24 Giugno 2025

Opposizione allo stato passivo: esclusione dei compensi del professionista per l’accesso alla procedura di concordato

di Chiara Zamboni, Assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Ferrara Scarica in PDF

Trib. Ferrara, sez. civile, 13 febbraio 2025 – Est. Cocca – Pres. Martinelli

Parole chiave

Liquidazione giudiziale – concordato preventivo – opposizione stato passivo – credito professionista – eccezione d’inadempimento.

Massima: “Nel valutare l’ammissibilità allo stato passivo dei compensi del professionista richiesti per la predisposizione e la presentazione della domanda concordataria, bisogna verificare se la prestazione, espletata anteriormente e posteriormente alla domanda concordataria, sia stata coerente con le finalità proprie della procedura, contribuendo alla conservazione o all’incremento dei valori aziendali dell’impresa. L’ammissione del concordato non prova ipso iure l’adempimento, che va parametrato alla prova, da parte del professionista, di aver contribuito alla redazione di una proposta avente caratteristiche tali da assolvere al suo scopo istituzionale, ossia permettere ai creditori di esprimersi sulla proposta stessa”.

Riferimenti normativi

Art. 201 CCII – art. 206 CCII– art. 2751 bis n. 2 c.c. – art. 1218 c.c. – art. 1176 c.c.

CASO E QUESTIONI RILEVANTI

La pronuncia del Tribunale di Ferrara in commento risulta di particolare interesse poiché consente di fare il punto sugli orientamenti giurisprudenziali che si sono formati circa l’ammissibilità allo stato passivo dei crediti del professionista per l’attività espletata a favore della società, poi sottoposta a liquidazione giudiziale.

In particolare, la pronuncia esamina in maniera analitica l’ammissibilità dei compensi chiesti dal professionista: 1) per l’accesso alla procedura di concordato; 2) per l’assistenza nei giudizi penali cui è stata parte la società cliente; 3) per l’assistenza nei giudizi conseguenti alla dichiarazione di inammissibilità del concordato preventivo; 4) per l’accesso alla composizione negoziata.

Un breve riepilogo delle vicende che hanno preceduto l’apertura della liquidazione giudiziale della società, da cui è scaturita l’opposizione ex art. 206 CCII risolta con il decreto in esame, risulta utile per meglio comprendere le domande presentate dal professionista.

Nel 2017, la società-cliente (di seguito, per chiarezza espositiva, denominata “Cliente s.p.a.”), attiva nel settore della siderurgia, aveva concluso con una società immobiliare un contratto di rent to buy (contratto di locazione e promessa in vendita) avente ad oggetto l’immobile poi adibito a stabilimento. Tale contratto era destinato a venire a scadenza con l’integrale pagamento delle rate nel 2026.

Nel 2023, la Cliente s.p.a., trovandosi in una crisi economico-finanziaria, ha avviato un’attività volta all’elaborazione di una proposta concordataria.

Nell’imminenza della presentazione della domanda di concordato preventivo, la Cliente s.p.a. ha stipulato con una società terza un contratto di affitto di ramo d’azienda, con proposta irrevocabile d’acquisto condizionata all’omologa del concordato per 2.800.000 Euro e cessione delle scorte di magazzino nel contesto di un separato contratto estimatorio. Quasi contestualmente, la società immobiliare proprietaria dello stabilimento ha concesso in locazione alla società terza (conduttrice) per sei anni l’immobile già oggetto di rent to buy.

La domanda di concordato preventivo è stata rinunciata allo scadere dei 120 giorni concessi dal Tribunale ed è stato, a stretto giro, riproposto un nuovo ricorso per l’ammissione al concordato preventivo in continuità indiretta ex artt. 40 e 84 CCII.

Il Tribunale, chiesti chiarimenti sul contenuto del ricorso per l’apertura della nuova procedura, ha dichiarato l’inammissibilità della proposta concordataria ex art. 47 co. 1 lett. b CCII e, poco dopo, ha dichiarato l’apertura della liquidazione giudiziale su istanza del P.M.

La Cliente s.p.a. ha proposto reclamo davanti alla Corte d’Appello, avverso il provvedimento che ha negato l’apertura del concordato preventivo ed il provvedimento di apertura della liquidazione giudiziale.

La Corte d’Appello ha accolto i reclami ed il Tribunale di Ferrara ha dichiarato l’apertura del concordato preventivo della Cliente s.p.a.

Contestualmente, la società terza (affittuaria) è entrata in composizione negoziata chiedendo la concessione delle misure protettive ex art. 18 CCII e la Cliente s.p.a. si è costituita in giudizio.

