17 Novembre 2020

La Suprema Corte riafferma l’indifferenziata applicabilità della sanatoria ex art. 182 c.p.c. ai casi di nullità e inesistenza della procura ad litem

di Massimo Montanari, Professore ordinario di Diritto processuale civile e di diritto fallimentare – Università degli Studi di Parma Scarica in PDF

Cass., sent., 29 ottobre 2020, n. 23958 – Pres. Gorjan – Rel. Giannaccari

Procedimento civile – Procura alle liti – Inesistenza- Sanatoria ai sensi dell’art. 182 c.p.c. – Ammissibilità (C.p.c. artt. 83, 125, 182) 

[1] L’art. 182, 2° comma, c.p.c., nella formulazione introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2 (da ritenersi applicabile anche nel giudizio d’appello), secondo cui il giudice che accerti un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione è tenuto a consentirne la sanatoria, assegnando un termine alla parte che non vi abbia provveduto di sua iniziativa, con effetti ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti dalle decadenze processuali, trova applicazione anche qualora la procura manchi del tutto oltre che quando essa sia inficiata da un vizio che ne determini la nullità, restando, perciò, al riguardo irrilevante la distinzione tra nullità e inesistenza della stessa.

CASO

[1] Il Tribunale di Firenze, investito dell’appello proposto contro una sentenza del giudice di pace dello stesso capoluogo che aveva respinto, siccome tardivo, il ricorso proposto contro il verbale d’accertamento di un’infrazione al Codice della Strada, ha dichiarato l’esperito gravame inammissibile per vizi della procura ad litem che imponevano di considerare la stessa come inesistente e non semplicemente nulla, così da impedire l’attivazione dei meccanismi di sanatoria previsti dall’art. 182 c.p.c. La pronuncia è stata allora fatta segno di ricorso per cassazione, con il quale si è sostenuto che i profili di disformità dal modello legale che la procura avrebbe evidenziato potevano al più comportarne la nullità e non, come postulato dal tribunale, la radicale inesistenza, in modo che ben avrebbe potuto sopravvenirne la regolarizzazione nel termine appositamente assegnato dal giudice.

SOLUZIONE

[1] Il giudizio di legittimità ha visto pienamente recepite le ragioni del ricorrente. La Corte ha, infatti, riconosciuto che i vizi denunciati a carico della procura rilasciata, nell’occasione, per l’appello – indeterminatezza dell’oggetto e, più in generale, mancanza di riferimenti univoci alla causa specifica; autenticazione della firma del mandante non redatta in lingua italiana; deposito dell’atto separato, con cui la procura era stata conferita, in copia fotostatica – potessero al massimo configurare un vizio di nullità, come tale suscettibile di regolarizzazione ai sensi e nei modi di cui all’art. 182 c.p.c., nell’attuale versione scaturita dalla l. 18 giugno 2009, n. 69: e questo, perché si sarebbe trattato di imperfezioni di non particolare gravità e in ogni caso non concretanti quella mancanza dei requisiti minimi dell’atto, in presenza della quale soltanto sarebbe stato possibile dubitare dell’esistenza giuridica dello stesso.

Paventando la controvertibilità di questa conclusione, la Corte si è, però, spinta oltre e, nel solco della sua precedente giurisprudenza in materia (v. infra), ha osservato che, ad onta del fatto che l’art. 182 c.p.c. contempli soltanto l’ipotesi di nullità della procura e non anche quella di omissione della medesima, nessun rilievo possa avere, ai fini dell’applicazione della sanatoria da quella norma disciplinata, la distinzione tra nullità e inesistenza dell’atto di cui si discute.

Risolutivo è apparso, in tal senso, il tenore letterale di detto art. 182, là dove dispone che, a fronte di un vizio inerente allo ius postulandi, il giudice debba provvedere alla relativa sanatoria assegnando un termine perentorio «per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa». Ed invero, considerato che di «rinnovazione» della procura abbia senso parlare solamente in quanto una prima procura, seppure non conforme alle prescrizioni di legge, sia stata rilasciata, il distinto riferimento al «rilascio» non potrebbe avere una logica spiegazione se non nella prospettiva, e in funzione di rimedio, di una precedente omissione o radicale inesistenza della procura medesima. Una siffatta lettura risulterebbe poi corroborata dal rilievo della sua piena sintonia con quella visione antiformalista del processo che avrebbe ispirato la riscrittura, nel 2009, dell’art. 182 c.p.c., visione che tralucerebbe altresì dalla scelta legislativa: a), da un lato, di estendere il perimetro operativo dei meccanismi di regolarizzazione ivi regolati, così da ricomprendervi non più soltanto le ipotesi di difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione ma anche quelle di vizio della procura; b) dall’altro, di fare oggetto di un vero e proprio obbligo l’attivazione di quei meccanismi, olim rimessi alla valutazione discrezionale del giudice.

