Regolamento di condominio contrattuale: validità della clausola di esonero spese a beneficio del costruttore-venditore
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFCorte di Cassazione, ordinanza del 21 giugno 2022, Sesta Sezione Civile, Presidente Giudice Dott. Lombardo Estensore Giudice Dott. Scarpa.
Massima: “ La clausola relativa al pagamento delle spese condominiali inserita nel regolamento di condominio predisposto dal costruttore o originario unico proprietario dell’edificio e richiamato nel contratto di vendita dell’unità immobiliare concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente, può considerarsi vessatoria, ai sensi dell’art. 33, comma 1, d.lgs. n. 206 del 2005, ove sia fatta valere dal consumatore o rilevata d’ufficio dal giudice nell’ambito di un giudizio di cui siano parti i soggetti contraenti del rapporto di consumo e sempre che determini a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, e dunque se incida sulla prestazione traslativa del bene, che si estende alle parti comuni, dovuta dall’alienante, o sull’obbligo di pagamento del prezzo gravante sull’acquirente, restando di regola estraneo al programma negoziale sinallagmatico della compravendita del singolo appartamento l’obbligo del venditore di contribuire alle spese per le parti comuni in proporzione al valore delle restanti unità immobiliari che tuttora gli appartengano”.
CASO
Il Condominio Alfa notificava nei confronti della Beta S.r.l.. costruttrice del medesimo fabbricato e predisponente il regolamento condominiale, formale decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di € 14.945,91, a titolo di spese condominiali.
La Beta S.r.l., adito il Tribunale di Brescia proponeva opposizione avverso l’ingiunzione di pagamento deducendo che nel caso di specie dovesse trovare applicazione l’art. 11 del regolamento condominiale dalla medesima predisposto, in ragione del quale “le spese condominiali sarebbero state da ripartire fra i soli acquirenti delle unità abitative fino a che non fossero state tutte vendute, con esonero quindi della società per le unità rimaste invendute”.
Il Tribunale di Brescia disattendeva la deduzione dell’opponente Beta ritenendo che dovendo qualificarsi gli altri condomini come consumatori, la clausola di cui all’art. 11 del regolamento condominiale, era da considerarsi vessatoria “tenuto conto dello squilibrio reso evidente dal fatto che l’esonero era integrale e senza previsione di un termine massimo, e quindi inefficace nei loro confronti in quanto non appositamente approvata”.
Soccombente in primo grado, la Beta S.r.l. interponeva appello avverso la sentenza del giudice delle prime cure.
La Corte di Appello di Brescia, tuttavia, respingeva a sua volta il gravame richiamando il consolidato principio relativo alla applicabilità delle norme del Codice del consumo alle convenzioni di ripartizione delle spese condominiali predisposte dal costruttore, o dall’originario unico proprietario dell’edificio condominiale, rilevando nel caso per cui è lite non era contestata né la qualità di professionista venditrice e predisponente il regolamento condominiale tra cui l’art. 11 in capo alla Beta, né quella di consumatori in capo agli acquirenti delle singole unità immobiliari e, non lo è neppure l’applicabilità al predetto rapporto del Codice del consumo, “vertendo la contestazione unicamente sull’applicabilità, alla clausola in questione, del regime di nullità-inefficacia in quanto vessatoria ai sensi dell’art. 33 del Codice del Consumo”.
Orbene, la Corte del gravame reinterpretava la decisione della Corte di Cassazione n. 16321 del 2016, in ragione della quale, ad avviso della Corte di Appello di Brescia si restringeva l’applicabilità del Codice del consumo alle sole “convenzioni limitative di natura reale incidenti sul bene compravenduto”.
Così concludeva confermando la decisione del giudice delle prime cure in ragione della quale “la clausola d’esenzione dalle spese, predisposta dalla società venditrice, risulterebbe in sé prospettare uno squilibrio significativo dei diritti e obblighi derivanti dal contratto”.
La sentenza impugnata rilevava che, l’esenzione dalle spese fosse totale a favore della società venditrice costruttrice, lasciando a carico della restante compagine condominiale e futuri acquirenti la totalità delle spese condominiali; non era previsto un termine massimo, giacchè la clausola di esenzione era subordinata alla vendita integrale di tutte le singole unità immobiliari; l’importo delle spese condominiali non era determinabile al momento della conclusione del contratto.