I Commissari Giudiziali, nella relazione ex art. 106 co. 2 CCII hanno chiesto la revoca del concordato ed il P.M. ha presentato il ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale. Domande accolte dal Tribunale di Ferrara che ha, così, aperto la liquidazione giudiziale della Cliente s.p.a.

Così ricostruito, se pur brevemente, lo sviluppo diacronico della vicenda che ha portato all’apertura della liquidazione giudiziale della Cliente s.p.a., dal cui stato passivo ha tratto origine il decreto in esame, è opportuno passare al vaglio dei singoli crediti del professionista che ha assistito la società debitrice e di cui è stata chiesta l’ammissione allo stato passivo.

Il professionista che ha assistito la Cliente s.p.a. in L.G. ha proposto una domanda di ammissione allo stato passivo per un credito totale di Euro 757.684,54 così composto:

– euro 568.263,41 in via prededucibile (pari al 75% del totale) ai sensi e per gli effetti dell’art. 6 C.C.I.I. quale “credito sorto in funzione e/o successivamente alla domanda di ammissione alla procedura di concordato” ed altresì, ferma la natura prededucibile del credito, in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751 bis n. 2 c.c., tutto oltre interessi legali maturati e maturandi sino all’effettivo pagamento, di cui Euro 389.456,25 a titolo di onorari, Euro 58.418,44 per spese generali, Euro 17.914,99 per contributo alla cassa professionale al 4%, Euro 102.473,73 per iva nella misura di legge;

– euro 189.421,13 in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751 bis n. 2 c.c. per le prestazioni professionali svolte nell’ultimo biennio, oltre interessi legali maturati e maturandi parimenti in via privilegiata dell’art. 2751 bis n. 2 c. c., sino al deposito del progetto di riparto in cui il credito sarà, anche solo in parte, soddisfatto, di cui Euro 129.818,75 a titolo di onorari, Euro 19.472,81 per spese generali al 15%, Euro 5.971,66 per contributo alla cassa professionale al 4%, Euro 34.157,91 per iva nella misura di legge.

Il credito del professionista è stato ammesso allo stato passivo per Euro 80.480,04 così riconosciuti:

– euro 20.151,08 in prededuzione privilegiata ex art. 2751 bis n. 2 c.c.;

– euro 3.022,66 in prededuzione chirografaria;

– euro 11.107,08 in privilegio ex art. 2751 bis n.2 c.c.;

– euro 1.666,06 in chirografo;
– euro 38.724,49 in privilegio ex art. 2751 bis n.2 c.c. con riserva ex art.204 c.2 lett. a) C.C.I.I. e per euro 5.808,67 in chirografo con riserva ex art.204 c.2 lett. a) C.C.I.I.;

sono stati ammessi interessi legali ai sensi dell’art. 153 C.C.I.I. sul credito privilegiato.

Il credito è stato escluso per l’importo complessivo di euro 677.205,23, in parte quale effetto della rideterminazione del compenso in relazione ad attività il cui espletamento da parte del difensore è stato riconosciuto e in parte quale conseguenza dell’esclusione in ragione dell’eccezione d’inadempimento formulata dalla curatela.

L’eccezione di inadempimento.

Il Collegio ha iniziato l’analisi dell’opposizione allo stato passivo partendo proprio dai crediti esclusi e dall’eccezione di inadempimento formulata dalla Curatela.

La Curatela ha escluso l’ammissione del credito in relazione all’attività di assistenza e rappresentanza finalizzata all’accesso della società alla procedura di concordato preventivo in continuità indiretta sulla scorta di due motivi: 1) l’assenza di data certa nel contratto con cui è stato pattuito il compenso; 2) l’eccezione di inadempimento, dal momento che la proposta formulata ed il piano erano sprovvisti dei presupposti per la loro sottoposizione al voto dei creditori.

L’eccezione di inadempimento è stata formulata dalla Curatela poiché la revoca del concordato non è stata ritenuta essere giustificata da circostanze sopravvenute ma dalla mancanza ab origine di un esame delle questioni ponderato e caratterizzato dalla necessaria diligenza professionale.

Il Collegio ha colto l’occasione per ribadire che, in via generale, a fronte dell’eccezione del curatore di non corretta esecuzione della prestazione, è il professionista che fa valere i propri crediti per l’attività di assistenza prestata per la redazione di un piano di concordato preventivo in continuità aziendale che ha l’onere di dimostrare l’esattezza del proprio adempimento o l’imputazione della negativa evoluzione della procedura concorsuale a fattori esogeni imprevisti ed imprevedibili.

