – di pubblico ufficiale del professionista delegato ai sensi dell’art. 591-bis c.p.c.: va ricordato, a questo proposito, che egli, pur essendo divenuto una figura ineliminabile nell’ambito dell’espropriazione immobiliare e pur svolgendo funzioni sostanzialmente paragiurisdizionali (che, in quanto tali, rendono il professionista delegato un ausiliario sui generis rispetto al custode giudiziario e all’esperto stimatore), non può essere assimilato ovvero parificato al giudice dell’esecuzione, tanto da non essere assoggettato al peculiare regime di responsabilità dei magistrati (previsto dalla l. 13 aprile 1988, n. 177), ma, al limite, a quello delineato dall’art. 2043 c.c. (Cass. civ., sez. III, 25 settembre 2024, n. 25698).

Come pubblico ufficiale, il professionista delegato sconta, dunque, le prerogative e le responsabilità associate a tale qualifica, in particolare per quanto concerne le attestazioni dallo stesso rese, che sono assistite dalla fede privilegiata conferita dal combinato disposto degli artt. 2699 e 2700 c.c.

In questo senso, il verbale delle operazioni compiute in sede d’asta rientra, a tutti gli effetti, nel novero degli atti pubblici dotati di fede privilegiata ai sensi dell’art. 476, comma 2, c.p., in quanto redatto da un pubblico ufficiale investito di una speciale potestà documentatrice attribuita dalla legge e precostituito a garanzia della pubblica fede.

Come tale, il verbale dell’esperimento di vendita è assistito da una presunzione di verità assoluta, eliminabile solo con l’accoglimento della querela di falso o con sentenza penale, che consegue alla speciale funzione certificatrice attribuita al professionista delegato, diretta – per legge – alla prova di fatti che lo stesso riferisce essere avvenuti in sua presenza, ovvero che sono stati visti, uditi o compiuti direttamente da lui.

Poco importa, peraltro, che i fatti e i dati riportati nel verbale siano qualificabili come principali o secondari (per tali dovendosi intendere quegli elementi contenutistici accessori diversi dai dati per l’attestazione dei quali l’atto pubblico è ontologicamente predisposto, ma necessari per la sua forma documentatrice): così, posto che i verbali di asta immobiliare redatti dal professionista delegato rilevano a fini documentali sotto un duplice profilo (da un lato, quello funzionale, avente per oggetto la presenza o la mancanza di offerenti e le operazioni di vendita svolte; dall’altro lato, quello formale, avente per oggetto il tempo e il luogo di formazione dell’atto), assumono rilievo, ai fini dell’integrazione della responsabilità penale, anche le dichiarazioni e le attestazioni riguardanti il contesto in cui è stato redatto l’atto e i soggetti presenti, in quanto idonee a produrre affidamento e a spiegare effetti giuridici sino a quando l’atto non sia stato rimosso dalla realtà giuridica.

Pertanto, risponde del reato di falso il professionista delegato che nel verbale d’asta forma e sottoscrive attestazioni contrarie al vero, qualunque sia il loro oggetto e a prescindere dall’uso che dell’atto venga fatto: è la stessa definizione di atto pubblico contenuta nell’art. 2699 c.c., infatti, a imporre di considerare rilevanti, tra i contenuti dell’atto, anche quelli di forma, compreso il luogo di formazione.

Non è, dunque, sufficiente, per escludere la falsità penalmente rilevante, che l’esito dell’esperimento riportato nel verbale corrisponda a quello effettivo (com’era avvenuto nel caso esaminato nella sentenza che si annota): anche se la falsità ricade su contenuti diversi da quelli che l’atto è specificamente destinato a certificare (per esempio, sull’attestazione della presenza delle parti intervenute, ovvero del luogo e del tempo in cui l’atto è stato formato), la configurabilità del reato non è esclusa.

Tali attestazioni false, infatti, tradiscono comunque la funzione certificatrice che appartiene al pubblico ufficiale e sono, in sé, capaci di ledere il bene giuridico della fede pubblica e dell’affidamento dei terzi, poiché comprovano l’esistenza di un fatto in realtà inesistente.

I giudici di legittimità hanno altresì escluso la ricorrenza di un cosiddetto falso innocuo, ossia privo di rilevanza penale.

