25 Novembre 2025

I presupposti per la personalizzazione del danno non patrimoniale

di Daniele Calcaterra, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., 3 ottobre 2025, n. 26675, Ord., G. Relatore Dott. G. Positano

Danno non patrimoniale – Personalizzazione –  Presupposti e limiti – (art. 2059 c.c.)

Massima: “La quantificazione del danno non patrimoniale consente un aumento a titolo di personalizzazione solo ove si verifichino conseguenze anomale o del tutto peculiari, diverse da quelle ordinariamente derivanti in casi simili o per categorie simili di danneggiati, restando quindi esclusa qualsiasi forma di automatismo”.

CASO

Tizio e Mevia, quali esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore Tizietto, citavano in giudizio Caio e la di lui compagnia assicurativa per ottenere il risarcimento dei danni subiti dal minore, in conseguenza dell’incidente causato da Caio mentre era alla guida della propria autovettura.

Il tribunale adito, accertata la responsabilità di Caio, accoglieva la domanda degli attori. La Corte d’appello, adita dalla compagnia assicurativa, confermava la sentenza di primo grado.

La compagnia assicurativa ricorre quindi in Cassazione perché a suo dire la sentenza di merito sarebbe errata nella parte in ci ha ritenuto di avallare la personalizzazione del danno priva di una specifica motivazione, riconosciuta in aggiunta ad un danno morale già autonomamente liquidato dal primo Giudice.

SOLUZIONE

La Cassazione accoglie il ricorso.

QUESTIONI

Il tema centrale affrontato dalla Corte, per quello che ci interessa, attiene alla personalizzazione del danno alla persona e in particolare ai criteri e ai presupposti affinché si arrivi al riconoscimento della stessa.

La liquidazione del danno alla persona infatti, da un lato, deve garantire uniformità di trattamento e parità di conseguenze, ma, dall’altro, deve garantire che di eventuali peculiarità del caso concreto si tenga adeguatamente conto nella monetizzazione del risarcimento. Non esistono cioè due individui assolutamente identici ed è quindi evidente che una lesione con esiti permanenti produrrà effetti diversi da individuo a individuo, a seconda del genere di vita condotto prima del sinistro.

Se lo strumento rivelatosi più adeguato per soddisfare la prima esigenza è la predisposizione di criteri standard per la liquidazione, la seconda esigenza invece viene soddisfatta attraverso la cosiddetta personalizzazione del risarcimento e cioè la variazione in aumento o in diminuzione dell’importo risultante dall’applicazione del criterio standard.

Affinché il risarcimento del danno alla salute sia il più equo possibile, occorre quindi tenere conto della quantità e della qualità delle rinunce cui la lesione e i suoi postumi hanno costretto il danneggiato.

La corretta personalizzazione del risarcimento deve allora considerare che:

  1. il danno alla persona è un danno disfunzionale: occorre tenere conto cioè delle attività svolte dal danneggiato prima del sinistro e che non posso più esserlo a causa delle lesioni ovvero non possono più essere svolte con la stessa frequenza e intensità;
  2. un individuo può praticare due tipi di attività: attività necessariamente svolte da tutti gli esseri umani (mangiare, camminare, ecc.) e attività che non sono comuni a tutti, ma sono praticate dal singolo individuo (una determinata pratica sportiva o un determinato impegno politico sociale);
  3. le perdite e le rinunce causate dal danno devono riguardare attività che il danneggiato svolgeva in modo non saltuario e che costituivano per lui fonte di soddisfazione e gratificazione (se, ad esempio, il danneggiato andava a sciare una volta all’anno per pochi giorni, non potrebbe pretendere una personalizzazione del risarcimento a causa della perduta possibilità di sciare per colpa altrui, perché il tempo e le energie dedicate all’attività perduta sarebbero del tutto trascurabili);
  4. deve trattarsi di una perdita che ha subito quella persona a causa di quella invalidità e non di una conseguenza che inevitabilmente patirebbero tutte le persone per lo stesso tipo di invalidità (ad esempio, la cecità assoluta comporta necessariamente la perduta possibilità di vedere film o partite di calcio, per cui chi patisse tale infermità non potrebbe pretendere una personalizzazione del risarcimento per tenere conto della perduta possibilità di vedere il film o le partite di calcio, perché questa conseguenza è necessariamente ricompresa nella misura dell’invalidità permanente).