Soccombente anche in secondo grado, la Beta S.r.l proponeva ricorso per Cassazione sulla base di un unico motivo. Resisteva con controricorso il Condominio Alfa.
Il relatore riteneva il ricorso manifestamente fondato e definibile ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ma su richiesta del ricorrente, il Presidente fissava l’adunanza della camera di consiglio.
Le parti hanno presentato memorie.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione accoglieva l’unico motivo di ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava per la determinazione delle spese di giudizio di legittimità alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione.
La Corte incentra la sua motivazione sulla circostanza che gli obblighi derivanti dal solo regolamento condominiale, non sono qualificabili alla stregua di un contratto di consumo, poiché , il regolamento condominiale di natura contrattuale riveste la forma di contratto plurilaterale nel quale parti sono più soggetti giuridici tutti detentori di uno scopo comune, in cui non si pone quindi un nesso di reciprocità tra le prestazioni o le attribuzioni patrimoniali, né rileva il pericolo di uno squilibrio fra diritti ed obblighi contrapposti.
QUESTIONI
Con il primo ed unico motivo di ricorso la Beta S.r.l., denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 1123 c.c., nonché degli artt. 33, 34 e 36 del Codice del consumo alla luce del principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza di legittimità.
A sua volta, il Condominio Alfa nella rispettiva memoria insisteva per l’accertamento e conseguente declaratoria di nullità della clausola del regolamento condominiale con la quale si prevedeva l’esonero totale e senza scadenza dal pagamento degli oneri condominiali della costruttrice venditrice.
Orbene, preliminarmente nel valutare la corretta instaurazione del contraddittorio, la Corte di legittimità rilevava che la legittimazione del Condominio Alfa in persona dell’amministratore si si giustificasse ai sensi e per gli effetti dell’art. 1130, n. 3, c.c., rispetto alla domanda di riscossione degli oneri condominiali ed alla successiva opposizione al pagamento proposta da Beta.
In primo luogo la Corte di legittimità, richiamando le Sezioni Unite, rilevava che relativamente ai limiti di cognizione dell’autorità giudiziaria nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo “il giudice può sindacare sia la nullità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, ma a condizione che quest’ultima sia stata dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale, ai sensi dell’art. 1137, comma 2, c.c., nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione”[1].
In secondo luogo, tale pronuncia di nullità o inefficacia “postulerebbe come è noto, un’azione esperibile da o nei confronti (non del condominio, ma) di tutti i condomini in una situazione di litisconsorzio necessario, trattandosi di un contratto plurilaterale avente scopo comune, in quanto partecipi al vincolo negoziale che si assume viziato”[2].
Tuttavia, circa la nullità o inefficacia della ridetta clausola di ripartizione delle spese di lite, la questione è stata portata alla cognizione del giudicante solo in via incidentale.
Orbene, la Corte di Cassazione pronunciandosi sulla decisione del gravame del giudice delle seconde cure ha rilevato una manifesta violazione da parte della Corte di Appello di Brescia dell’art. 33 del Codice del Consumo.
Innanzitutto, la norma in esame prevede che una clausola si intenda vessatoria laddove in un contratto concluso tra professionista e consumatore comportino a carico del consumatore – contrente debole – un significativo squilibrio tra diritti ed obblighi contrattuali.
Al contrario, il contratto concluso tra il professionista – nel caso di specie venditrice costruttrice Beta – ed il consumatore – nel caso di specie singolo acquirente di unità immobiliare – è di regola un contratto di compravendita, quindi saranno applicabili le norme in materia di compravendita.
Ivi è previsto che gli obblighi posti a carico del costruttore venditore siano quelli previsti all’art. 1476 c.c. e cioè, di consegnare la cosa al compratore; fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto, se l’acquisto non è effetto immediato del contratto; di garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa. Parimenti, gli obblighi a carico del compratore sono disciplinati al successivo art. 1498 c.c., che pone a carico dell’avente causa l’obbligo di corresponsione del prezzo.