Nel fare ciò, il Collegio ha richiamato una famosa pronuncia delle Sezioni Unite (cfr. SS.UU. 31.12.2021, n. 42093) in cui la Suprema Corte ha chiarito che il Curatore è legittimato a eccepire, ex artt. 1218 e 1460 c.c., il fatto che il professionista (prestatore d’opera intellettuale) ha causalmente contribuito alla predisposizione di un concordato privo della sua causa in concreto (il superamento dello stato di crisi) causando l’interruzione del nesso funzionale tra prestazione e procedura. Interruzione che giustifica la mancata ammissione, totale o parziale, del credito per compensi.

Con riferimento all’onere della prova, la Suprema Corte ha precisato che sul Curatore grava l’onere di provare l’esistenza del titolo negoziale, contestando la non corretta esecuzione della prestazione; di contro, sul professionista ricade l’onere di dimostrare l’esattezza del proprio adempimento o l’imputazione della cessazione anticipata della procedura a fattori estranei alla sua sfera di condotta.

Per compiutezza, si evidenzia che il Collegio ha concordato con il professionista circa la natura di obbligazione di mezzi delle obbligazioni inerenti all’attività professionale (obbligazioni che non possono essere qualificate come obbligazioni di risultato), ma ha compiuto un passo ulteriore nell’analisi chiarendo che l’attività del professionista deve, in ogni caso, essere idonea a raggiungere il risultato prefissato.

La mera ammissione alla procedura concordato preventivo non è sufficiente a provare l’idoneità dell’attività del professionista e l’esatto adempimento, ma è necessario verificare in concreto se l’attività espletata (anteriormente o posteriormente alla domanda concordataria) sia strumentale alla procedura scelta e se abbia contribuito alla conservazione o all’incremento dei valori aziendali della società.

Si dovrà valutare, pertanto, se la proposta concordataria redatta dal professionista sia idonea a permettere ai creditori di esprimersi sulla stessa.

Nel caso sottoposto all’esame del Collegio, il professionista ha presentato una proposta di concordato inidonea ad essere sottoposta al voto dei creditori. Una simile carenza del piano ha natura strutturale e si traduce in un inadempimento degli obblighi di diligenza del professionista. Ne deriva, quale conseguenza, la risoluzione del contratto di prestazione d’opera intellettuale e l’esclusione del credito dallo stato passivo.

In un passaggio interessante delle motivazioni del decreto in esame, il Collegio ha ricordato che l’obbligo informativo che ha il professionista nei confronti del cliente riguarda anche i rischi e le eventuali chance di successo o insuccesso della procedura di cui si discute. Pertanto, l’obbligo implica la valutazione di tutti gli elementi utili per una scelta consapevole dello strumento, compreso il vaglio circa la c.d. “ritualità della proposta” intesa quale legittimità sostanziale. Tale tesi, risponde alla ratio di pervenire ad un’esatta quantificazione del concordato proposto, fornendo ai creditori le informazioni necessarie per decidere che voto esprimere.

Sul punto, preme altresì evidenziare che la prevalente giurisprudenza di merito reputa che il vaglio debba riguardare anche la sussistenza dei requisiti fondamentali di accesso alla procedura di concordato.

Esula certamente dall’analisi offerta in questa sede, l’esame in dettaglio dell’attività posta in essere dal professionista per il quale si rimanda alla lettura del decreto.

Tuttavia, per completezza, pare opportuno ricordare che tra le carenze imputate al professionista, rilevano: 1) il non aver individuato soluzioni idonee a garantire la fattibilità del piano (i.e. rilascio di garanzie da parte dell’affittuaria); 2) l’errata gestione della locazione dell’immobile che rendeva impossibile l’applicazione della regola della competitività in relazione alla cessione d’azienda; 3) l’incompleta formazione delle classi dei creditori per come disciplinate dall’art. 85 CCII; 4) l’errato trattamento dei crediti tributari in contrasto con quanto disposto dall’art. 88 CCII (in particolare, per l’assenza di indicazione dei crediti contestati); 5) l’omessa previsione di un fondo rischi e di un accantonamento ex art. 90 D.P.R. 602/1973 (obbligatorio); 6) carenza di informazioni obbligatorie ex art. 87 c. 1 CCII (i.e. causale di pagamenti prededucibili, indicazione del valore di liquidazione in ipotesi di L.G., indicazione delle azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili, ecc.).

