14 Ottobre 2025

Legittimazione a contraddire nel giudizio di divisione endoesecutiva in caso di apertura della liquidazione giudiziale a carico del comproprietario esecutato

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Trib. Verona, sez. II, 25 luglio 2025 – Est. Burti

Espropriazione di beni indivisi – Apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del comproprietario esecutato – Giudizio di divisione endoesecutiva – Legittimazione processuale del debitore e del creditore del comproprietario esecutato – Insussistenza – Legittimazione processuale dei creditori dei comproprietari non esecutati – Sussistenza

Massima: “Nel giudizio di divisione endoesecutiva sono privi di legittimazione a contraddire sia il comproprietario esecutato nei confronti del quale sia stata dichiarata l’apertura della liquidazione giudiziale (spettando essa in via esclusiva al curatore), sia il creditore del comproprietario esecutato che aveva promosso il processo esecutivo o vi era intervenuto, ancorché abbia iscritto ipoteca sulla quota indivisa compresa nella procedura concorsuale, quando il curatore – unico titolare del potere di amministrare il patrimonio oggetto della liquidazione giudiziale ex art. 128 CCII e, come tale, legittimato a compiere gli atti inerenti ai rapporti compresi nella procedura concorsuale nell’interesse della massa dei creditori concorsuali – sia subentrato nella procedura esecutiva ai sensi dell’art. 216, comma 10, CCII, salvo che si tratti del creditore fondiario, giusta l’eccezione prevista dall’art. 150 CCII, mentre è ammessa la partecipazione dei creditori titolari di ipoteca iscritta sulle quote indivise dei condividenti non esecutati”.

CASO

Pignorata la quota indivisa di un immobile e prima che si svolgesse l’udienza di cui all’art. 600 c.p.c., nei confronti del comproprietario esecutato veniva dichiarata l’apertura della liquidazione giudiziale; il curatore, debitamente autorizzato dal giudice delegato, dichiarava di volere subentrare nell’esecuzione pendente ai sensi dell’art. 210, comma 10, CCII.

Disposta la sospensione del processo esecutivo al fine di consentire lo svolgimento del giudizio di divisione endoesecutiva, la curatela della liquidazione giudiziale lo introduceva notificando l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 600 c.p.c. al debitore esecutato e agli altri comproprietari non esecutati, al creditore che aveva eseguito il pignoramento immobiliare (che aveva anche iscritto ipoteca sulla quota di cui era titolare l’esecutato), al creditore chirografario del comproprietario esecutato che aveva svolto intervento nel processo esecutivo e a quello che vantava un’ipoteca iscritta – sulle quote di tutti i comproprietari – a garanzia di un credito avente titolo in un contratto di mutuo fondiario.

In vista dell’assunzione del provvedimento prescritto dall’art. 785 c.p.c., il giudice sottoponeva alle parti la questione relativa alla legittimazione dei soggetti convenuti a contraddire nel giudizio di divisione endoesecutiva.

SOLUZIONE

[1] Il Tribunale di Verona ha dichiarato che, in caso di apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del comproprietario esecutato, questi e i suoi creditori, quand’anche titolari di ipoteca, non hanno legittimazione processuale a contraddire nel giudizio di divisione endoesecutiva, spettando essa, in via esclusiva, al curatore che, ai sensi dell’art. 210, comma 10, CCII, sia subentrato nell’esecuzione pendente, fatta eccezione soltanto per i creditori fondiari (ai quali va riconosciuta una legittimazione straordinaria per effetto del privilegio sancito dall’art. 41 d.lgs. 385/1993) e per i creditori dei comproprietari non esecutati.

QUESTIONI

[1] La sentenza che si annota, emessa nell’ambito di un giudizio di divisione endoesecutiva radicato a seguito del pignoramento della quota indivisa di un immobile, individua i soggetti titolati a partecipare a detto giudizio e a contraddirvi quando il comproprietario esecutato sia stato assoggettato a liquidazione giudiziale.