E’ evidente che dal contratto tra costruttore venditore e acquirente di unità immobiliare, non derivino dalle norme applicabili in materia di compravendita, espressi obblighi di contribuzione alle spese condominiali relative alla gestione delle parti comuni in misura proporzionale al “valore delle restanti unità immobiliari che tuttora gli appartengano; tale obbligo discende, piuttosto, dagli articoli 1118 e 1123 c.c., e può essere oggetto, tuttavia, di “diversa convenzione” ai sensi dell’articolo 1123 c.c., comma 1”.
Precisamente l’art. 1118, comma 1, c.c., prevede espressamente che “il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga altrimenti, è proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene”; e l’art. 1123, c.c., “le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione. Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne. Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità”.
Sicchè è pacifico che entrambe le disposizioni possano essere derogate mediante accordo a firma di tutti i condomini ovvero mediante deliberazione assunta dalla compagine condominiale all’unanimità.
Il ricorso all’autonomia negoziale può essere tale da escludere in maniera totale o parziale per taluno dei condomini la corresponsione delle spese condominiali.
Secondo un orientamento della Corte di legittimità, che seppur risalente è comunque ancora attuale ed applicabile, “l’art. 1123 cod. civ., nel consentire la deroga convenzionale ai criteri di ripartizione legale delle spese condominiali, non pone alcun limite alle parti, con la conseguenza che deve ritenersi legittima non solo una convenzione che ripartisca le spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda l’esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall’obbligo di partecipare alle spese medesime. In tale ultima ipotesi, ove una clausola del regolamento di condominio stabilisca per una determinata categoria di condomini l’esenzione dal concorso in qualsiasi tipo di spesa (comprese quelle di conservazione) in ordine ad una determinata cosa comune, essa comporta il superamento nei riguardi di detta categoria di condomini della presunzione di comproprietà su detta parte del fabbricato”[3].
Ebbene, al contrario di quanto previso in materia societaria, ove in ragione dell’art. 2256 c.c. “è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”, non esiste una norma analoga in materia di condominio negli edifici.
L’esclusione dalla partecipazione alle spese di gestione dei beni comuni, differentemente da quanto erroneamente sostenuto dalla Corte di Appello di Brescia, è espressione della libertà negoziale autonoma e distinta delle parti: “sotto un profilo soggettivo e oggettivo, rispetto al contratto di vendita dell’unità immobiliare intercorsa tra costruttore proprietario originario e singolo condomino acquirente, seppure tale diversa convenzione ex art. 1123 c.c. sia oggetto di espresso richiamo nei titoli di compravendita di ciascun appartamento dell’edificio comune”.
Orbene, una clausola del tipo di quella oggetto di lite può dirsi in violazione dell’art. 33 del Codice del consumo solo in caso di significativo squilibrio degli obblighi e diritti derivanti dalle norme in materia di compravendita ai sensi dell’art. 1476 e 1498 c.c., non “ex se negli obblighi di contribuzione derivanti dagli artt. 1118 e 1123 c.c.”.
Acquistano a tal fine rilievo, come richiamato dalla pronuncia della Cassazione del 2016 n. 16321 – richiamata dalla stessa Corte del gravame – unicamente le clausole del regolamento condominiale predisposte dal costruttore o originario unico proprietario dello stabile, ricollegabili all’esercizio dell’ attività imprenditoriale o professionale esercitate dal medesimo, la quali “valutate alla luce del complessivo programma obbligatorio, secondo i profili del “significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” e della “buona fede”, ai sensi del Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206, articolo 33, comma 1, in rapporto al condomino acquirente dell’unità immobiliare di proprietà esclusiva che rivesta lo status di consumatore, incidano sulla portata della prestazione traslativa di dare dovuta dall’alienante, la quale si estende di regola alle parti comuni, ovvero sul corrispettivo dovuto dal compratore per il bene venduto”.
Al contrario, il regolamento condominiale di natura contrattuale riveste la forma di contratto plurilaterale nel quale parti sono più soggetti giuridici tutti detentori di uno scopo comune “nel quale non si pone quindi un nesso di reciprocità tra le prestazioni o le attribuzioni patrimoniali, né rileva il pericolo di uno squilibrio fra diritti ed obblighi contrapposti”.
