L’Intelligenza Artificiale entra negli Studi professionali: l’esperienza di Filippo Caravati
di Giulia Maria Picchi - Senior partner Marketude Scarica in PDFNegli Studi professionali, l’Intelligenza Artificiale è da qualche tempo uno degli argomenti all’ordine del giorno nelle riunioni dei partner, consapevoli di quanto soluzioni tecnologiche adeguate possano incidere su produttività, conoscenza e qualità del servizio.
Lo sa bene Filippo Caravati, dottore commercialista e revisore legale e partner di CARAVATI PAGANI – Dottori Commercialisti Associati, che da oltre un anno sta guidando nel proprio Studi o un processo di adozione strutturata degli strumenti di AI.
«Abbiamo iniziato – racconta – analizzando diversi chatbot. Alla fine, ci siamo orientati verso la soluzione che ci garantiva una completa integrazione con gli strumenti già in uso in Studi o e un livello di compliance GDPR più adeguato all’attività professionale. Il fatto che operi su server europei, e nel nostro caso italiani, è stato dirimente».
Oltre alla compatibilità tecnica, la vera differenza è nell’integrazione con l’ecosistema documentale: «La soluzione che abbiamo adottato non si limita a rispondere alle domande attingendo al proprio know-how, ma analizza anche il nostro archivio documentale interno e la posta elettronica. Quando gli chiedo un approfondimento, l’AI non solo mi fornisce la risposta, ma segnala anche le mail e i documenti collegati. In un unico output unisce conoscenza propria, memoria storica dello Studi o e comunicazioni correnti.»
L’adozione di questi strumenti è partita coinvolgendo i team più dinamici – legale, paralegale e audit – per poi estendersi progressivamente.
L’importanza della scelta dello strumento giusto e della formazione
«Abbiamo avviato la formazione interna con pillole pratiche da venti minuti, evitando lezioni teoriche che rischiano di annoiare. L’obiettivo è arrivare entro fine anno all’80% del personale abilitato, ma in modo graduale».
Gli usi concreti sono molteplici. «Nel team audit ci stiamo concentrando sull’analisi dei libri giornali, individuare pattern anomali o potenzialmente fraudolenti; i legali lo usano per redigere pareri e fare ricerche complesse. Ma è utilissimo anche per attività quotidiane, come ritrovare il numero di telefono di un contatto in pochi secondi o ricostruire discussioni avvenute anni prima. La ricerca non è più solo full text, ma semantica: capisce il contesto.»
Introdurre l’AI in Studi o offre anche un’altra opportunità: conoscere a fondo le esigenze di ogni team e comprendere meglio il loro modus operandi. A tutto vantaggio della comprensione dei processi, della collaborazione tra team e soprattutto della costruzione di una cultura condivisa del lavoro digitale che porta le persone ad alimentare spontaneamente con dati e documenti la base di conoscenza da cui in futuro tutti potranno attingere.
«Questo è un altro punto importante. Il potenziale dell’AI cresce se esiste una base di conoscenza comune. Noi avevamo già un esteso knowledge base condiviso con modelli, articoli tecnici e report. L’Intelligenza Artificiale lo sfrutta a pieno, lo potenzia, ma non può sostituirlo. La vera sfida è bilanciare accesso e privacy, decidendo quali dati possono essere a disposizione di tutti e che cosa invece resta riservato.»
Parallelamente, lo Studi o ha condotto una software selection di banche dati specializzate. «Abbiamo valutato sia startup che lavorano su dati pubblici – sentenze, gazzetta ufficiale, pareri – sia player tradizionali di Banche Dati che integrano l’AI nei propri motori di ricerca. Oggi nessuna soluzione è completa: le startup sono trasversali ma mancano di dottrina; le banche dati tradizionali hanno contenuti eccellenti ma chiusi nei loro ecosistemi. Il futuro ideale sarebbe poter usare un sistema generalista con plug-in dedicati che connettano le singole fonti a pagamento».
Adottare l’AI significa ragionare in ottica strategica
A differenza di quanto si potrebbe pensare, lo Studi o non ha iniziato automatizzando le attività più ripetitive. «Nei software contabili, finché le software house non svilupperanno moduli di AI integrati, è difficile intervenire dall’esterno. Automatizzare la registrazione degli estratti conto o l’abbinamento delle fatture richiederebbe programmatori dedicati. Per ora ci concentriamo sulle attività a maggior valore aggiunto, dove l’AI può davvero amplificare la capacità analitica dei professionisti e ridurre il tempo impiegato, a vantaggio sia dello Studi o che dei clienti».
A dimostrazione che introdurre l’AI in Studi o e decidere quali attività debbano essere potenziate è una vera e propria decisione strategica: significa analizzare l’offerta di servizi dello Studi o ad oggi e valutare in che direzione l’attività che svolge dovrà evolvere. In una parola vuol dire ragionare sul posizionamento dello Studi o e sulla sua futura capacità competitiva in un’arena che presto sarà integralmente ridefinita e la cui composizione annovererà solo chi sarà stato capace di adottare e utilizzare al meglio i nuovi strumenti tecnologici.
A supporto di queste scelte, un’altra leva importante è la comunicazione.
«Al momento – spiega Caravati – non abbiamo ancora fatto delle vere riflessioni su come comunicare le nostre scelte alla clientela in chiave di marketing. Per ora ci siamo limitati ad aggiornare l’informativa privacy».
Una comunicazione che, in prospettiva, potrà diventare un elemento distintivo dello Studi o, spiegando quanto l’uso di sistemi informatici avanzati, compresa l’Intelligenza Artificiale consenta ai professionisti di essere supportati in diverse attività ma anche che ogni risultato venga sempre verificato, interpretato e validato da professionisti qualificati, che restano i soli responsabili delle valutazioni finali.
L’Intelligenza Artificiale, in questo senso, diventa un alleato per la qualità: libera tempo per la riflessione, il confronto e il controllo della correttezza delle informazioni.
Comunicare apertamente come viene utilizzata l’AI significa essere trasparenti e rafforzare la fiducia e il senso di partnership con i clienti: condividere non solo i risultati, ma anche i metodi che li rendono più solidi, tempestivi e verificabili.
Il rapporto con i clienti
I professionisti non sono gli unici a usare l’AI. «Il problema non sono i clienti che non la usano, ma che la usano troppo e male. Si affidano a piattaforme di AI generativa generalisti per ottenere risposte altrettanto generaliste ed imprecise, per poi tornare da noi a “contestare” le nostre analisi. Non è un fenomeno nuovo: una volta i clienti citavano i principali quotidiani economico-finanziari ma forse con un po’ più di titubanza. Oggi il cliente arriva convinto che la macchina abbia sempre ragione e ci chiede di giustificare ogni virgola. Così passiamo ore a spiegare ciò che avevamo detto in due minuti e che è il suo chatbot ad aver dato una risposta sbagliata, spesso per colpa di una domanda imprecisa. A volte mi viene la tentazione di inserire una riga in fattura con la dicitura “ore inutilmente spese per dimostrare che la risposta data in un minuto era giusta».
Un’ironia che fotografa bene la fase di transizione in cui si trovano oggi gli Studi professionali: tra la curiosità tecnologica e la necessità di definire nuovi equilibri di tempo, valore e fiducia.
«L’Intelligenza Artificiale è uno strumento straordinario – conclude Caravati – ma resta tale: uno strumento. La differenza la farà sempre la competenza umana, la capacità di porre le domande giuste e di interpretare le risposte. Senza quella, anche il miglior algoritmo diventa solo un rumoroso generatore di parole.»
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