La P.A. non può opporsi all’esecuzione forzata di obblighi di fare adducendo che l’impresa incaricata dell’attività manutentiva non intende intervenire
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 6 aprile 2025, n. 9063 – Pres. De Stefano – Rel. Gianniti
Esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare – Titolo esecutivo a carico della P.A. – Fatto sopravvenuto impediente – Condotta ostativa di un terzo – Configurabilità – Insussistenza
Massima: “La P.A. non può sottrarsi all’esecuzione dell’obbligo di fare, adducendo il rifiuto dell’impresa che gestisce il servizio manutentivo del bene su cui si deve intervenire, essendo tenuta ad adottare ogni condotta necessaria a ottemperare alla condanna esecutiva, comprese quelle finalizzate a superare eventuali resistenze opposte da terzi.”
CASO
Il Tribunale di Agrigento, in accoglimento della domanda proposta da un supercondominio a seguito della fuoriuscita di liquami da un pozzetto di ispezione della fognatura ubicato nell’area situata nei pressi di una delle palazzine, condannava l’amministrazione comunale alla realizzazione dei lavori di rifacimento del tratto di fognatura che aveva cagionato i danni lamentati dal supercondominio, attraverso il compimento delle opere descritte nella relazione di consulenza tecnica depositata in corso di causa.
L’ente pubblico, cui era stata intimata l’esecuzione delle suddette opere, proponeva opposizione ex art. 615 c.p.c. avverso l’atto di precetto, deducendo che l’obbligo derivante dalla sentenza non era giuridicamente attuabile, poiché la società che gestiva il servizio idrico integrato aveva comunicato di non essere disposta a dare corso ai lavori.
L’opposizione veniva respinta in primo grado, con sentenza confermata dalla Corte d’appello di Palermo, la cui pronuncia era, quindi, gravata con ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso, affermando che la circostanza addotta dall’amministrazione comunale per opporsi all’esecuzione coattiva dell’obbligo di fare stabilito a suo carico, rappresentata dall’opposizione manifestata dalla società incaricata della gestione del servizio idrico integrato, non costituiva un fatto sopravvenuto idoneo a determinare l’ineseguibilità dell’obbligo, vuoi perché detta società aveva partecipato al giudizio in cui si era formato il titolo esecutivo senza sollevare obiezioni in merito alle opere prospettate come necessarie dal consulente tecnico d’ufficio e recepite in sentenza, vuoi perché, in ogni caso, l’obbligato non può eludere il comando giudiziale adducendo circostanze che riguardano i suoi rapporti con soggetti terzi, essendo suo dovere adottare ogni condotta necessaria per assicurare l’esecuzione di quanto ordinato.
QUESTIONI
[1] L’esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare (al pari di quella per consegna o rilascio) è definita diretta, in quanto, mediante l’organo giurisdizionale rappresentato dall’ufficio esecutivo, si consente al creditore di conseguire ciò che costituisce il contenuto di un’obbligazione rimasta inadempiuta, anche senza la partecipazione del debitore: l’ordinamento, attraverso l’esecuzione forzata, mira ad assicurare il perseguimento del risultato economico riconducibile all’attività cui è tenuto il debitore, non già autorizzando il creditore a fare o a distruggere, a spese dell’obbligato, ciò che questi era tenuto a fare o non era legittimato a realizzare, ma attraverso le disposizioni impartite ai sensi dell’art. 612 c.p.c.
Tratto peculiare dell’esecuzione in parola è quello di determinare una modificazione dello stato delle cose, vuoi realizzando coattivamente ciò che andava fatto ed è rimasto ineseguito, vuoi distruggendo ciò che è stato illegittimamente creato.
L’esecuzione specifica degli obblighi di fare ha la sua disciplina di riferimento nell’art. 2931 c.c., mentre la legge processuale si preoccupa di stabilire come dare corso all’esecuzione coattiva, demandando al giudice il compito di individuare le modalità attraverso le quali dare compiuta e concreta attuazione al comando contenuto nel titolo esecutivo; essa, tuttavia, è configurabile solo in quanto si tratti di prestazioni di fare fungibili, aventi un oggetto determinato o quanto meno determinabile sulla base degli elementi contenuti nel titolo esecutivo, dal momento che il giudice potrà ordinare che altri faccia quanto il debitore non vuole fare in adempimento dell’obbligazione assunta solo se ciò può avvenire a opera di un soggetto diverso dal debitore medesimo (sicché, per potersi dare ingresso alla tutela specifica, il giudizio di fungibilità deve esitare nell’accertamento della piena sostituibilità materiale del comportamento dovuto da parte del debitore).
Nella fattispecie esaminata dall’ordinanza che si annota, l’amministrazione comunale era stata condannata al rifacimento di un tratto di fognatura pubblica, onde evitare che potessero verificarsi nuovamente episodi di fuoriuscita di liquami lamentati da un supercondominio, che aveva agito in giudizio proprio al fine di ottenere una statuizione che imponesse all’ente di realizzare le opere ritenute necessarie.
L’amministrazione comunale, cui – all’esito del giudizio di primo grado – era stato intimato apposito precetto, aveva proposto opposizione ex art. 615, comma 1, c.p.c., sostenendo l’impossibilità di adempiere il comando giudiziale in quanto la società cui era affidata la gestione del servizio idrico integrato, che pure aveva partecipato al giudizio promosso dal supercondominio, aveva reso parere ostativo all’esecuzione di quanto stabilito in sentenza sulla scorta delle risultanze della relazione peritale depositata dal consulente tecnico d’ufficio nominato in corso di causa.
