Realizzazione dell’ipoteca iscritta sull’immobile abusivo del debitore ammesso a liquidazione giudiziale
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. un., 25 aprile 2025, n. 10933, Pres. D’Ascola – Est. Criscuolo
[1] Imposta sui redditi – Imposta reddito società – Vendita – Vendite speciali di immobili – Prova in genere in materia civile – Onere della prova.
Massima: “L’art. 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore non responsabile dell’abuso edilizio e iscritto in data anteriore alla trascrizione dell’atto di accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire, è incostituzionale. La confisca edilizia non può estinguere automaticamente il diritto di ipoteca del creditore non responsabile dell’abuso.”
CASO
[1] La pronuncia in epigrafe, conformandosi alla sentenza di Corte Cost., 3 ottobre 2024, n. 160 (in Riv. esec. forz., 2025, 83 ss., con nota di G.O. Rapisarda, La Corte Costituzionale pone un argine alla confisca urbanistica nel caso in cui sul bene immobile sia stata precedentemente iscritta un’ipoteca) che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 Cost., l’art. 7, comma 3, della l. 28 febbraio 1985, n. 47 (recante “Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie”, e oggi sostituita dal d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, ossia il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”), afferma la sopravvivenza del diritto d’ipoteca vantato dal creditore su un immobile abusivo del debitore, acquisito al patrimonio del Comune ai sensi del citato d.p.r. n. 380/2001.
Scopo del presente commento è analizzare i possibili riflessi prodotti da tale arresto sulla liquidazione giudiziale e sui compiti gravanti sugli organi della procedura.
SOLUZIONE
[1] Preso atto della declaratoria di Corte Cost., 3 ottobre 2024, n. 160, le Sezioni Unite in commento affermano la sopravvivenza della garanzia ipotecaria insistente sul bene confiscato, giudicando erronea, nel caso sottoposto, la decisione del giudice di merito che aveva dichiarato l’improseguibilità dell’azione esecutiva promossa sul bene confiscato da parte del titolare dell’ipoteca.
A parte ciò, e per quanto particolarmente interessa ai fini del presente commento, le Sezioni Unite si sono premurate di definire una serie di principi è tenuto ad adeguarsi il giudice dell’esecuzione, di cui passeremo a valutare la tenuta in sede concorsuale: a) anzitutto, la confisca edilizia non frappone ostacoli alla esperibilità della vendita forzata nei confronti del Comune che abbia acquisito l’immobile, l’area di sedime e quella circostante, ex art. 7, comma 3, della l. n. 47/1985, e ciò in quanto il Comune va considerato a tutti gli effetti quale terzo acquirente del bene ipotecato, ai sensi degli artt. 2858 ss. c.c.; b) i beni confiscati sono acquisiti al patrimonio disponibile dell’Ente, a meno che non risulti integrata l’ipotesi, divenuta eccezionale, del mantenimento dell’opera per prevalenti interessi pubblici, ai sensi dell’art. 7, comma 5, della l. n. 47/1985, e ciò in considerazione di quanto disposto dall’art. 826 c.c., secondo cui appartengono al patrimonio indisponibile solo i beni di enti pubblici «destinati ad un pubblico servizio» (e ciò al ricorrere del doppio requisito – soggettivo e oggettivo – della manifestazione di volontà dell’Ente titolare del diritto reale pubblico di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio ); conseguentemente, la prima verifica che si impone come doverosa al giudice di rinvio sarà quella di riscontrare se nelle more non sia intervenuta una manifestazione di volontà dell’Ente dichiarativa, ai sensi dell’art. 7, comma 5 della l. n. 47/1985 (ovvero dell’art. 31, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001), dell’esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento dell’immobile (eventualità in cui il diritto d’ipoteca è destinato a estinguersi, atteso che tale scelta impone un vincolo di destinazione al bene acquisito dal Comune, che finisce per attrarlo nel patrimonio indisponibile dell’Ente); c) laddove il bene risulti ancora facente parte del patrimonio disponibile del Comune, sarà possibile procedere nei confronti di tale Ente (quale terzo acquirente) ai sensi dell’art. 602 c.p.c.; d) l’aggiudicatario, qualora l’immobile si trovi nelle condizioni di cui all’art. 13 della l. n. 47/1985 – vale a dire qualora presenti la cosiddetta doppia conformità – dovrà presentare domanda di concessione in sanatoria entro 120 giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria; parimenti, qualora l’immobile sia condonabile, in quanto rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al Capo IV della l. n. 47/1985 e sia oggetto di un trasferimento derivante da procedure esecutive, «la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall’atto di trasferimento dell’immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all’entrata in vigore della medesima legge»; e) laddove, invece, non ricorrano i presupposti per ottenere la sanatoria dell’immobile o non trovino applicazione eventuali condoni, da un lato, il carattere abusivo e non sanabile dell’immobile deve risultare dall’avviso di vendita e, da un altro, il bene sarà trasferito all’aggiudicatario unitamente all’obbligazione propter rem di provvedere alla demolizione, con tutte le conseguenze che ne derivano in caso di inottemperanza.