Possiamo dunque affermare che la liquidazione del danno alla salute deve sempre partire dall’applicazione dei criteri standard attraverso i quali si risarcisce la perdita o la compromissione delle attività ordinarie, che sono uguali per tutti. Dove poi sia allegato e dimostrato che la lesione ha causato non soltanto una compromissione delle ordinarie attività esistenziali, ma anche la compromissione o la soppressione di attività extralavorative particolari o comunque non comuni rispetto all’ordinario, di ciò dovrà tenersi conto aumentando l’entità del risarcimento (all’opposto, ove fosse dimostrato che nel singolo specifico caso i postumi hanno provocato conseguenze meno gravi rispetto all’ordinario, si dovrà procedere ad una riduzione del risarcimento standard).

Occorre sottolineare a questo punto – ed è questo il tema centrale della sentenza in commento – che, affinché il risarcimento venga personalizzato, è necessario che il danneggiato alleghi e dimostri quale fosse effettivamente il concreto tipo di vita condotto prima del sinistro e come questo tenore di vita si sia modificato per effetto dei postumi.

Sul piano dell’allegazione è necessario che il danneggiato descriva quante e di che tipo siano state le conseguenze negative del fatto illecito (ad esempio se il danneggiato ha patito l’accorciamento dell’arto inferiore ed è perciò costretto a zoppicare, l’onere di allegazione sarà adempiuto sostenendo che la zoppia impedisce la prosecuzione di una determinata attività sportiva).

Sul piano della prova, è necessario invece dimostrare la perdita causata dalle lesioni e quindi ad esempio che la vittima ha dovuto rinunciare a una parte o tutte le relazioni sociali, tranne quelli che rientrano nella comune esperienza (così, ad esempio, chi ha subito l’accorciamento di un arto, non dovrà dimostrare che quando passeggia è costretto a zoppicare, perché tale circostanza costituisce una conseguenza normale di quel tipo di lesione, che il giudice può porre a fondamento della propria decisione anche in assenza di una prova storica e solo sulla base di una presunzione semplice).

Ciò chiarito, si può comprendere allora il motivo che ha indotto la Corte ad accogliere il ricorso presentato dalla compagnia assicurativa.

Nel caso di specie, il giudice del merito aveva erroneamente dato ingresso a una personalizzazione del danno, in aggiunta ad un danno morale già autonomamente liquidato, senza addurre una specifica motivazione.

Osserva allora il Collegio che per pretendere la maggiorazione e la personalizzazione della misura standard del risarcimento non è sufficiente allegare che i postumi hanno inciso sulla vita quotidiana della vittima: questo tipo di pregiudizio è conseguenza infatti che si verifica in tutti i sinistri dai quali esiti un danno permanente alla persona, già compensato dalla semplice monetizzazione del grado di invalidità permanente. È necessario, invece, allegare e provare che i postumi hanno inciso sulla vita quotidiana della vittima in misura differente e maggiore rispetto a tutte le altre persone della stessa età e dello stesso sesso, che abbiano sofferto postumi di identica misura.

Il principio si inserisce in un indirizzo consolidato, espresso anche nella sentenza n. 14364 del 29.05.2019 della S.C., secondo cui la personalizzazione in aumento del danno non patrimoniale non costituisce mai un automatismo, ma richiede appunto l’ individuazione – da parte del giudice – di specifiche circostanze peculiari al caso concreto, che valgano a superare le conseguenze ordinarie già compensate dalla liquidazione forfettizzata tabellare. Pertanto, le conseguenze dannose “comuni” – ossia quelle che qualunque danneggiato con la medesima invalidità patirebbe – non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

Da qui discende l’erroneità della sentenza impugnata e la sua cassazione, con rinvio alla Corte d’Appello competente.

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