7 Ottobre 2025

Il liquidatore giudiziale della società in concordato preventivo è legittimato a proporre opposizione di terzo all’esecuzione a carico della società, ai sensi dell’art. 619 c.p.c.

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 8 luglio 2025, n. 18626 – Pres. De Stefano – Rel. Saija

Concordato preventivo – Liquidatore giudiziale nominato ai sensi dell’art. 182 l.fall. – Legittimazione a proporre opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. – Sussistenza – Conseguenze

Massima: “Il liquidatore giudiziale nominato ai sensi dell’art. 182 l.fall. non rappresenta la società ammessa al concordato preventivo con cessione dei beni, ma va qualificato quale mandatario ex lege dei creditori della società per il compimento di tutti gli atti necessari per la liquidazione dell’attivo concordatario, con la conseguenza che, in caso di azione esecutiva promossa ai danni della società, deve considerarsi legittimato a proporre opposizione di terzo ai sensi dell’art. 619 c.p.c., trattandosi di soggetto diverso dalla debitrice esecutata (la quale è comunque litisconsorte necessario nell’opposizione così promossa)”.

CASO

Nei confronti di una società ammessa al concordato preventivo veniva promossa, innanzi al Tribunale di Roma, un’espropriazione mobiliare presso terzi, a seguito della quale la banca terza pignorata rendeva dichiarazione positiva ai sensi dell’art. 547 c.p.c.

Il liquidatore giudiziale nominato ai sensi dell’art. 182 l.fall. proponeva opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c., sostenendo l’improcedibilità dell’esecuzione per effetto del divieto di azioni esecutive sancito dall’art. 168 l.fall. e del vincolo impresso al patrimonio della società, destinato al soddisfacimento dei creditori nell’ambito del concordato e nei limiti della proposta.

Il giudice dell’esecuzione dichiarava inammissibile l’opposizione, poiché era stata proposta dal liquidatore giudiziale e, dunque, nell’interesse della società esecutata (ossia non di un soggetto terzo).

Il provvedimento del giudice dell’esecuzione era impugnato avanti alla Corte d’appello di Roma, che respingeva il gravame, osservando che il vincolo d’indisponibilità del patrimonio della società ammessa al concordato preventivo di cui all’art. 168 l.fall. non determina una duplicazione dei soggetti che ne sono titolari (cioè una distinzione tra la società che ha chiesto l’ammissione alla procedura concorsuale e quella che vi è stata ammessa).

Avvero la sentenza di secondo grado era proposto ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione, in accoglimento del ricorso, ha cassato la sentenza impugnata, affermando che il liquidatore giudiziale nominato ai sensi dell’art. 168 l.fall. non rappresenta la società ammessa al concordato preventivo, ma va qualificato come mandatario ex lege dei creditori della stessa, sicché, trattandosi di soggetto distinto rispetto alla società contro la quale sia stata promossa un’azione esecutiva, è legittimato a proporre opposizione di terzo ai sensi dell’art. 619 c.p.c.

QUESTIONI

[1] La sentenza che si annota risulta di particolare interesse perché, nell’ambito di una controversia originante dall’opposizione di terzo proposta dal liquidatore giudiziale di una società ammessa al concordato preventivo, contro cui era stata avviata un’espropriazione mobiliare presso terzi, sono state trattate diverse questioni di carattere processuale che meritano di essere analizzate.

Lo spunto per affrontare i temi che hanno formato oggetto della pronuncia nasce dal difetto di contraddittorio riscontrato in detta opposizione, dal momento che il ricorso introduttivo della stessa non era stato notificato alla società in concordato preventivo (ovvero al suo legale rappresentante): un tanto ha condotto alla cassazione della sentenza impugnata e al rinvio della causa al giudice di primo grado.

I giudici di legittimità, infatti, hanno sottolineato che il debitore esecutato è parte necessaria nell’opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 c.p.c. e che non vi è alcuna identità soggettiva tra la società in concordato preventivo con cessione di beni e il liquidatore giudiziale nominato ai sensi dell’art. 182 l.fall., rivestendo egli la qualità di mandatario ex lege dei creditori della società per il compimento di tutti gli atti necessari alla liquidazione dei beni ceduti.

L’ammissione al concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, infatti, determina uno spossessamento attenuato, giacché non priva il debitore della proprietà e dell’amministrazione dei beni (fatte salve le limitazioni connesse alla natura stessa della procedura), ma comporta il trasferimento agli organi della procedura dei soli poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore conserva il diritto di esercitare le azioni o di resistervi nei confronti dei terzi, a tutela del proprio patrimonio; il liquidatore, dunque, nella qualità di mandatario ex lege dei creditori, subentra soltanto nella gestione dei beni ceduti e, più in generale, nelle questioni attinenti alla loro liquidazione (così, per esempio, Cass. civ., sez. II, 17 dicembre 2019, n. 33422), essendo la sua legittimazione processuale ancorata e circoscritta al perimetro delle prerogative liquidatorie e distributive che fanno capo allo stesso e, quindi, ai rapporti che vengono in essere nel corso e in funzione della liquidazione (in questi termini, di recente, Cass. civ., sez. I, 3 maggio 2025, n. 11601).