Ciò posto, la Corte ha dunque accolto il ricorso, cassando la sentenza del giudice fiorentino con rinvio della causa al medesimo in vista di una decisione che si conformi preliminarmente al principio per cui l’obbligo di sanatoria, con effetti ex tunc, istituito dall’art. 182 c.p.c. trova applicazione anche qualora la procura manche del tutto, restando perciò irrilevante ai quei fini la distinzione tra nullità e inesistenza della medesima.

QUESTIONI

[1] Nel formulare il principio di cui in conclusione del precedente paragrafo, la Suprema Corte, come già di scorcio segnalato, si è puntualmente allineata ai propri precedenti in materia (si vedano, oltre all’espressamente richiamata Cass., 7 maggio 2018, n. 10885 – di cui la sentenza in rassegna costituisce per larghi tratti, compresa la massima ricavatane, letterale trascrizione -, Cass. 14 febbraio 2019, n. 4460; Cass., 14 febbraio 2017, n. 3894; Cass., 18 febbraio 2016, n. 3181), nel segno di un orientamento interpretativo che ha registrato altresì il consenso di una dottrina largamente maggioritaria (ex plurimis, Mandrioli – Carratta, Diritto processuale civile, 26a ed., II, Torino, 2017, 75 s.; Luiso, Diritto processuale civile, 11a ed., I, Milano, 2020, 239 s.; Balena, Sub art. 182 c.p.c., in Aa. Vv., La riforma della giustizia civile. Commento alle disposizioni della legge sul processo civile  n. 69/2009, Torino, 2009, 69; Dalfino, Difetto di rappresentanza, assistenza, autorizzazione; nullità della procura al difensore, in Foro it., 2009, V, 289; Negri, Sulla sanatoria del difetto di rappresentanza (e di procura ad litem), in Corr. giur., 2009, 1690; Turroni, Il nuovo art. 182, cpv., c.p.c. Sempre rimediabili i difetti di capacità processuale e di procura al difensore, in Giur. it., 2009, 1575).

La communis opinio di cui la presente sentenza rappresenta l’ultima testimonianza in ordine cronologico è stata recentemente oggetto, peraltro, di un’acuta rimeditazione critica, che ne ha messo a nudo gli elementi di debolezza o, almeno, non perfetta tenuta sia sul piano sistematico che su quello letterale (Caporusso, I vizi di capacità e di rappresentanza nel regime delle sanatorie processuali, Napoli, 2019, 239 ss.).

Sotto il primo profilo, non possiamo dimenticare come, all’atto della riscrittura dell’art. 182 c.p.c., la riforma del 2009 abbia lasciato intatta la previsione del precedente art. 125, 2° comma, a mente della quale la procura al difensore di parte attrice «può essere rilasciata [anche] in data posteriore alla notificazione dell’atto, purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata»: ciò che imporrebbe di raccordare al momento della costituzione dell’attore il termine ultimo per colmare la carenza della procura alle liti nell’atto introduttivo del giudizio (così Caporusso, op. cit., 239).

Sotto il secondo, invece, non è affatto vero che la sanatoria dei vizi attinenti allo ius postulandi per il tramite dello strumento alternativo del rilascio di una nuova procura o della rinnovazione della stessa sia logicamente spiegabile solamente ammettendo che la sanatoria riguardi anche i casi di inesistenza della procura. Quel duplice e alternativo riferimento va infatti letto nell’ottica complessiva della norma in cui si trova inserito e della sanatoria ivi prevista per la generalità dei vizi attinenti alla capacità di stare in giudizio, richiamati con la formula del «difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione»: nel senso, per l’esattezza, che, se la rinnovazione della procura alle liti già conferita «ben si attaglia alle ipotesi di nullità della stessa, il suo “rilascio” è perfettamente compatibile  con le ipotesi in cui il giudice abbia riscontrato a monte un vizio di capacità o un difetto di rappresentanza o di assistenza»; e ciò in quanto, «se è vero, come è vero, che la procura alle liti deve essere rilasciata non da qualsiasi parte, ma solo da quella capace o munita di legittimazione processuale, il difetto sostanziale non può che riverberarsi anche sulla validità della procura alle liti, richiedendo […] il rilascio di nuova procura da parte del soggetto capace o di quello effettivamente legittimato» (Caporusso, op. cit., 239 s.).

E’ auspicabile, dunque, che, in occasione di un futuro confronto con la questione – che, presumibilmente, non mancherà -, la Suprema Corte abbia a tener conto anche di quelle penetranti obiezioni, del caso reiterando il suo insegnamento sul punto ma soltanto previa un’adeguata (e non proprio agevole) confutazione delle medesime.