4 Novembre 2025

Lo Stato è responsabile del danno subito dal creditore se non assicura i mezzi necessari per l’esecuzione coattiva dei provvedimenti dell’Autorità giudiziaria

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2025, n. 24053 – Pres. Rubino – Rel. Gianniti

Esecuzione forzata – Attività necessarie per l’attuazione del provvedimento giudiziario – Inadempimento della pubblica amministrazione – Responsabilità – Conseguenze – Causa di forza maggiore – Esonero da responsabilità – Condizioni

Massima: “Nell’ordinamento di uno Stato di diritto, l’obbligo di dare esecuzione ai provvedimenti giurisdizionali è incondizionato, con la conseguenza che l’inadempimento di tale obbligo, protratto oltre il tempo ragionevolmente necessario per approntare i mezzi che tale esecuzione richieda, costituisce fatto che, di per sé stesso, è fonte di responsabilità della pubblica amministrazione obbligata, senza necessità per il soggetto danneggiato di provare il dolo o la colpa in capo al personale di volta in volta intervenuto. Solo l’assoluta impossibilità (per causa di forza maggiore) di prestare assistenza all’esecuzione di un provvedimento giurisdizionale può giustificare un (temporaneo) diniego da parte delle autorità, a fronte di una legittima richiesta del giudice o dei suoi ausiliari, sussistendo un diritto soggettivo di ottenere dall’amministrazione le attività necessarie per l’esecuzione forzata del provvedimento, comprese quelle relative all’uso della forza pubblica, le quali integrano comportamenti dovuti (sempre che non ricorra un’impossibilità determinata da forza maggiore) e non discrezionali. La causa di forza maggiore ostativa all’esecuzione di un provvedimento giurisdizionale non può identificarsi nelle difficoltà intrinseche dell’esecuzione forzata, né nella scelta discrezionale di posporre l’interesse all’esecuzione del provvedimento giurisdizionale ad altri interessi, pur legittimi, che la pubblica amministrazione è tenuta a garantire”.

CASO

La proprietaria di un immobile abusivamente occupato, dopo avere ottenuto, nel 2014, un’ordinanza di reintegra ai sensi dell’art. 1168 c.c., chiedeva all’ufficiale giudiziario di notificare agli occupanti il preavviso di rilascio ex art. 608 c.p.c., che indicava, quale data per l’accesso, il 19 marzo 2015.

Nonostante l’intervento della forza pubblica, il rilascio era eseguito, dopo diversi accessi e rinvii, solo nel mese di aprile del 2018, quando anche gli ultimi occupanti abbandonavano l’immobile.

A quel punto, la proprietaria conveniva in giudizio il Ministero dell’Interno e il Ministero della Giustizia, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a causa del ritardo con cui era stata reimmessa nel possesso dell’immobile.

Il Tribunale di Firenze accoglieva la domanda; all’esito del giudizio di secondo grado, veniva esclusa la responsabilità del solo Ministero della Giustizia, mentre era confermata quella del Ministero dell’Interno.

L’amministrazione soccombente proponeva ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha respinto il ricorso, affermando che l’irragionevole e ingiustificato protrarsi delle operazioni necessarie per eseguire il rilascio, dovuto all’inerzia non dell’ufficiale giudiziario, ma dei funzionari della forza pubblica dei quali lo stesso aveva chiesto l’intervento per procedere allo sgombero dell’immobile, ha determinato una responsabilità da inadempimento della pubblica amministrazione, tenuta pertanto a risarcire i danni subiti dalla proprietaria.

QUESTIONI

[1] L’ordinanza che si annota è intervenuta in una fattispecie in cui, per eseguire il rilascio di un immobile abusivamente occupato in forza del provvedimento di reintegra di cui disponeva la proprietaria, erano stati impiegati ben quattro anni e si erano resi necessari dieci accessi, stante la mancata adeguata attivazione delle forze dell’ordine, delle quali l’ufficiale giudiziario aveva chiesto l’ausilio a causa della situazione di tensione provocata dal fatto che le numerose persone – tra le quali anche minori e disabili – che occupavano l’immobile erano prive di un’abitazione e di una sistemazione alternativa.

Nel sanzionare la condotta omissiva del Ministero dell’Interno, i giudici di merito avevano ritenuto che fosse onere delle forze dell’ordine fornire all’ufficiale giudiziario un supporto commisurato alla delicatezza della situazione, ma al contempo idoneo a consentire, con le cautele del caso, la restituzione dell’immobile al suo legittimo proprietario.

La Corte di cassazione, riconoscendo l’ampio rilievo assunto dal diritto a una sistemazione abitativa dignitosa nell’attuale contesto sociale e ordinamentale e il ruolo fondamentale svolto dai servizi sociali delle amministrazioni comunali (che dovrebbero essere in grado non solo di offrire assistenza concreta ai soggetti deboli coinvolti nelle occupazioni abusive, ma anche di accompagnare il transito degli occupanti dalla situazione emergenziale dell’occupazione abusiva a una successiva fase di stabilizzazione in un’adeguata struttura abitativa), ha posto l’accento sulle gravi tensioni sociali e sulle pericolose situazioni di illegalità collegate al fenomeno delle occupazioni abusive, che lede il diritto del soggetto proprietario dell’immobile e, nel contempo, l’interesse dei consociati a una convivenza ordinata e pacifica.

Proprio per queste ragioni, è compito del legislatore individuare gli strumenti e le modalità per porre rimedio alle situazioni di illegalità.

