Nullità e l’annullabilità delle delibere di ripartizione delle spese condominiali
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, sez. II, Sentenza del 14.03.2022 n. 8185, Pres. F. Manna, Es. G. Fortunato
Massima: “Le delibere assembleari in materia di ripartizione delle spese condominiali sono nulle per “impossibilità giuridica” dell’oggetto ove l’assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifichi i criteri di ripartizione delle spese, stabiliti dalla legge o in via convenzionale da tutti i condomini, da valere – oltre che per il caso oggetto della delibera – anche per il futuro, mentre sono semplicemente annullabili nel caso in cui i suddetti criteri vengano soltanto violati o disattesi nel singolo caso deliberato e devono essere necessariamente impugnate nel termine di trenta giorni dalla comunicazione”
La Suprema corte interviene e chiarisce ancora una volta la distinzione tra violazione continuativa e permanente del criterio di ripartizione delle spese soggetta a nullità, senza termini e quella invece estemporanea una tantum soggetta ad annullabilità della delibera nel termine di trenta giorni. La distinzione non è di poco momento…
CASO
Tizia, proprietaria di un immobile insistente nel Condominio Alfa con atto citazione notificato in data 16.1.2012, conveniva il Condominio avanti il Tribunale di Trento, chiedendo di dichiarare la nullità o l’annullamento delle delibere adottate dal 14.8.1998 al 27.12.2010, nonché di quella adottata il 27.11.2011, con cui l’assemblea aveva approvato i rendiconti e i riparti delle spese di consumo della voce di riscaldamento, nonché ripartito le spese ordinarie e straordinarie relative all’esercizio dell’anno 2011.
Secondo l’attrice, infatti, con le delibere approvate dal 1998 al 2010, l’assemblea aveva illegittimamente suddiviso le spese di riscaldamento sulla base di un numero di millesimi superiore a mille e, quindi, modificato i criteri legali o convenzionali di riparto.
L’ultima delibera impugnata del 27 novembre 2011, aveva invece ripartito le spese in base alla tabella millesimale in vigore, che però non rappresentava la situazione reale, avendo taluni condomini ampliato le proprie unità esclusive, senza che da ciò conseguisse la revisione delle tabelle.
Con ulteriore citazione notificata in data 24.1.2013, Tizia impugnava la delibera del 27.12.2012 con cui l’assemblea condominiale, approvava una nuova tabella millesimale, sostenendo che la stessa doveva applicarsi retroattivamente anche al consuntivo per l’esercizio 2011/2012.
Il Condominio costituitosi chiedeva il rigetto delle pretese attoree.
Il Tribunale, disposta la riunione delle cause, dichiarava la tardività dell’impugnazione, proposta dopo la scadenza del termine fissato dall’articolo 1137 c.c., rientrando la delibera nell’alveo di quelle annullabili e non nulle.
Nonostante il gravame proposto da Tizia innanzi la Corte d’Appello, la decisione delle prime cure veniva confermata anche in secondo grado.
Difatti, respinta l’eccezione di nullità della decisione per vizio di motivazione, la Corte distrettuale di Trento riteneva che le delibere impugnate non avessero modificato i criteri di riparto fissati dal regolamento, osservando che: a) le uniche spese per le quali l’assemblea si era discostata nella ripartizione in base al criterio millesimale erano quelle relative al riscaldamento; b) la divergenza non consisteva nella modifica del criterio fissato dal regolamento ma in un adeguamento in via transitoria alla situazione di fatto, con l’attribuzione di un maggior numero di millesimi ai condomini che avevano apportato modifiche alle unità esclusive.
Secondo il giudice del gravame. le delibere impugnate si limitavano a recepire integralmente i bilanci preventivi e consuntivi redatti dall’amministratore, senza menzionare conteggi o verifiche di criteri di ripartizione matematica delle spese di riscaldamento.
Pertanto, l’assemblea era semplicemente incorsa in errore nella interpretazione e applicazione del regolamento, ipotesi che configurava causa di annullabilità e non di nullità della delibera, per cui, non avendo Tizia proposto il ricorso nel termine previsto dall’art. 1137 c.c., l’impugnazione era tardiva e quindi non poteva essere accolta.
Oltretutto, la Corte territoriale, affermava che, anche qualora vi fosse stata un’ipotesi di nulllità delle delibere, Tizia non avesse alcun interesse alla loro impugnazione, avendo ottenuto un risparmio sulle spese di riscaldamento, con ciò determinandosi una carenza di interesse ad agire.
Conseguentemente, Tizia proponeva ricorso per cassazione sulla base di sette motivi.
Il Condominio resisteva con controricorso.