Secondo l’ente pubblico, in buona sostanza, era sorto un impedimento di fatto all’ottemperanza di quanto stabilito dal Tribunale di Agrigento, dal momento che, in base a quanto stabilito dalla legge e a quanto previsto dalla convenzione stipulata con la società incaricata della gestione del servizio idrico integrato, non potevano essere realizzate opere relative a detto servizio senza l’intervento del gestore, che aveva dichiarato l’indisponibilità a realizzare quanto ordinato e ad assumerne la gestione.
La Corte di cassazione, tuttavia, ha disatteso questa impostazione, rilevando che gli obblighi di fare – al pari di quelli di non fare – possono essere eseguiti coattivamente in quanto siano fungibili, potendo la relativa prestazione essere adempiuta da terzi, senza la cooperazione del debitore, sicché sussiste la possibilità, materiale o giuridica, di eseguire quanto stabilito dal titolo esecutivo ogniqualvolta l’ufficiale giudiziario è in grado di attuare il comportamento imposto al debitore, prescindendo dalla sua volontà.
In considerazione di ciò, assume rilievo la condotta che il debitore è obbligato a tenere ed essa soltanto, non potendo costituire elemento ostativo all’esecuzione coattiva l’eventuale opposizione manifestata da terzi soggetti, quand’anche gli stessi siano legati al debitore da rapporti o vincoli di carattere negoziale.
Un tanto vale, a maggior ragione, allorquando detti terzi abbiano preso parte al giudizio nell’ambito del quale si è formato il titolo esecutivo e – com’era avvenuto nella fattispecie sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità – non abbiano mosso rilievi od obiezioni con riguardo agli accertamenti esitati nella sentenza di condanna al facere: da questo punto di vista, nell’ordinanza che si annota viene posto l’accento sul fatto che la società incaricata della gestione del servizio idrico integrato, convenuta in giudizio al pari dell’amministrazione comunale, non aveva evidenziato alcuna criticità o sollevato contestazioni in merito agli accertamenti eseguiti dal consulente tecnico d’ufficio o alle opere che questi aveva individuato come necessarie per evitare che potessero nuovamente verificarsi tracimazioni dei liquami.
La posizione assunta dai giudici di legittimità si pone in sostanziale linea di continuità con il principio – che costituisce diritto vivente – in base al quale nel giudizio di opposizione all’esecuzione non possono dedursi fatti o circostanze che attengono alla formazione del titolo giudiziale e che avrebbero dovuto essere fatti valere nel processo in cui il titolo si è formato, eventualmente in via di impugnazione, potendosi prendere in considerazione soltanto quelli intervenuti successivamente o che non potevano comunque essere portati all’attenzione del giudice che ha emesso il comando.
Pertanto, non poteva assurgere al rango di fatto sopravvenuto, al fine di aggirare questa preclusione, il rifiuto o il diniego opposto dal gestore del servizio idrico integrato, proprio in considerazione del fatto che questi, avendo partecipato al giudizio, avrebbe dovuto rappresentare in quella sede le ragioni ostative alla realizzazione delle opere ritenute necessarie per risolvere il problema denunciato.
In ogni caso, come evidenziato dalla Corte di cassazione, l’amministrazione comunale non poteva sottrarsi all’esecuzione dell’obbligo impostole con la sentenza adducendo l’opposizione di un terzo (la società che gestiva il servizio), dal momento che, anche in questi casi, il debitore è tenuto ad adottare ogni condotta che risulti necessaria per ottemperare al comando, comprese quelle finalizzate a superare eventuali resistenze opposte.
D’altra parte, i terzi che si vedessero, a torto o a ragione, coinvolti nell’esecuzione forzata di obblighi di fare non rimangono sforniti di tutela, dal momento che, ricorrendone le condizioni, possono avvalersi dei rimedi oppositivi diretti a fare constatare l’insussistenza del diritto di agire esecutivamente nei loro confronti o l’illegittimità degli atti esecutivi compiuti in loro danno, sicché il debitore, per sottrarsi all’azione promossa dal creditore, non è legittimato a surrogarsi, facendo valere eventuali ragioni di opposizione che li riguardano.
In definitiva, il diniego della società che gestiva il servizio idrico non costituiva né circostanza idonea a ravvisare l’infungibilità della prestazione cui era tenuto l’ente pubblico, né un fatto sopravvenuto che ne determinasse l’impossibilità giuridica.
Dalla lettura dell’ordinanza annotata, peraltro, si evince che, nelle more del giudizio di opposizione a precetto, il supercondominio aveva avviato l’esecuzione forzata, presentando il ricorso ex art. 612 c.p.c.: a questo proposito, giova ricordare che, a termini dell’art. 481, comma 2, c.p.c., quand’è proposta opposizione a precetto, il termine di efficacia di novanta giorni previsto dal comma 1 resta sospeso, riprendendo a decorrere a norma dell’art. 627 c.p.c., ma ciò non impedisce al creditore di promuovere comunque l’azione esecutiva, ferma restando la responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, comma 2, c.p.c., per il caso in cui l’opposizione del debitore dovesse risultare fondata ed essere accolta.
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