È noto che la divisione endoesecutiva costituisce una parentesi cognitiva necessaria quando sia stata promossa l’espropriazione di beni indivisi e il giudice dell’esecuzione non abbia ravvisato la possibilità, da un lato, di procedere alla separazione in natura della quota spettante al comproprietario esecutato e, dall’altro lato, di vendere tale quota a un prezzo pari o superiore al valore determinato dall’esperto stimatore ai sensi dell’art. 568 c.p.c.: in questi casi, il giudice dell’esecuzione deve sospendere il processo esecutivo e ordinare l’introduzione del giudizio di divisione, che si svolge secondo le regole dettate dagli artt. 784 e seguenti c.p.c., fermo restando che, a termini dell’art. 181 disp. att. c.p.c., sarà lo stesso giudice dell’esecuzione (inteso quale magistrato persona fisica) a istruirlo e a deciderlo, nella mutata veste di giudice della cognizione.

Sulla scorta di quanto affermato da Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2018, n. 20817, il giudizio di divisione endoesecutiva va radicato mediante la notifica a tutti gli interessati dell’ordinanza che lo dispone, emessa dal giudice dell’esecuzione all’esito dell’udienza celebrata ai sensi dell’art. 600 c.p.c. (fatta eccezione per l’ipotesi – che, in verità, si verifica assai raramente – in cui tutti gli interessati siano presenti a detta udienza, nel quale caso il giudice provvede senz’altro all’istruzione della causa, a norma dell’art. 181, comma 1, disp. att. c.p.c.), che si configura quale elemento conclusivo della fattispecie a formazione progressiva in cui quell’introduzione si risolve, non essendo necessaria la separata notifica di un distinto atto di citazione.

Il caso di specie era caratterizzato dal fatto che:

  • il comproprietario esecutato, prima dell’assunzione del provvedimento di cui all’art. 600 c.p.c., era stato assoggettato a liquidazione giudiziale;
  • il curatore della liquidazione giudiziale, debitamente autorizzato dal giudice delegato, aveva dichiarato di subentrare nell’esecuzione pendente, in virtù di quanto stabilito dall’art. 210, comma 10, CCII;
  • la curatela, al fine di promuovere il giudizio di divisione in ottemperanza a quanto disposto con l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 600 c.p.c., l’aveva notificata a tutti i comproprietari dell’immobile oggetto di pignoramento (ivi compreso l’esecutato, assoggettato a liquidazione giudiziale), al creditore che aveva promosso l’espropriazione e a quello che vi aveva svolto intervento, nonché al creditore che, pur non essendo intervenuto nell’esecuzione, vantava un’ipoteca iscritta sull’intero bene (ossia tanto sulla quota di proprietà del comproprietario esecutato, quanto su quelle dei comproprietari non esecutati) a garanzia di un credito avente titolo in un contratto di mutuo fondiario.

In questo contesto, il Tribunale di Verona ha osservato quanto segue.

Se è pacifico che i comproprietari dell’immobile assoggettato a espropriazione forzata pro quota sono tutti contraddittori necessari nel giudizio di divisione endoesecutiva, venendo incisi nei loro diritti (sia che si addivenga alla divisione in natura del bene, con la concentrazione delle rispettive quote su una porzione fisica di esso, sia che ne venga disposta la vendita, con la conseguente trasformazione del diritto reale in denaro), la regola va declinata diversamente quando il comproprietario esecutato (ma lo stesso discorso, a ben vedere, vale anche con riferimento al comproprietario non esecutato) sia stato assoggettato a liquidazione giudiziale: in virtù di quanto stabilito dall’art. 143 CCII, infatti, colui nei confronti del quale sia stata dichiarata l’apertura della liquidazione giudiziale perde la capacità processuale rispetto a tutti i rapporti patrimoniali compresi nella liquidazione giudiziale medesima, che spetta in via esclusiva al curatore, fatta solo eccezione – giusta quanto previsto dal comma 2 – per i giudizi aventi per oggetto la risoluzione di questioni dalle quali può dipendere l’imputazione del reato di bancarotta o per i quali l’intervento del debitore è prescritto dalla legge.