Pertanto, l’opposizione spiegata nel caso di specie dal liquidatore giudiziale della società in concordato preventivo, diretta ad accertare la non assoggettabilità a espropriazione forzata dei crediti pignorati per effetto della natura di patrimonio separato – destinato alla soddisfazione dei creditori concorsuali e sottratto, dunque, alla disponibilità del debitore esecutato – delle somme delle quali si era dichiarata debitrice la banca terza pignorata, andava ricondotta nell’ambito dell’art. 619 c.p.c. e sussisteva la legittimazione del liquidatore a introdurla, in quanto soggetto distinto dalla società esecutata.

Di qui, la sequela di errori commessi dal giudice dell’esecuzione e che la Corte di cassazione ha stigmatizzato.

In primo luogo, l’opposizione era stata inquadrata in un incidente di cognizione ai sensi dell’art. 549 c.p.c., ossia in una contestazione della sussistenza dell’obbligo del terzo, peraltro – mercè la scorretta identificazione del liquidatore giudiziale quale legale rappresentante della società esecutata – reputata pure erroneamente inammissibile perché sollevata dal debitore esecutato (ma nel senso dell’effettiva carenza di legittimazione di quest’ultimo a promuovere la fase di accertamento incidentale sulla scorta dell’attuale art. 549 c.p.c. si era espressa Cass. civ., sez. III, 24 settembre 2019, n. 23644).

In secondo luogo, nel dare corso a tale parentesi cognitiva, il giudice dell’esecuzione si era conformato alla prassi di ritenere insufficiente la contestazione della dichiarazione di quantità del terzo pignorato mediante mera verbalizzazione delle relative istanze e, di converso, necessario il deposito di una sorta di memoria riepilogativa, diretta a circoscrivere l’oggetto della contestazione stessa, quale vero e proprio atto introduttivo del giudizio incidentale di cui all’art. 549 c.p.c.; prassi che la giurisprudenza di legittimità ha sconfessato, affermando che il subprocedimento volto all’accertamento dell’obbligo del terzo postula, quale condizione di procedibilità, un’istanza della parte interessata da formulare, in mancanza di previsioni specifiche, secondo il modello dell’art. 486 c.p.c. (così Cass. civ., sez. III, 25 luglio 2022, n. 23123 e Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2023, n. 13487).

In terzo luogo, sempre in virtù e per effetto dell’erronea qualificazione dell’opposizione proposta dal liquidatore giudiziale, non era stata rispettata la necessaria struttura bifasica delle opposizioni esecutive (ritenuta inderogabile, tra le altre, da Cass. civ., sez. III, 9 aprile 2024, n. 9451), giacché al provvedimento conclusivo assunto dal giudice dell’esecuzione non era seguita l’introduzione del giudizio di merito; sotto questo profilo, non poteva fungere da elemento scriminante la mancata assegnazione del termine entro cui radicarlo, visto che, in tali casi, la parte interessata può chiederne la fissazione con istanza ex art. 289 c.p.c. nel termine perentorio ivi previsto, ovvero introdurre o riassumere il giudizio di merito di propria iniziativa, sempre nel medesimo termine perentorio (Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 2011, n. 22033).

In quarto luogo, sebbene assunto con le forme dell’ordinanza (evidentemente a seguito dell’erroneo inquadramento della fattispecie in termini di accertamento condotto ai sensi dell’art. 549 c.p.c.), il provvedimento del giudice dell’esecuzione era stato impugnato con l’appello, mentre un tanto sarebbe stato consentito, in conseguenza della violazione della struttura bifasica dell’opposizione, solo se la decisione avesse avuto non solo natura, ma pure forma di sentenza, solo così potendo operare il principio dell’apparenza (sulla scorta di quanto affermato, per esempio, da Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2022, n. 11848).

Alla luce di questa sequela di errori, la mancata tempestiva rilevazione dei quali ha determinato il formarsi di una preclusione processuale sul punto, che, a propria volta, ha impedito la cassazione della sentenza impugnata senza rinvio ai sensi dell’art. 382, comma 3, c.p.c., i giudici di legittimità sono stati costretti a ricorrere a una fictio: assumere che il primo grado del giudizio di merito dell’opposizione si fosse comunque svolto (e che fosse stato definito con una pronuncia idonea a definire l’esito della lite), sebbene interamente e impropriamente davanti al giudice dell’esecuzione, purtuttavia senza la partecipazione di un litisconsorte necessario (ossia la società in concordato preventivo, soggetto passivo dell’esecuzione per reagire alla quale era stata promossa l’opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c., cui non era stato notificato il relativo ricorso introduttivo e il pedissequo decreto emesso ai sensi del comma 2 del medesimo art. 619 c.p.c.).

Per garantire l’effettività del diritto di difesa del litisconsorte indebitamente pretermesso (tale essendo il debitore esecutato nell’ambito dell’opposizione di terzo), la Corte di cassazione ha, dunque, cassato sia la sentenza della Corte d’appello di Roma gravata dal liquidatore giudiziale, sia l’ordinanza – erroneamente qualificata come sentenza – del giudice dell’esecuzione, rinviando la causa al Tribunale di Roma (in persona di diverso magistrato rispetto al giudice dell’esecuzione del tempo) per lo svolgimento in primo grado e con la presenza di tutte le parti legittimate della fase di merito dell’opposizione di terzo.

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