Il Collegio, conclude accogliendo l’eccezione di inadempimento della Curatela e dichiarando la risoluzione del contratto di prestazione d’opera, con la conseguente esclusione dei crediti per compenso del professionista chiesti per l’assistenza finalizzata all’accesso alla procedura di concordato preventivo.

Una volta concluso l’esame delle ragioni che hanno portato all’esclusione dei crediti dallo stato passivo, il Collegio ha analizzato i profili contestati con riguardo ai compensi riconosciuti.

Il professionista ha affermato che tutti i crediti oggetto della domanda di ammissione al passivo sono sorti in virtù dello svolgimento di attività professionale funzionale/strumentale alla presentazione della domanda di concordato o successivamente alla presentazione. Per tale motivo, ha chiesto la collocazione in prededuzione nei limiti del 75% ai sensi dell’art. 6 CCII.

Sul punto, il Collego ha richiamato una recente ordinanza della Suprema Corte con la quale è stato chiarito che per riconoscere la prededucibilità del compenso del professionista bisogna guardare al rapporto funzionale tra l’attività svolta e la procedura e, pertanto, alla funzionalità della prestazione alla conservazione e all’incremento dei valori aziendali (cfr. Cass. Sez. I, ord., 2.1.2024, n. 4).

Nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto di non riconoscere la prededucibilità per una serie di prestazioni professionali che non sono apparsi essere connotati dal requisito della funzionalità dal momento che non avevano avuto alcun impatto sulla conservazione e l’incremento dei valori aziendali.

Un’ultima riflessione in questa sede riguarda il passaggio motivazionale circa la collocazione in chirografo delle spese generali.

Il Collegio non ha ritenuto di dover concedere il privilegio di cui all’art. 2751 bis n. 2 c.c. sulle spese generali spettanti sui compensi riconosciuti all’opponente per l’attività prestata.

Sul punto, la L. 29.7.1975, n. 426 ha introdotto i privilegi generali indicati nell’art. 2751 bis c.c., tali privilegi sono riferiti tutti a crediti connessi con l’attività lavorativa dei soggetti creditori. Questa norma ha un ruolo centrale nel sistema dei privilegi, come si evince in maniera chiara anche dall’ordine tracciato all’art. 2777 c.c.

Le considerazioni offerte sin qui inducono a ritenere che non sia possibile estendere in via analogica questo privilegio, già in grado di determinare una preferenza su ogni altra categoria di privilegi sia generali sia speciali.

Il rimborso per spese generali spettante all’avvocato è previsto all’art. 2 del D.M. 55/2014, ove si legge che “oltre al compenso e al rimborso delle spese documentate in relazione alle singole prestazioni, all’avvocato è dovuta – in ogni caso ed anche in caso di determinazione contrattuale – una somma per rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso totale per la prestazione, fermo restando quanto previsto dai successivi articoli 5, 11 e 27 in materia di rimborso spese per trasferta”.

Secondo il Collegio, proprio il puntuale riferimento alle spese documentate e a quelle di trasferta implica che quello di cui trattasi è un rimborso che, pur essendo quantificato in via forfettaria, è riferito a delle spese che si presume il professionista sostenga e non ad una parte del compenso per l’opera svolta. Quale conseguenza, si esclude tale voce dall’ambito di applicazione del privilegio.

Sul punto, si è espressa in più occasioni la giurisprudenza di legittimità che ha approfondito diversi profili del tema.

Tra le affermazioni più rilevanti, ha chiarito che la disposizione è limitata alla sola retribuzione dovuta al professionista per gli ultimi due anni di prestazione, insuscettibile di applicazione analogica ad altre forme di remunerazione della prestazione intellettuale prestata (Cass. 24.11.2021, n. 36544). Inoltre, la Suprema Corte ha precisato che “ai compensi dovuti ad un avvocato per lo svolgimento della sua attività professionale in materia giudiziale civile è applicabile il privilegio generale sui mobili a norma dell’art. 2751-bis, n. 2, cod. civ. con riferimento alle voci qualificabili quali “diritti” ed “onorari”, ma con esclusione delle spese anticipate dal professionista, dato che il relativo credito non è riconducibile alla nozione di “retribuzione dei professionisti” di cui alla disposizione citata e, quindi, è sfornito di qualsiasi privilegio.” (Cass. Civ., 24.03.2011, n. 6849).

Pertanto, anche alla luce dell’inquadramento nell’ambito del D.M. 55/2014, le spese generali non appaiono in alcun modo assimilabili a categorie retributive di cui alla disposizione citata, ma piuttosto ad esborsi, quantificati secondo un parametro forfettario.

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