La disciplina dei reati di falso in atto pubblico, infatti, conferisce massima rilevanza ai contenuti dell’atto proveniente da un pubblico ufficiale, onde garantire il bene giuridico primario della fede pubblica – intesa come fiducia che deve riporsi nella veridicità delle attestazioni contenute in documenti pubblici – e assicurare la certezza delle posizioni e delle situazioni giuridiche.

Per tale motivo, il falso innocuo è prospettabile solo in caso di inesistenza dell’oggetto tipico della falsità, ossia quando questa riguardi un atto assolutamente privo di valenza probatoria, quale un documento inesistente o assolutamente nullo.

Detto altrimenti, sussiste il falso innocuo quando l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o la compiuta alterazione (nel falso materiale) sono del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio, sicché non esplicano effetti sulla sua funzione documentale; così, l’innocuità dev’essere valutata avendo riguardo all’inidoneità dell’atto falso a ingannare la fede pubblica, venendo in considerazione, in questo senso, tutti i contenuti che abbiano valenza documentatrice.

Pertanto, se l’atto è idoneo a comunicare un determinato contenuto, a prescindere dal suo uso e dalla sua funzione, deve ritenersi configurabile il reato ove tale contenuto sia falso.

Nel caso di specie, si trattava di un verbale d’asta, utile ad attestare la presenza, in un determinato luogo e a una certa ora, del professionista delegato e delle altre parti intervenute all’esperimento di vendita: la non veridicità delle indicazioni ivi contenute, quindi, basta a rendere l’atto falso e, di conseguenza, penalmente rilevante la condotta del pubblico ufficiale che lo ha predisposto.

Il fatto stesso che il verbale sia deputato a recare le attestazioni del professionista delegato circa lo svolgimento dell’esperimento di vendita (ossia a certificare quanto avvenuto in sua presenza) è condizione necessaria e sufficiente perché, in caso di loro non corrispondenza al vero, sia integrato il reato di falso, trattandosi di atto pubblico fidefacente dotato di fede privilegiata.

Da ultimo, i giudici di legittimità non hanno attribuito efficacia esimente – nel senso dell’irrilevanza penale della condotta del professionista delegato – nemmeno al fatto che le aste immobiliari sono destinate a svolgersi in via prevalentemente se non esclusivamente telematica, con conseguente disapplicazione delle prassi e delle forme rituali fisiche, dal momento che tali aspetti non possono incidere sulla portata del precetto penale.

Con la pronuncia annotata, viene una volta di più affermata l’importanza e la delicatezza delle funzioni svolte dal professionista delegato e il suo ruolo – anche certificativo – di longa manus del giudice dell’esecuzione, che impone non solo una preparazione adeguata in termini di conoscenze e competenze, necessaria per svolgere gli importanti compiti affidati, ma anche una consapevolezza delle responsabilità che vengono assunte con l’accettazione dell’incarico.

Nella fattispecie scrutinata, la Corte di cassazione, pur trovandosi di fronte a esperimenti di vendita andati deserti per mancanza di offerte d’acquisto, non ha esitato a censurare la condotta del professionista delegato che, proprio per tale motivo, ovvero confidando sul fatto che nessun potenziale aggiudicatario si sarebbe presentato per partecipare all’asta, aveva ritenuto di potere redigere il verbale senza recarsi fisicamente nel luogo in cui la stessa doveva celebrarsi.

Occorre, pertanto, concludere che ogni attestazione o dichiarazione connessa allo svolgimento della funzione di professionista delegato, in quanto assistita dalla fede privilegiata e idonea ad assumere valore fidefacente, deve necessariamente corrispondere a ciò che è realmente avvenuto e che si è effettivamente verificato, al fine di evitare non solo che, ricorrendo un falso penalmente rilevante, possa essere revocato l’incarico, ma anche che vengano meno i presupposti per il mantenimento o la conferma dell’iscrizione nell’elenco istituito ai sensi dell’art. 179-ter disp. att. c.p.c.: il n. 4) del comma 4, infatti, dopo le modifiche apportate dal d.lgs. 164/2024, prescrive, quale requisito per l’iscrizione, la dichiarazione di non avere riportato condanne (ovvero l’indicazione di quelle eventualmente riportate, all’evidente scopo di consentire la verifica circa la loro inerenza o meno a condotte influenti sullo svolgimento dell’incarico di cui all’art. 591-bis c.p.c.).

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