Così, una volta che il proprietario abbia ottenuto un provvedimento giudiziario che gli consente di recuperare la disponibilità materiale del proprio immobile, non rientra nel potere discrezionale della pubblica amministrazione stabilire se darvi o meno attuazione, sicché l’inosservanza, da parte dell’autorità amministrativa preposta, del dovere di apprestare i mezzi per l’attuazione coattiva integra una condotta colposa, generatrice di responsabilità: di conseguenza, se è vero che l’amministrazione pubblica deve promuovere ogni possibile intervento per soddisfare l’esigenza abitativa dei soggetti deboli, anche in caso di occupazioni abusive, è altrettanto vero che, a fronte dell’emissione di un provvedimento giurisdizionale che ordina il rilascio dell’immobile, la sua esecuzione in tempi ragionevoli – con le modalità più appropriate al caso di specie – si pone in termini di doverosità.

Ripercorrendo l’elaborazione giurisprudenziale formatasi sul tema, i giudici di legittimità hanno rilevato che l’omessa attuazione, da parte degli organi di polizia o delle altre amministrazioni preposte, dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria integra un illecito civile (nonché, a determinate condizioni, anche penale), dal momento che l’attività che la pubblica amministrazione è chiamata a porre in essere si caratterizza per la doverosità e l’assenza di discrezionalità, non trattandosi dell’esplicazione di una potestà amministrativa, ma della materiale prestazione dei mezzi necessari per l’attuazione in concreto della sanzione, per realizzare il fine ultimo della funzione sovrana della giurisdizione, dato dalla realizzazione contro l’inadempiente; di conseguenza, quando sia determinato da valutazioni sull’opportunità dell’esecuzione di un provvedimento del giudice, il rifiuto di assistenza è illecito, perché lesivo del diritto alla prestazione e, come tale, fonte di responsabilità risarcitoria in capo alla pubblica amministrazione.

Chi dispone di un titolo esecutivo giudiziale, quindi, ha il diritto soggettivo perfetto di ottenere dall’amministrazione le attività necessarie per l’esecuzione forzata del provvedimento (comprese quelle relative all’uso della forza pubblica), che integrano comportamenti dovuti (sempre che non ricorra un’impossibilità determinata da forza maggiore) e non discrezionali, fatto salvo soltanto un limitato margine di discrezionalità tecnica quanto alla scelta del momento in cui prestare la propria assistenza.

Non si tratta nemmeno di operare una graduazione dei diritti, rispettivamente, di chi chiede l’esecuzione forzata di un provvedimento giudiziale e di chi deve subirla, ovvero di valutare se si tratti o meno di un diritto inviolabile della persona o di un diritto fondamentale che abbia copertura costituzionale, giacché una simile circostanza può, tutt’al più, influire sulla gravità dell’inadempimento imputabile alla pubblica amministrazione che rimanga inerte o non ponga in essere quanto necessario per dare attuazione al provvedimento giudiziario.

L’autorità amministrativa, in altre parole, è chiamata a prestare la propria collaborazione per assicurare l’effettività della giurisdizione esecutiva (che si pone in termini di complementarietà rispetto a quella di accertamento, di condanna e costitutiva, quale componente fondamentale del diritto di agire in giudizio), senza poter eludere tale funzione o farsi condizionare nel suo espletamento da valutazioni di opportunità o di carattere discrezionale, che, trascendendo i confini della ancillarità e della strumentalità rispetto al provvedimento da attuare, incidano sull’effettività dell’esecuzione.

D’altra parte, qualsiasi interpretazione delle disposizioni recate dal nostro ordinamento che lasciasse alla pubblica amministrazione la scelta se dare o non dare esecuzione ai provvedimenti giurisdizionali si porrebbe in aperto contrasto con i principi dettati dalla normativa comunitaria, cui quelle nazionali debbono adeguarsi per non pregiudicare la coerenza e la tenuta del sistema.

Nella fattispecie esaminata, la Corte di cassazione ha confermato:

  • da un lato, la correttezza dell’operato dell’ufficiale giudiziario (che aveva puntualmente fissato il giorno per lo sgombero entro pochi mesi dalla richiesta, si era assicurato l’intervento della forza pubblica, disponendo il rinvio solo a fronte della dichiarata impossibilità di quest’ultima di procedere allo sgombero, sicché nessun differimento era a lui imputabile);
  • dall’altro lato, la censurabilità della condotta dei funzionari delle forze dell’ordine (che, a seguito degli inviti dell’ufficiale giudiziario a dare seguito all’esecuzione, facevano presente l’impossibilità di procedere, una volta per la presenza di molti manifestanti e per le conseguenti problematiche di ordine pubblico, un’altra volta per l’assenza di un medico che potesse verificare le condizioni di salute della persona affetta da invalidità collocata all’interno dell’immobile, un’altra volta per la mancata presenza dei servizi sociali, infine per la ritenuta impossibilità di reperire un’adeguata collocazione degli occupanti), rei di non essersi adeguatamente attivati per assicurare l’intervento di personale specializzato e l’ausilio delle professionalità necessarie per l’attuazione del rilascio con le modalità più adeguate e consone, vista la delicatezza della situazione (che, essendo prevedibile alla luce di quanto accertato nel corso dei primi accessi, non era annoverabile tra le cause di forza maggiore e non poteva, dunque, fungere da esimente).

Condividendo quanto affermato dai giudici di merito, nell’ordinanza annotata è stato rimarcato che sul proprietario di un immobile, che ha diritto di detenerlo e sfruttarlo anche economicamente, non può farsi pesare la sussistenza di problematiche sociali – per quanto gravi e delicate – connesse all’emergenza abitativa, che debbono essere affrontate e risolte dagli organi dello Stato senza gravare su chi è legittimato a essere reintegrato nel possesso del bene, mentre la forza pubblica chiamata a cooperare per l’esecuzione del provvedimento giudiziario deve assicurarla nei tempi previsti e comunque ragionevoli.

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