La curatela, dunque, è l’unica titolare della legittimazione processuale rispetto al giudizio di divisione endoesecutiva che riguardi un bene ricompreso nel patrimonio di colui che è assoggettato alla liquidazione giudiziale, cui non compete nemmeno una legittimazione concorrente (fatti salvi, come detto, i casi espressamente e tassativamente previsti dalla legge).

Sotto altro profilo, non può nemmeno ravvisarsi una legittimazione a contraddire in capo ai creditori del comproprietario esecutato assoggettato a liquidazione giudiziale, quand’anche fossero intervenuti nel processo esecutivo da cui ha avuto origine il giudizio di divisione endoesecutiva: fermo restando che, nel caso in cui il curatore decida di non subentrare nell’esecuzione pendente, questa andrà dichiarata improcedibile ai sensi dell’art. 150 CCII, in caso contrario, ovvero di subentro ai sensi dell’art. 216, comma 10, CCII, il processo esecutivo diviene la sede in cui avviene la realizzazione dell’attivo concorsuale, sicché viene meno ogni legittimazione processuale dei creditori del debitore, attesa la concentrazione di tutti i poteri e di tutte le facoltà inerenti alla liquidazione dell’attivo concorsuale in capo al curatore, onde assicurare l’effettività del concorso formale dei creditori.

A questa regola non si sottraggono nemmeno i creditori ipotecari del comproprietario esecutato assoggettato a liquidazione giudiziale, salvo che si tratti di creditori fondiari, che beneficiano del privilegio processuale sancito dall’art. 41 d.lgs. 385/1993 (tutt’ora vigente, sebbene l’art. 7 l. 155/2017 avesse inserito, tra i criteri direttivi per la riforma della disciplina delle procedure concorsuali, l’eliminazione dell’operatività di privilegi processuali, anche fondiari, destinati comunque a operare non oltre la scadenza del secondo anno successivo a quello di entrata in vigore del d.lgs. 14/2019 e che Cass. civ., sez. I, 19 agosto 2024, n. 22914, pronunciandosi ai sensi dell’art. 363-bis c.p.c., ha dichiarato estensibile anche alle procedure di liquidazione controllata disciplinate dagli artt. 268 e seguenti CCII): l’ipoteca, salvo che sia stata iscritta a garanzia di un credito fondiario, attribuisce, infatti, una prelazione nella ripartizione del ricavato dalla liquidazione dei beni, ma non sottrae il creditore che ne è titolare al concorso con gli altri creditori del debitore assoggettato a liquidazione giudiziale, né, di conseguenza, al divieto di promuovere o coltivare azioni esecutive individuali, visto che la legge determina la concentrazione dei relativi poteri in capo al curatore.

Come correttamente rilevato dal Tribunale di Verona, una diversa conclusione comporterebbe una disarticolazione della concentrazione della fase liquidatoria in capo al curatore, senza che tale frammentazione sia giustificata da una deroga espressamente prevista dalla legge (a differenza di quanto è a dirsi per i creditori fondiari).

Se, dunque, l’apertura della liquidazione giudiziale determina la perdita del potere dei creditori anche ipotecari (purché non fondiari) di promuovere o proseguire azioni esecutive in danno del debitore assoggettato alla procedura concorsuale, un tanto ridonda i suoi effetti anche sul giudizio di divisione endoesecutiva, che, pur non potendo essere propriamente considerato una fase del processo di espropriazione immobiliare in cui si innesta, è ancillare a quest’ultimo, essendovi strutturalmente e funzionalmente connesso.

Da ultimo, nella sentenza annotata si evidenzia anche che la legittimazione a partecipare al giudizio di divisione endoesecutiva spetta, oltre che al creditore fondiario, pure ai creditori che hanno iscritto ipoteca sulle quote dei comproprietari non esecutati, i quali non subiscono alcuna limitazione o compressione delle rispettive facoltà processuali in conseguenza dell’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del comproprietario esecutato e, in virtù di quanto stabilito dall’art. 1113 c.c., debbono essere evocati in giudizio allo scopo di rendere loro opponibile la divisione disposta giudizialmente.

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