QUESTIONI
[1] I principi appena illustrati, sebbene pronunciati in materia di esecuzioni forzate ordinarie, sono senz’altro idonei a esplicare la propria rilevanza anche in materia concorsuale, quando si tratti, all’interno della procedura di liquidazione giudiziale, di realizzare un’ipoteca giudiziale insistente su un immobile abusivo.
A tale riguardo, però, è necessario distinguere due diversi scenari: quello in cui l’immobile abusivo risulti ancora di proprietà del debitore ammesso a liquidazione giudiziale – eventualità in cui, appartenendo il bene alla massa, la relativa liquidazione non potrà che avvenire, seppur con i dovuti accorgimenti, all’interno della procedura -; e quello, all’opposto, più strettamente considerato dalla pronuncia delle Sezioni Unite, in cui cioè l’immobile, trovandosi nelle condizioni descritte (oggi) dall’art. 31, comma 3, del d.p.r. n. 380/2001, sia già stato acquisito di diritto e gratuitamente al patrimonio del Comune a seguito dell’inottemperanza all’ordine di demolizione dello stesso – eventualità in cui, come verrà subito illustrato, la liquidazione del bene non potrà essere condotta dal curatore all’interno della liquidazione giudiziale.
In relazione a entrambe le eventualità suddette, deve essere preliminarmente ricordato come, nel nostro ordinamento, non sia vietata la vendita forzata (all’esito di procedura esecutiva individuale o concorsuale) di un immobile abusivo: ciò che si desume dall’art. 46 del d.p.r. n. 380/2001, il quale, dopo aver sancito che «Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria», al successivo comma 5 salva dalla nullità predetta «gli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali», fermo l’onere per l’aggiudicatario, qualora l’immobile si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, di presentare la relativa domanda entro centoventi giorni dalla notifica del decreto di trasferimento (sul tema, G. Giusti, La vendita coattiva degli immobili abusivi, in Giur. merito, 2006, 1679 ss.; A. Luminoso, Il trasferimento coattivo di immobili abusivi nella esecuzione forzata, in Diritto privato, Padova, 1995, passim; relativamente a tale normativa, è utile ricordare anche l’arresto di Cass. civ., sez. un., 7 ottobre 2019, n. 25021, in Fallimento, 2020, 489 ss., adesivamente annotata da L. Baccaglini, Comunione ereditaria, immobile abusivo e domanda di divisione proposta dal curatore: via libera delle Sezioni Unite).
Assodata, dunque, la possibilità di assoggettare ad esecuzione (anche concorsuale) l’immobile abusi-vo, l’iter procedurale da seguire per la corretta realizzazione del diritto reale di garanzia si arricchisce, sul versante pratico, di alcune accortezze che è bene porre in evidenza, anche allo scopo di integrare quei principi che le Sezioni Unite hanno dettato al giudice dell’esecuzione, e che parimenti è doveroso adeguare al caso di specie.
Muovendo dalla prima delle ipotesi tratteggiate – in cui, cioè, l’immobile abusivo risulti tuttora di proprietà del debitore assoggettato a liquidazione giudiziale e, dunque, rientri tra i beni compresi nella procedura -, la liquidazione del bene, e la connessa realizzazione del diritto d’ipoteca vantato dal creditore ammesso al passivo non potranno che avvenire all’interno della procedura medesima, ossia nelle forme della liquidazione dell’attivo di cui agli artt. 213 ss. CCII, stante il divieto di azioni esecutive individuali su beni compresi nella procedura posto dall’art. 150 CCII ; solo nell’eventualità in cui, alla data di apertura della liquidazione giudiziale, fosse già pendente la procedura espropriativa immobiliare avviata dal creditore ipotecario nei confronti del debitore ancora in bonis, il curatore sarà chiamato, all’interno del programma di liquidazione, e all’esito di una valutazione di convenienza, a esercitare la scelta tra il subingresso o la rinuncia alla medesima (con conseguente dichiarazione d’improcedibilità dell’esecuzione individuale pendente).