Neppure deve trascurarsi la legittimazione relativa spettante al contraente protetto a far valere la nullità di protezione delle clausole vessatorie (art. 36, comma 3 Codice del Consumo), salva la rilevabilità d’ufficio del giudicante, infatti, “la rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve estendersi anche a quelle cosiddette di protezione, da configurarsi, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia, come una “species” del più ampio “genus” rappresentato dalle prime, tutelando le stesse interessi e valori fondamentali – quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost) e l’uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost) – che trascendono quelli del singolo”[4] supponendo comunque un giudizio di cui siano parti in causa il professionista ed il consumatore, ovvero i soggetti contraenti del rapporto di consumo, e nel quale venga in gioco l’esecuzione di quella clausola.
“Secondo Corte di Giustizia UE, Prima Sezione, sentenza 2 aprile 2020, causa C-329/19, invero, la Dir. del Consiglio 5 aprile 1993, n. 93/13/CEE, articolo 1, paragrafo 1, e articolo 2, lettera b), concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un “contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano”, sebbene un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva”.
Orbene la presente causa è instaurata tra il professionista venditore e costruttore Beta S.r.l. ed il Condominio Afra consumatore e non ha ad oggetto il contratto di consumo concluso tra la società Beta S.r.l. ed il Condominio stesso; tuttavia la nullità della clausola vessatoria è stata considerata a vantaggio del Condominio consumatore.
Nella memoria depositata dal Condominio si rilevava che per “la corretta applicazione dell’articolo 33 Codice del Consumo, comma 1, debba prendersi in considerazione l’intero assetto delle obbligazioni derivanti dai singoli contratti di compravendita, siglati tra Beta S.r.l. e gli acquirenti condomini, tra cui, nel caso di specie, l’obbligazione che sorge in capo a quest’ultimi di tenere totalmente ed illimitatamente esente la venditrice dal pagamento delle spese di gestione delle parti comuni in proporzione al valore degli altri immobili condominiali di proprietaria della stessa ricorrente”.
Richiamava altresì l’’art. 34 Codice del consumo, comma 1, nella valutazione della vessatorietà della clausola di cui all’art. 11 del regolamento di condominio “tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende“. Il controricorrente ravvisava tale collegamento tra la clausola 11, comma 6, del regolamento e i diritti e gli obblighi derivanti dai singoli contratti di compravendita delle singole unità immobiliari.
Il ridetto rilievo del Condominio è stato valutato dalla Corte di Cassazione come non lontano “da quanto sinora affermato in motivazione, esse stesse postulano, rispetto alla prima indagine compiuta nella sentenza impugnata, un più complesso accertamento sul merito della vessatorietà della clausola, che non può svolgersi in sede di rinvio”.
Sarebbe necessario, invero, verificare la vessatorietà della dell’art. 11 del regolamento condominiale, che esonera la Beta S.r.l. costruttrice e venditrice dal pagamento delle spese condominiali, valutando non già lo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal solo regolamento condominiale, che non è qualificabile alla stregua di un contratto di consumo; quanto lo squilibrio dell’intero rapporto contrattuale sinallagmatico e dunque della complessiva operazione economica intercorsi tra il singolo acquirente consumatore e il professionista venditore, così operando “l’eventuale accertamento della vessatorietà della clausola nell’ambito del rapporto di consumo “a vantaggio del consumatore” ripercuoterà la sua incidenza sulla validita’ della adesione alla convenzione ex articolo 1123 c.c., comma 1”.
Tutto quanto argomentato, accogliendo il ricorso di Beta s.r.l., la Corte di Cassazione, nel rinviare la decisione alla Corte di Appello di Brescia enunciava il seguente principio di diritto, richiamato in epigrafe.
[1] Cass. Civ. SS.UU. n. 9839/21
[2] Cass. Civ. n. 6656/21
[3] Cass. Civ. n. 5975/04
[4] Cass. Civ. SS.UU n. 26242/2014
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