SOLUZIONE
La Corte di cassazione rigettava il ricorso condannando la ricorrente al pagamento delle spese di lite.
QUESTIONI
Con il primo motivo la ricorrente denunciava la violazione degli artt. 115 e 167 c.p.c., per avere la sentenza erroneamente ritenuto che le delibere contenessero la mera approvazione dei rendiconti predisposti dall’amministratore, senza introdurre modifiche alle tabelle millesimali o al regolamento di condominio, poiché secondo Tizia il fatto che l’assemblea avesse approvato anche una modifica tabellare era circostanza ammessa dal Condominio nei propri scritti difensivi e che non necessitava di prova.
Il motivo risultava infondato.
Secondo la Corte di legittimità, il tema dibattuto in giudizio verteva sulla possibilità di ritenere che le delibere approvate dal 1998 al 2010, per il loro contenuto, prevedessero l’adozione un criterio di riparto delle spese diverso da quello contemplato dal regolamento contrattuale o se l’assemblea senza modificare tale criterio fosse semplicemente incorsa in errore nella ripartizione delle spese stesse, suddividendo quelle di riscaldamento sulla base di un numero di millesimi superiore a mille. Tale quesito sollecitava il giudice ad un’operazione di mera interpretazione del contenuto delle delibere, non condizionata in alcun modo dalla mancata contestazione – da parte del Condominio – della sussistenza di un’ipotesi di nullità delle decisioni assembleari o riguardo alla valenza delle decisioni collegiali: la non contestazione si riferisce – difatti – ai fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, ovvero ai fatti materiali che integrano la pretesa sostanziale dedotta in giudizio, e non si estende, perciò, alle circostanze che, come quella di cui si discute, implicano un’attività di giudizio.
Con la seconda doglianza, la ricorrente, lamentava la violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. sollevando una contraddittorietà della pronuncia impugnata, poiché la Corte territoriale aveva da un lato affermato che l’assemblea avesse semplicemente approvato i bilanci consuntivi senza voler modificare il criterio di spesa, e dall’altro riteneva che tale criterio differisse da quello regolamentare o legale.
Secondo Tizia, infatti, l’utilizzo di un criterio di riparto delle spese difforme da quello millesimale non poteva non presupporre la volontà dell’assemblea di apportare modifiche, sotto tale profilo, al regolamento contrattuale.
Con il terzo motivo la ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 1135, 1123 c.c., dell’art. 68 disp. att. c.c., della circolare 12480/1966 e del Testo Unico n. 480 del 1910, censurando la pronuncia nel punto in cui ha ritenuto che l’assemblea non avesse inteso modificare il criterio millesimale, benché’ le spese fossero state suddivise in base ad un numero di millesimi superiore a mille e perciò in applicazione di un criterio non conforme alle previsioni di legge e che l’assemblea non aveva il potere di adottare, conseguendone la nullità delle decisioni assembleari, denunciabile anche oltre la scadenza del termine fissato dall’art. 1137 c.c..
Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 1138 c.c., comma 4, 1325, 1326, 1372 c.c., per aver il giudice di seconde cure ritenuto che l’assemblea non avesse introdotto deroghe al criterio millesimale, non considerando che la ripartizione delle spese in base ad un criterio diverso da quello legale o regolamentare poteva essere approvato solo con il consenso unanime dei condomini, incidendo questo sui diritti esclusivi dei singoli proprietari, giacché qualsivoglia intervento o modifica dei criteri contenuti nel regolamento contrattuale, può essere disposto solo con apposita convenzione approvata all’unanimità.
I tre motivi, per la loro stretta connessione esaminati congiuntamente, erano ritenuti infondati.
Secondo granitica giurisprudenza di legittimità, debbono qualificarsi nulle le delibere dell’assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto[1].
Nel caso in esame, gli Ermellini ribadiscono come siano quindi annullabili non solo le deliberazioni assembleari che presentano vizi di forma, ma anche quelle che presentano vizi di contenuto, in relazione al disposto degli artt. 1123, 1124, 1125 e 1126 c.c..
Oltretutto, in tema di condominio degli edifici, l’azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce la regola generale, ai sensi dell’art. 1137 c.c. (come modificato dall’art. 15 della legge n. 220/2012), mentre la categoria della nullità ha carattere residuale ed è rinvenibile nelle seguenti ipotesi: mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, impossibilità dell’oggetto in senso materiale o giuridico – quest’ultima da valutarsi in relazione al difetto assoluto di attribuzioni – contenuto illecito, ossia contrario a norme imperative, ordine pubblico o al buon costume; pertanto, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135, n. 2) e n. 3), c.c.., mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni, adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c.[2].