La liquidazione dell’immobile abusivo all’interno della liquidazione giudiziale richiederà anzitutto al curatore, in sede di redazione del programma di liquidazione, di indicare, ai sensi dell’art. 213, comma 4, CCII, la modalità di cessione dell’immobile abusivo: alternativamente, secondo modalità competitive ovvero tramite giudice delegato, nelle forme del c.p.c.
Affinché la vendita dell’immobile possa avvenire nel rispetto dei principi di competitività immanenti al nostro ordinamento, lo stesso dovrà poi essere assoggettato a stima da parte di un soggetto esperto, che ne determinerà un congruo prezzo di vendita nella relazione redatta ex art. 173-bis disp. att. c.p.c. (richiamato, come noto, dall’art. 216, comma 1, CCII). Per la valutazione dell’immobile abusivo occorre tenere presente come lo stesso rappresenti un valore economico essenzialmente di uso (e non di mercato), che lo rende appetibile nella valutazione della possibilità di goderne sino alla demolizione e all’acquisizione dell’area di sedime da parte del Comune. Il valore di uso dovrebbe essere rapportato al tempo intercorrente tra il momento della stima e quello della demolizione, circostanza, però, non conoscibile a priori: per questo motivo, occorre riportarsi a criteri intermedi fondati sulla media tra il valore del terreno (o della parte di costruzione non abusiva) e il valore che avrebbe la costruzione (o la parte irregolare di costruzione) qualora fosse regolare; viceversa, nel caso in cui ci sia un ordine di demolizione in corso di esecuzione, non si terrà conto della valutazione dell’immobile (o della parte dell’immobile) abusivo, e si valuteranno invece le presumibili spese di demolizione (in tal senso, G. Giusti, op. cit., 1684 ss.).
Determinato il prezzo di vendita – ed è qui che s’inserisce una delle peculiarità più interessanti della vendita in esame -, nella stesura dell’avviso di vendita il curatore dovrà premurarsi di dare evidenza dell’esistenza dell’abuso che insiste sull’immobile, specificando il costo da sostenere per la sua sanatoria, laddove ammissibile, e il conseguente effettivo valore del bene, in ossequio all’art. 173-quater disp. att. c.p.c. Laddove, infatti, l’avviso di vendita sia privo di tale indicazione, la vendita successivamente perfezionata potrebbe integrare gli estremi dell’aliud pro alio denunciabile da parte dell’aggiudicatario per mezzo dei rimedi endoconcorsuali, e dunque: in caso di opzione per il modello della vendita competitiva, tramite reclamo ex art. 133 CCII; in caso di vendita effettuata dal giudice delegato secondo le norme del c.p.c., tramite reclamo ex art. 124 CCII (in argomento, L. Baccaglini, op. cit., 498 ss.; C. Trentini, Vendita fallimentare, aliud pro alio e rimedi a favore dell’acquirente, in Fallimento, 2016, 56 ss.).
Laddove la vendita forzata si concluda regolarmente e senza patologie di sorta, la condotta imposta all’aggiudicatario all’esito della vendita effettuata ex art. 216 CCII varierà a seconda che sia possibile o meno procedere a sanatoria dell’immobile abusivo acquistato.
Nella prima eventualità, infatti, l’aggiudicatario, come previsto dall’art. 46 del d.p.r. n. 380/2001, dovrà presentare domanda di concessione in sanatoria entro 120 giorni dalla notifica del decreto di trasferimento. In caso contrario – e, dunque, laddove non ricorrano i presupposti per ottenere la sanatoria dell’immobile o non trovino applicazione eventuali condoni -, risulterà gravato dell’obbligazione propter rem di provvedere alla demolizione del fabbricato abusivo, con tutte le conseguenze previste ex lege in caso di inottemperanza.
La seconda delle ipotesi delineate – quella direttamente considerata dalle Sezioni Unite in epigrafe -, considera invece l’eventualità in cui il creditore vanti ipoteca giudiziale su un bene immobile del debitore assoggettato a liquidazione giudiziale, già transitato al patrimonio del Comune, in applicazione della disciplina posta dall’art. 31, comma 3, del d.p.r. n. 380/2001. Applicando i principi espressi da Corte cost., n. 160/2024, e dalle Sezioni Unite in esame, sappiamo che, in un’eventualità siffatta, il diritto d’ipoteca del creditore – a differenza di quanto si riteneva in passato – non si estingue senz’altro, ben potendo, seppur a determinate condizioni, sopravvivere.