Ove la delibera sia adottata nell’ambito delle competenze assembleari, ma mediante un non corretto utilizzo del potere deliberativo, la deliberazione sarà soggetta ad azione di annullamento e non, invece, affetta da vizio di nullità.
Difatti, l’assemblea è competente per l’approvazione e la ripartizione delle spese per la gestione ordinaria e straordinaria delle parti e dei servizi comuni ex art. 1135, pertanto, qualora questa incorra in un cattivo esercizio del potere, adottando un errato criterio di ripartizione delle spese contrastante con la legge o col regolamento condominiale, la delibera prodotta potrà essere semplicemente annullata.
La questione viene chiarita anche dalle Sezioni Unite, che attribuisce vizio di nullità per impossibilità giuridica dell’oggetto alle delibere ove l’assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifichi i criteri di ripartizione delle spese, stabiliti dalla legge o in via convenzionale da tutti i condomini, da valere – oltre che per il caso oggetto della delibera – anche per il futuro. Al contrario, non esorbita dalle attribuzioni dell’assemblea la deliberazione che si limiti a ripartire per il caso concreto le spese condominiali, anche se la ripartizione venga effettuata in violazione dei criteri stabiliti dalla legge o convenzionalmente, in quanto una siffatta deliberazione non ha carattere normativo e non incide sui criteri generali, valevoli per il futuro, dettati dagli artt. 1123 c.c. e ss. o stabiliti convenzionalmente, né risulta contraria a norme imperative; pertanto, tale delibera deve ritenersi semplicemente annullabile e, come tale, deve essere impugnata, a pena di decadenza, nel termine previsto dall’art. 1137 c.c.[3].
Nella fattispecie, nonostante la reiterata e prolungata adozione di un criterio difforme da quello regolamentare, non risultava che l’assemblea, con le singole deliberazioni, avesse inteso adottare un criterio di suddivisione delle spese volto a vincolare anche le approvazioni future.
Di conseguenza, le singole delibere non potevano considerarsi assunte in difetto di attribuzione e quindi nulle per impossibilità giuridica dell’oggetto, quanto invece annullabili.
I giudici di legittimità, pertanto, confermavano gli arresti dei precedenti giudici in merito alla tardività della presentazione del ricorso.
Con la quinta censura, Tizia denunciava la violazione dell’art. 100 c.p.c., lamentando la dichiarata assenza di interesse ad impugnare le delibere anche ove affette da nullità, avendo ottenuto un risparmio sulle spese di riscaldamento poiché la Corte d’Appello aveva trascurato la proposta un’azione di nullità di tutte le delibere, incluse quelle relative alle spese straordinarie e ordinarie e che, trattandosi di azione di mero accertamento, l’interesse ad agire si configurava in re ipsa.
La sesta doglianza afferiva alla violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., poiché secondo la ricorrente la sentenza della Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che ella non avesse alcun interesse ad impugnare, senza considerare che la domanda era volta ad ottenere la suddivisione di tutte le spese, incluse quelle ordinarie e straordinarie (diverse da quelle di riscaldamento), non in base alle tabelle in vigore, ma ai valori millesimali effettivi delle singole proprietà, quali risultanti dalle intervenute modifiche alle unità esclusive, dovendo l’opponente concorrere nelle spese in misura inferiore a quella deliberata.
Con il settimo e ultimo motivo Tizia lamentava l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la Corte d’Appello trascurato che l’assemblea, in data 27.12.2012, aveva adottato una nuova tabella millesimale alla luce delle modifiche apportate da taluni condomini alle superfici dei loro appartamenti, riconoscendo la fondatezza delle contestazioni sollevate dalla ricorrente e confermando che quest’ultima aveva un concreto interesse ad impugnare le delibere.
Anche questi tre motivi risultavano inammissibili, poiché dal loro accoglimento non sarebbe comunque conseguita la cassazione della sentenza, la quale si fondava sul diverso presupposto della configurabilità di una causa di annullabilità delle delibere e sulla tardività del ricorso di primo grado, statuizioni legittimamente adottate e da sole sufficienti a sostenere le conclusioni assunte dal giudice di merito.
Peraltro, la ritenuta carenza di interesse ad impugnare appare argomentazione sollevata meramente in via ipotetica, quale potenziale fatto ostativo alla facoltà della parte di invocare un’eventuale nullità delle delibere, giacché le stesse erano da considerarsi semplicemente annullabili.
[1] Cass. SS.UU., Sent. n. 4806/2005
[2] Cass. civ., Sent. n. 23393/2022.
[3] Cass. SS.UU., Sent. n. 9839/2021.
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