All’interno di tale fattispecie è poi possibile distinguere, se si vuole, due possibili eventualità – ancor-ché, come si vedrà, le stesse paiono poi destinate a ricevere un identico trattamento giuridico. La prima è quella in cui, successivamente all’avvenuta iscrizione di ipoteca giudiziale su un bene del debitore, si apra la procedura di liquidazione giudiziale a carico di quest’ultimo, e solo in un momento successivo venga trascritto il provvedimento di acquisizione gratuita di tale bene al patrimonio del Comune. La seconda, viceversa, è data dall’eventualità in cui la trascrizione del provvedimento di acquisizione gratuita del bene gravato da ipoteca al patrimonio del Comune preceda l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del debitore. Dal punto di vista che ci occupa, le due ipotesi delineate non sembrano invero discostarsi, salva la necessità di precisare, con riguardo alla prima, che la trascrizione del provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio del Comune (e, dunque, l’acquisto del bene in capo a tale Ente), ancorché successiva all’apertura della procedura, dovrebbe ritenersi opponibile alla stessa – e, dunque, idonea a determinare l’uscita dell’immobile abusivo dal patrimonio della procedura -, in considerazione dei superiori interessi pubblicistici perseguiti da tale normativa.
In ogni caso, il dato che qui assume preminente e dirimente rilievo è integrato da ciò, che il bene immobile gravato da ipoteca non appartiene più al patrimonio della procedura: di talché, da un lato, la relativa liquidazione non potrà certo avvenire ad opera del curatore, all’interno della fase di liquidazione dell’attivo; e, dall’altro, l’esperibilità in via ordinaria dell’azione esecutiva da parte del creditore ipoteca-rio non risulterà impedita dal già richiamato divieto di cui all’art. 150 CCII, il quale, come noto, ha espresso riferimento ai “beni compresi nella procedura”.
Ne discende, in definitiva, che la realizzazione del diritto d’ipoteca vantato sull’immobile abusivo, acquisito al patrimonio comunale, non potrà che avvenire in sede di esecuzione forzata ordinaria, nelle forme della espropriazione contro il terzo proprietario di cui agli artt. 602 ss. c.p.c. Come chiarito dalla setenza in epigrafe, infatti, l’intervenuta confisca edilizia non impedisce l’esperibilità della vendita forzata nei confronti del Comune (da considerare a tutti gli effetti quale terzo acquirente del bene ipotecato, ai sensi degli artt. 2858 ss. c.c.), che abbia acquisito l’immobile, l’area di sedime e quella circostante ai sensi dell’art. 31 del d.p.r. n. 380/2001. E anche in tal caso sarà naturalmente necessario attuare quella serie di accorgimenti già visti illustrando le modalità di liquidazione dell’immobile abusivo in sede di liquidazione giudiziale, e riguardanti: le modalità di stima del bene; le modalità di redazione dell’avviso di vendita, il quale, laddove non dovesse dare evidenza della sussistenza dell’abuso edilizio, darebbe luogo a una vendita inficiata da aliud pro alio, denunciabile per mezzo di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.; gli oneri nascenti in capo all’aggiudicatario circa la sanabilità dell’abuso.
L’unica verifica aggiuntiva, del tutto preliminare, che s’impone agli organi della procedura (giudice dell’esecuzione in primis, ma anche ufficiale giudiziario, in sede di effettuazione del pignoramento) riguarda però il riscontro dell’intervenuta manifestazione di volontà, da parte del Comune, dichiarativa dell’esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento dell’immobile ai sensi dell’art. 31, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001: in tale eventualità, infatti, come chiarito dalle Sezioni Unite in commento, il diritto d’ipoteca vantato dal creditore sull’immobile è destinato a estinguersi in conseguenza del vincolo di destinazione apposto sul bene acquisito dal Comune, che finisce per attrarlo nel patrimonio indisponibile dell’Ente, con conseguente e definitiva inammissibilità e/o improcedibilità di qualsiasi iniziativa esecutiva esperibile nei confronti dello stesso. Dunque, solo laddove agli organi dell’esecuzione individuale non consti siffatta manifestazione di volontà – e, così, l’immobile acquisito dal Comune rimanga nel patrimonio disponibile dell’Ente -, sarà possibile realizzare, in sede ordinaria, il diritto d’ipoteca vantato dal creditore.
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